OH YES

Quelli che corrono dietro al bus e poi arrivano quando le porte si sono appena chiuse, quelli che non corrono più dietro al bus perché tanto poi le porte si chiudono e in più hanno il fiatone.

Quelli che io te lo avevo detto, e poi fai peggio, perché tanto è così che va la vita anche se ti ci metti d’impegno: Quelli che te lo avevo detto non lo dicono per non prendersi il vaff….Però lo pensano.

Quelli che s’incazzano, e poi s’incazzano, e poi ancora s’incazzano. E poi una telefonata, e non s’incazzano più. Perché c’è chi sta in fondo a un burrone e allora capiscono…

Quelli che ridono, perché non c’è altro che ridere.  E quelli che sanno che quelli che non ridono non sono persone serie.

Quelli che comunque fuori da Milano non sanno cos’è l’aperitivo e quelli che i fochi di San Giovanni gli eran meglio l’anno scorso.

Quelli che fanno la coda la notte per l’iphone e si picchiano tra di loro per chi c’era prima. Quelli che la sera sul treno guardano le foto su Facebook Instagram ecc mentre fuori c’è un tramonto da paura, basta guardare dal finestrino. Quelli che non sanno cosa si perdono quelli che invece lo sanno e il tramonto non se lo perdono e si dimenticano di scendere dal treno.

Quelli che vanno in bicicletta con la telecamera e poi vedono tutto il percorso e il panorama su YouTube. Quelli che vanno in montagna con la mountain bike da cinquemila euro, la tutina firmata e scarpette tattiche e non hanno mai camminato su un sentiero. E quelli che vanno sui sentieri di montagna con le infradito e sul ghiacciaio con le Superga

Quelli che si credono liberi, si muovono tanto quanto permette la catena e sono anche contenti perché, se manca la catena sono persi. Quelli che prendono le parti di tutti e non sono in grado di aiutare nessuno, nemmeno sé stessi.

Quelli che pensano di essere i più intelligenti e non si accorgono che gli altri stanno zitti soltanto perché sono educati

Quelli che la terra è piatta altrimenti in Australia sarebbero a testa in giù. Quelli che non siamo mai andati sulla luna, e il 5G controlla l’umanità. Quelli che hanno il terrore di essere controllati dal 5G e poi non sanno che si può mangiare senza postare il cibo sui social.

Quelli che vanno in palestra mille ore a settimana e ci vanno con la macchina. Trecento metri da casa.

Quelli che piove ma che palle fa caldo ma che palle fa freddo ma che palle. Quelli che quando ti chiamano. Che palle!!!!

Quelli che vanno dove li porta il cuore. Con le bombe e le mitragliatrici. Quelli che il 25 dicembre sono buoni, il 14 febbraio innamorati, l’8 marzo femministi il 25 aprile Bella ciao.

Quelle che stanno comode sui tacchi. Perfino sul pavé. Quelli che il filler agli zigomi alle tette alle labbra ma al cervello… MAI.! Quelli che fanno footing in città e al semaforo è rosso gli viene il ballo di San Vito. Quelli che vanno in bicicletta la domenica mattina in 18 tutti allineati, sulla statale come sulla Forra perché la bici è green e il green si sa fa figo.

Quelli che aspettano la pioggia per non piangere da soli (però questa non è mia e nemmeno di Riccardo). E quelli che ridono per non piangere.   Oh… yes!

PRIMAVERA 24

Buongiorno Controlucini, rieccoci ad un’altra Primavera. Documentata dall’inviato speciale. Le foto sono di una bellezza commovente, e le sto ammirando dalla mia scrivania, a Milano. E mi chiedo cosa ci faccio qui. La foto con il pruno selvatico invece è mia. Tutte testimoniamo la primavera, questa primavera. E il mio/nostro affetto. Che sia una dolce primavera per tutti. Ignorando telegiornali e notiziari, può diventare quasi possibile..

Usare le freccette per scorrere le immagini!

L’ARNO D’INVERNO

Io entrai a Firenze. Era di notte. Tremai sentendo quasi addormentato ciò che il dolce fiume mi raccontava. Io non so ciò che dicono i quadri e i libri (non tutti i quadri né tutti i libri solo alcuni),  ma so ciò che dicono tutti i fiumi.
Hanno la stessa lingua che io ho. (…) Nella voce dell’Arno riconobbi allora vecchie parole che cercavano la mia bocca, come chi ha mai conosciuto il miele e poi ne riconosce la delizia. Così ascoltai le voci del fiume di Firenze come se prima d’essere m’avesser detto ciò che adesso ascoltavo: sogni e passi che mi univano alla voce del fiume, esseri in movimento, colpi di luce nella storia, terzine appese come lampade. Il pane e il sangue cantavano con la voce notturna dell’acqua. (Pablo Neruda).

Pubblico una carrellata di fotografie, scattate da Riccardo il 22 dicembre, solstizio di questo inverno duemilaventitrè. Il cielo, nuvoloso, non ha consentito di immortalare la tradizionale firma del sole, a Piazza Giudici. Pubblico queste fotografie, meravigliose, testimoni di un pensiero, che va ben oltre uno scatto fotografico: il pensiero a Controluce, ai suoi abitanti, al suo cuore pulsante anche se silenzioso.  Amo, da sempre, la luce che offrono i celi come questo cielo: mi sembrano luci rispettose, che non edulcorano nè sbiadiscono ciò che sovrastano. Luci che consentono, ad ogni tetto,  specchio d’acqua, prato,  di essere sinceri, mostrarsi come sono. Sotto le foto, uno scritto di Pablo Neruda: durante uno dei suoi viaggi d’esilio, approdò a Firenze, nel 1951. Un poeta che ho amato tantissimo e che ogni volta che lo leggo, mi restituisce qualcosa di me, riesce a toccarmi la pelle. Chiudiamo questo anno con Firenze, una città molte volte protagonista in Controluce, nonchè cornice di alcuni capitoli della mia vita, capitoli mai chiusi, e che hanno fatto e fanno di me quella che sono. E con Neruda, che imparai ad amare con “Canto General ” molti e molti anni fa e che mi ha sedotta, dolcemente e sottilmente.  Neruda sa sedurre così, con grazia, eleganza e profondità. Penetra dentro, come sa fare una voce calda e setosa. Deposito qui un augurio a tutti coloro che passano e lasciano il segno dei passi, visibile ma anche dietro le quinte di questo cortile che non riesco a chiamare sito, o portale, o, peggio, piattaforma. Un altro augurio lo poso dentro una piccola barchetta di carta e lo affido a quel fiume che ha accolto parecchi miei sguardi, e, molto tempo fa, anche le mie lacrime.  Lascio un augurio di serenità scivolare sull’acqua, libero di raccogliere la luce della luna, e magari quella delle stelle. E di arrivare lontano, fino al mare e poi negli oceani. Le barchette di carta possono essere più forti, molto più forti di una nave di ferro.  Temono poco il vento e non hanno nemici, le barchette di carta. Nessuno bada ad una piccola barchetta di carta: è questa la forza dei piccoli: passare inosservati e sfidare ogni cosa. 

S. Miniato, Foto Ricc

L’ATTIMO FUGGENTE

Buongiorno a tutti. Come da tradizione, posto le immagini scattate da Ricc il giorno dopo. Si rammarica, il nostro reporter, di non averle scattate il 23 ma.. MA…personalmente ritengo abbiano anche più valore, in primo luogo perchè è chiaro che non viene MAI disatteso questo nostro appuntamento, anche quando non è possibile, per motivi di meteo o altro, rispettare il giorno preciso. E poi anche perchè la firma del sole e ci rammenta sì che “tempus fugit” ma che questo tempo che fugge non ha sempre un’accezione negativa: vedere la firma del sole che si muove sul pavimento della piazza, è movimento, quindi vita. Tutti ormai sanno che io ho pessimo rapporto con il tempo, e, man mano che questo passa, il conflitto diventa anche più forte. Rifletto molto su questo e non mi riesce di fare pace con questa cosa che è il “tempo”, concetto molto più astratto rispetto a come lo viviamo, collocandolo in schemi rigidi, precisi. Vorrei scivolare dentro uno dei buchi bianchi, quelli di Stephen Hawking, e fermare questo coso impietoso che è il tempo. Infatti detesto che il mio tempo venga frazionato, un tempo che “funziona” più che “vivere”. Crediamo di essere liberi, in realtà siamo imprigionati dentro il tempo. Che vorrei fosse danzante, invitante e non un “misuratore” della mia vita, uno strumento che la scandisce e la incasella.

Ecco, qui sotto, il sole che firma Piazza Giudici. Ed anche la sagoma di Ricc che diventa ombra, disegnata dalla mano che firma dal cielo.

Buon autunno a tutti, che sia dolce, colorato quanto basta, che sia lungo. Che sia protettivo per ogni cuore, come fa la terra coi semi, con gli animali, con le radici, gli insetti, la vita. Che sia culla per i sogni, ombre buone disegnate nella stanza. Che siano gialli accesi, e poi arancioni e rossi ad accarezzare l’anima. Queste nostre anime sensibili, estranee a questo Tempo di arroganza, di paradossali solitudini così evidenti nelle moltidudini di amici di social. Tempo di rumori, troppi rumori atti a stordire, addomesticare intere generazioni. Generazioni incapaci di sussurrare, di pensare. I luoghi del rumore non sono adatti al pensiero e da questi luoghi non nascono le idee, non nasce l’amore, non nasce la bellezza. Buon autunno quindi, buoni silenzi e buoni sguardi, buon ritiro, se possibile, dal quotidinano vivere. Almeno per qualche spazio, almeno quando e dove si può. Che boschi, funghi, castagne, muschi e plaid siano occasioni di pensiero, di gentilezza, morbidità e dolcezza.

SILENZI O QUASI

Le cose più importanti sono difficili da dire, perchè parlare di “amore” non esaurisce lì il concetto che dentro la nostra anima dilaga in cerchi concentrici e avvolge pancia cuore e testa. Perchè la parola “amicizia” non sempre dà il senso di tenerezza e affinità che sentiamo dentro. E così per i loro contrari. Perchè il dover parlare ci incasella in concetti frusti e sciupati fino alla nausea. Perchè se si  lanciano parole con dentro sentimenti spesso le vediamo cadere a terra perchè i destinatari non sono capaci di “coglierle al volo”.Sono convinta che l’essenza di un sentimento non si esprima in un codice parlato che spesso, troppo spesso, gli toglie potenza e lo riduce a guscio vuoto. Meglio i silenzi e delle buone orecchie capaci di capirli. ” Petula2

Ho copiato questo commento di Petula2, scritto anni fa, e dice tutto. Oggi la voglio ricordare così, a dieci anni precisi di assenza ma di presenza: lei è nei miei pensieri ogni giorno. Nel breve tempo che ci ha viste chiacchierare, ridere, scherzare ma anche confidarci, ho trovato molti valori che porto nel cuore. Come ha detto lei, l’essenza di un sentimento non si esprime in un codice parlato, per cui. …. Ciao Betta. anzi Miaaaooooooooooooo

Un piccolo omaggio, dedicato a Betta da Ricc, il menestrello della Luna, come lo chiamava lei. E a chi passa di qui che poi sono gli stessi che hanno passeggiato con lei soreggiando tè. Grazie Ricc per questa firma del sole, un’altra celebrazione dal cielo, che forse ci vuole dire che c’è un senso per tutto…. E magari lo dimostra con questo rituale, di firmare il suo passaggio. La prendiamo come una rassicurazione, una speranza.

PRIMAVERA 2023

Fotoriccardo

Eccomi/eccoci anche questa primavera. Duemilaventitrè. Il tempo corre veloce. Il nostro fotografo è ammalato. Anche i menestrelli della Luna si ammalano ahimè, ma il nostro, anche da una pallida luce lunare, non si dimentica di noi. Ed ecco un segno. Il segno della Primavera. Celebriamo anche noi questo arrivo, speriamo benedetto, speriamo foriero di pace, e omaggiamo, nel nostro piccolo, il menestrello così, certi di strappargli un sorriso.

È primavera, svegliatevi bambine
Alle cascine, messere Aprile fa il rubacuor.

E a tarda sera, madonne fiorentine, Quanti ricordi diventeranno i prati in fior , Fiorin di noce, c’è poca luce ma tanta pace
Fiorin di noce, c’è poca luce
Fiorin di brace, Madonna Bice non nega baci
Baciar le piace, che male c’è? È primavera, svegliatevi bambine, Alle cascine, messere Aprile fa il rubacuor
.

DI OPULENZA E POCHEZZA

Questo nostro tempo, così pieno di tutto e di niente, pieno di cose inutili, orpelli. Questa iper produzione di .. tutto.  Basta un giro al supermercato: metri e metri di scaffali di shampoo, altrettanti di bagno schiuma e detersivi. E ancora metri e metri di biscotti, marmellate, yogurt, succhi di frutta, snack, merendine, pane secco, crostini e chi più ne ha più ne metta. Chilometri di corsie, migliaia di chilometri per ogni catena commerciale. Ho visto donne e anche uomini annusare detersivi per pavimenti, per bucato, passare dei minuti così, annusando flaconi. Rendiamoci conto… Centinaia e centinaia di prodotti praticamente INUTILI poiché tutti drammaticamente uguali. Cambia la fragranza, il colore ma sostanzialmente non vi sono differenze. Ormai presi in questo vortice, noi, poveri consumatori, non ci rendiamo conto di nulla, non pensiamo più, men che meno riflettiamo. 

Si è investito nelle cose per la persona e molto, molto meno nei servizi per la persona, a partire da sanità, scuole, servizi pubblici in generale.

Tutto questo è un mostro che divora la propria coda e che rigenera. Un continuo alimentare questo falso bisogno di cose artificiali e inutili. Si plasmano consumatori incapaci di guardare oltre le leggi di mercato, incapaci di valutare e pensare “oltre” il colore dell’ammorbidente.

Qualche tempo fa mia cugina mi ha mandato delle fotografie da una fiera cui ha partecipato la sua azienda, una fiera tenutasi a Parigi sull’oggettistica di casa: molti gli stand tra cui il suo, parte del cosiddetto “mercato di lusso”. Sono rimasta sbalordita nel vedere gli oggetti esposti in alcuni stand! Di una banalità e inutilità sbalorditive. Oltre al gusto, spesso decisamente discutibile. Un esempio: candele di cera a forma di omini colorati troneggiavano nello spazio espositivo di uno stand dall’aria minimal quanto basta per richiamare lo stile new age dell’arredamento. Ometti viola gialli rossi, di cera. E stop.  Uno stand costato migliaia di euro in Fiera a Parigi. E se c’è l’offerta significa che c’è la domanda.  Ma ci rendiamo conto? Mi sono chiesta chi si mette in casa una roba simile..  Omini di cera colorata. Ma una candela color avorio, semplice semplice non è elegante?  Altre foto ritraevano altri oggetti altrettanto inutili e banali, senza alcun valore intrinseco tuttavia manco a dirlo, costosi. La mucca a pois di ceramica, la pecora a strisce bianca e celeste, la borsa dell’acqua calda a forma di elefante. Di una banalità quasi disarmante. Innocente.  Capisco perfettamente e condivido, in questo tempo, quelli che, me compresa, hanno voglia o bisogno di “aria”. Dare aria alle stanze, liberare mobili e pareti da oggetti che non servono a niente, spesso non sono nemmeno belli e peggio del peggio, non hanno nemmeno un valore affettivo o una ragione di essere nelle nostre case.

E’ facile cadere in questi tranelli. Altro esempio: l’abbagliante, promettente, illusorio mercato degli integratori alimentari. Forse ve ne saranno alcuni validi, non lo metto in dubbio, ma basta vedere l’offerta per rendersi conto di quanto sia fiorente questo mercato.  Tutti, manco a dirlo, miracolosi. Panacea di tutti i mali. E allora come mai nel mondo ci sono milioni di diabetici, di gente che soffre di artrosi, di allergie, di ritenzione idrica, di obesità, di insonnia, di menopausa, di depressione, di diabete, di ipertensione? Sarà che non prendono gli integratori? Un business colossale. Integratori per ogni cosa e, forse tutti o quasi tutti non servono a niente. Un mio amico medico, diabetico pertanto a dieta strettissima da anni, mi ha detto che anche una dieta minima come la sua fornisce all’organismo tutti i sali e vitamine di cui il corpo necessita. Introdurli ulteriormente non sortisce altro effetto che l’eliminazione da parte del nostro organismo. Immagino con conseguente e inutile lavoro dei reni.. Ho fiducia in questo medico, anatomopatologo tutta una vita e scienziato tutta la vita.

Ah ma ci sono le recensioni!! Ormai il mondo va avanti a recensioni. Ma non ci passa per la testa che le recensioni sono per lo più pilotate? Che le riviste sono pagate per pubblicare recensioni sui prodotti? Riviste che promuovono integratori e prodotti di bellezza con tanto di recensioni, possono dirsi autorevoli o imparziali? E i prodotti di bellezza? Creme, cremine, sieri ecc?  Stendiamo un velo pietoso perché davvero mi commuovono quelle donne che si illudono di riportare la pelle a 30 anni quando ne hanno 50, oppure ottenere un fisico da ballerina grazie alla cremina giorno-notte. Poverette.  Altro immenso ed illusorio mercato. Chimica, esperimenti su animali e giro milionario. Un vasetto di crema antirughe arriva a costare anche 300 euro. Ma dove vogliamo andare? Ma non ci rendiamo conto che una crema base idratante da 5 euro è più o meno uguale a quella da 300? Veramente crediamo ai miracoli della crema con l’ananas o con il melograno o con “gli ingredianti della seta”?

Mah.  Più osservo e più vedo greggi di pecore al posto di persone, e nessuno è immune, nessuno. Nemmeno io, ovviamente, nonostante mi faccia un bel po’ di domande e cerchi di dare retta al mio buon senso che per fortuna spesso grida “ASCOLTAMI”, nonché al mio portafogli che implora “NON INFIERIRE PLEASE”. E ovviamente al buon gusto. Ecco, diciamo che questo mi salva spesso.

Altra cosa che osservo: le case, gli arredi. TUTTI UGUALI. In qualsiasi negozio di mobili, tutti i salotti, i living, le cucine, sono TUTTI UGUALI. In contrapposizione con il ciarpame di cui sopra, questi sfoggiano uno stile minimal talmente standard che diventa davvero difficile distinguere una casa da un’altra. Stessi colori, stesse forme, stesse altezze larghezze profondità. Risultato: tutte case senza anima, senza impronta personale, senza il respiro di chi le abita. In una parola: senza PERSONALITA’. Una domanda: ma che c’azzecca la candela di cera a forma di omino viola rosso giallo sul mobile del soggiorno minimal? Mistero!

Anche l’architettura è uniforme. Le villette ora sono tutte uguali, tutte bianche o grigio chiaro, essenziali, senza … anima. Basta disegnarne una, il progetto vale per centomila. Ovvio, costano meno, sono poco impegnative nella loro costruzione. E sono … anonime. Come il living, come la cucina, come il salotto. Chissà che noia gli architetti. Sarà per questo che quando possono liberare la creatività fanno talvolta delle cose oscene.

Morale: abbiamo troppo. Quando ero una bambina ma anche una ragazza, non era necessario andare al supermercato con google per trovare le patatine. E sono cresciuta senza traumi…

In compenso abbiamo troppo poco. Di ciò che nutre davvero. Di ciò che davvero ci farebbe star bene. Qualche giorno fa una persona mi diceva “troppo benessere” Ma dove? Se il benessere si configura con l’omino-candela colorato in bella mostra a Parigi o con la foresta di detersivi e merendine allora si.. Ma il benessere è altro! Una buona, davvero buona qualità della vita dov’è, in questo nostro tempo? Dove? Il benessere è non aver paura quando i figli sono fuori casa, è tornare a casa e non trovarla svaligiata o occupata. Benessere è rispetto, civiltà, cura. Benessere è passeggiare in un parco senza inciampare nell’aggressore di turno. Benessere è un anziano che vive decorosamente con una pensione diginitosa. Benessere è non avere senzatetto sui marciapiedi. Provo ad aprire l’ometto di cera? Che sia dentro questo benessere? Vedi mai?

Dobbiamo imparare a togliere dove occorre togliere, aggiungere dove serve aggiungere. Il problema è che stiamo invertendo il senso.

CAPODANNO

Bevo a chi è di turno, in treno, in ospedale,
cucina, albergo, radio, fonderia,
in mare, su un aereo, in autostrada,
a chi scavalca questa notte senza un saluto,
bevo alla luna prossima, alla ragazza incinta,
a chi fa una promessa, a chi l’ha mantenuta
a chi ha pagato il conto, a chi lo sta pagando,
a chi non è stato invitato in nessun posto,
allo straniero che impara l’italiano,
a chi studia musica, a chi sa ballare il tango,
a chi si è alzato per cedere il posto,
a chi non si può alzare, a chi arrosisce,
a chi legge Dickens, a chi piange al cinema,
a chi protegge i boschi, a chi spegne un incendio,
a chi ha perduto tutto e ricomincia,
all’astemio che fa uno sforzo di condivisione,
a chi è nessuno per la persona amata,
a chi subisce scherzi e per reazione un giorno sarà un eroe,
a chi scorda l’offesa, a chi sorride in fotografia,
a chi va a piedi, a chi sa andare scalzo,
a chi restituisce da quello che ha avuto,
a chi non capisce le barzellette,
all’ultimo insulto che sia l’ultimo,
ai pareggi, alle ics della schedina,
a chi fa un passo avanti e così disfa la riga,
a chi vuol farlo e poi non ce la fa,
infine bevo a chi ha diritto a un brindisi stasera
e tra questi non ha trovato il suo.

ERRI DE LUCA

CAREZZE D’INVERNO

Il cielo di Firenze oggi è così. Un cielo gravido di pioggia, un cielo basso proteso verso gli alberi quasi a volerli accarezzare. Un cielo d’inverno, un cielo parlante. Un cielo fiammingo. Un cielo che non permette alle dita del sole di arrivare a pizzicare Piazza dei Giudici per indicarci il tempo, la stagione. Il Capricorno. Il Capricorno. Il segno zodiacale cui appartengo e la bestia cui somiglio. Quindi celebriamo questo solstizio d’inverno contemplando questa fotografia che personalmente trovo meravigliosa.Un invito alla riflessione. A me pare di sentire l’odore della promessa di pioggia, mescolato a quello dei pini, gocce di clorofilla e di resina. Grazi Riccardo come sempre grazie, grazie, grazie.

Vi lascio con mille, diecimila, centomila auguri dal cuore e un’altra immagine. Un oggetto artigianale nato dalle mani di Riccardo. Un oggetto non è esatto poichè ha un’anima. Non solo perchè è di legno e il legno è vivo, sempre, sente sempre. Ma perchè è preposto ad accogliere il sole, e la firma del tempo. E poi perchè è fatto con amore e passione. E forse anche dedicato…

POVERO TEMPO NOSTRO

Povero tempo nostro
Povere fatiche
Povera la Terra intera
Che tutte intere le patisce

Povero tempo nostro
E poveri questi giorni
Di magra umanità
Che passa i giorni e li sfinisce

Lascia che torni il vento
E con il vento la tempesta
E fa che non sia per sempre
Questo tempo che ci resta

Lascia che torni il vento
E dentro al vento la stagione
Di quando tutto appassirà
Per chi bestemmia le parole

Lascia che torni il vento
E con il vento la tempesta
E fa che non sia per sempre
Il poco tempo che ci resta

Lascia che torni il vento
E con il vento la stagione
Che tutto appassirà
Per chi bestemmia le parole

Il brano qui

Gianmaria è scomparso nel 2016, a soli 58 anni. Ed è per me una di quelle voci che entrano dentro, che si sentono nella pancia, e che lì dentro si sciolgono, dando vita ad un concerto emotivo personale, tutto mio. Un signore distinto, che mi ha fatta innamorare di lui con “Dentro la tasca di un qualunque mattino”. Un brano delicato tenero ed elegante. Come lui. Posso definirlo un poeta come un cantastorie di piccole grandi favole. La sua canzone conduce ad atmosfere nebbiose, alla campagna. Alle colline del suo Piemonte. Sa fare di un piccolo attimo una canzone. Canzoni dai colori tenui, albe e tramonti di polveri di luce . Magie con le parole: diventa acquarello anche “Povero tempo nostro” che è una preghiera in tempi difficili, e ci si trova dentro del disicanto. Brani raffinati, come qualche vino rosso, da centellinare in un tempo dedicato, senza disturbi e dentro casa, con le luci basse. Musica per pochi, perchè in questo paese non si esce facilmente dalla massa. Ahimè. La sua voce, affascinante, un po’ roca, profonda è allo stesso tempo leggera, come una carezza. Oltre a lui, alla sua voce, c’è anche altro nel suo mondo: autori e musicisti del calibro di Mario Brunello, Erri de Luca, Mirabassi, Paolo Fresu, Enrico Rava. A volte canticchio “La tua voce” che dice “portami via da qui”: mi trovo a canticchiarla senza accorgermi di farlo. Forse lo faccio ogni volta che vivo un momento spiacevole, chissà. E di momenti spiacevoli, in questo “povero tempo nostro” che viviamo. Nostro malgrado. Lo feci conoscere a Ludovico, uomo coltissimo (ho scritto di lui in Controluce anche recentemente) che per tutta la vita ha solo ascoltato musica classica, jazz, insomma musica colta. Gli regalai i suoi dischi e il giorno in cui Gianmaria Testa scomparve, Ludovico mi mandò una mail con scritto soltanto “Le Mongolfiere non volano più”.. “Montgolfières” è il nome dell’album uscito in Francia nel 1985, prodotto e distribuito da etichette presitigiose. E fu anche l’album che mi fece incontrare (e amare) G. Testa, molti anni dopo il 1985. Lo conobbi infatti all’incirca nel 2007/2008 grazie ad Enrico, un amico, anch’esso amante della Musica con la M maiuscola.

Povero tempo nostro.. Già.. siamo qui a viverlo ogni giorno senza capirlo, senza afferrarne il senso, ma un senso non ce l’ha questo tempo nostro. Questo povero tempo nostro. Povero di emozioni, di parole, di calore. Di abbracci e di sorrisi. Povero di pioggia, di silenzi. Di rispetto. Pieno di “magra umanità”.

BENVENUTO AUTUNNO

Foto R.

Portaci il colore del miele, quello rosso delle viti. L’oro del ginkgo e gli aceri infiammati. Portaci carezze, e balsamo per i cuori che fanno male. Spesso fanno tanto male. Sii unguento, calmante, idratante. Addolcente. Sii rifugio per il tasso, il ghiro lo scoiattolo. Per gli animali tutti. E utero per i semi. Dacci boschi odorosi e colorati, il muschio, la torba. Dacci la pioggia. I frutti, le ghiande, i funghi. Le castagne. Facci venire voglia di plaid e di camini. Di ritiri, e cioccolata calda. Di minestra e di polenta. Dacci l’oro sui colli. Sii promessa di neve sulle cime. Dacci notti con le stelle. Portaci riflessione e gestazione. Sii preghiera per la pace tra gli uomini. Benvenuto Autunno, stagione matura e di silenzi. Fa’ che taccia il rumore del mondo, il dolore, le guerre. Tutte. Benvenuto, qui, in questo piccolissimo spazio che sa diventar preghiera.

NORMALITA’ (?)

Eccoci tornati alla normalità. Si fa per dire, ovviamente, perchè se questo momento del mondo si configura con la normalità allora io sono una draghessa, un’unicorna, una sirena. Comunque sia, bentrovati, in questo scampolo di coerente anormalità che è questo piccolo granello nell’immensità del cyberspazio.

Pensavo a Controluce percorrendo un tratto della mia vacanza, trascorsa in Val di Sole con qualche “capatina” a casa e come casa intendo la Val di Non. Pensavo a Controluce perchè il nome dei paesini che si incontrano in quella parte di valle sono degni di “noi”, noi che vediamo i folletti, che abbiamo disquisito sotto il grande fico, che abbiamo discusso con gatte, lucertole e animaletti vari, anche a bordo di navicelle spaziali capaci di raggiungere le Pleiadi e Orione senza colpo ferire. I cartelli stradali che mi fanno ogni volta sorridere indicano paesini, tutti vicini tra loro, quali: Rallo, Pavillo, Dermulo, Tassullo, Denno, Portolo, Taio, Tuenno, Malgolo. Sembrano nomi di nuovi sette nani anzi nove, con l’ultimo (Malgolo) che starebbe perfetto perfetto al nano formaggiaio.. Dimenticavo: ovviamente sono tutti nei pressi del Passo Mendola.

Spero di avervi regalato un sorriso. Peccato che di questi tempi è difficile – ancora più del solito – sognare e andar per folletti e gnomi come feci con Pieffe un po’ di anni fa. Infatti basta un Tiggì, un quotidiano – anche volerli scansare li trovi comunque in giro – per spezzare il già fragilissimo incantesimo e portarti, velocissimamente, da Rallo e Pavillo a … Mosca, alle bombe, alle centrali nucleari in mezzo ai bombardamenti, alle bollette della luce e del gas, ad una serie di cose che l’Europa non so se ha ben presente o se fa finta di niente.

Quindi Controlucini, godiamoci l’attimo, il respiro, il fiorellino, l’odore del pane e quello del caffè. Lo yogurt di Malgolo, con i frutti di bosco (peccato che non c’è un paesino di nome Boscolo da quelle parti, perchè ci sarebbe stato bene lo yogurt del Malgolo con i frutti di Boscolo). E godiamoci le passeggiate tra i grandi maestri di legno – gli aberi – Larici, abeti, il sorbo dell’uccellatore (la zona era piena). Godiamoci un calice di buon vino ogni volta che si può, una crostata, un buon momento con qualche bella persona. Ma bella per davvero, eh, mi raccomando, ogni volta che si può. Diamoci tutto ciò che possiamo darci. Un attimo di serenità va vissuto assaporato gustato e benedetto. Ora più che mai.

Vi lascio con queste mie fotografie. Questa qui sotto è scattata nei pressi del lago Nambino, sopra Madonna di Campiglio, luogo raggiungibile solo a piedi come tanti e per fortuna. E’ una casina-centro studi delle erbe selvatiche. Vi nvito a leggere questa cosa di Erri de Luca che scende dalla finestrina. Bellissima. Ancora più sotto, i miei piccoli. Letteralmente tra le gambe. Sempre!

PS: per chi volesse curiosare tra i paesini dai fiabeschi nomi ecco un link .. qui

MA SARA’ FRANCESCA?

Omaggiamo la Francesca Controlucina con questo brano, che mi ha accompagnata per un pezzetto della mia storia, e per quella di molti altri che bazzicano o hanno bazzicato qui. Il grande Lucio. Francesca che non c’entra niente con questa qui, di Francesca.

Sorrido anzi rido: questo brano che immagino fa e ha fatto incazzare le femministe di tutto il mondo e di tutti i tempi. E rido ancora. Perchè ormai è tutto un gridare, tutto un gran vociare, manifestare, protestare. Tutto bandiere stendardi, e diritti. Ma i rovesci e i doveri? E siccome ci piacciono da morire i giochi parole, a proposito di doveri.. Francesca, dov’eri? Se non eri te quella con il vestito rosso, chi era? O mamma… vuoi vedere che noi si pensava fossi tu, Francesca, con il vestito rosso abbracciata con quell’altro… tu invece avevi il vestito blu? E stavi magari nella tana del bianconiglio a scegliere: vestito rosso o vestito blu’? A B e BO chi abbraccerò stasera non lo so, tre civette sul como’ …. che facevano l’amore... Ops!! Ma vuoi vedere che quella era la figlia del dottore? Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino... Ma poi il gatto avvoCATTO di parte nell’ARINGA finale disse “Non è un capello ma un crine di cavallo uscito dal palto’.. ”

Dopo questo sproloquio – sarà il caldo? – lascio Francesca, la bionda Francesca qui, quella di Lucio intendo. Oh Lucio quanto ci manchi. Ci manchi da morire. Però noi ti abbiamo avuto. Ecco. Abbiamo avuto te e anche quell’altro Lucio. Hai detto niente. Buon pomeriggio a tutte le Francesche, vestite di giallo rosso o blu fa lo stesso. Se poi sono bionde…stanno bene con tutto! Comunque, femminismo a parte, nessuno deve vivere per nessuno e nessuno deve non chiedere altro di più!! Se non una fetta di cielo e ali libere, libere per volare. Chi ama promuove il volo, non tarpa le ali.. Questo pensiero mi è venuto poco fa, leggendo una triste notizia: l’ennesima ragazza uccisa dal fidanzato per gelosia. A due chilometri da casa mia…. Triste.

Un saluto alla nostra, di Francesca, che è un raggio di sole in un cielo sereno, anche se francamente adesso (scusa Franci, niente di personale) ne faremmo a meno. Desideriamo tanto una … giornata uggiosa (tanto per stare ancora con Lucio). Ma che sapore ha una giornata uggiosaaaaaaaa” ehhhh TANTA ROBA. E un pizzico (tanto– di nostalgia)

link: non è Francesca

Ti stai sbagliando, chi hai visto non è
Non è Francesca
Lei è sempre a casa che aspetta me
Non è Francesca
Se c’era un uomo, poi
No, non puo’ essere lei

Francesca non ha mai chiesto di più
Chi sta sbagliando, son certo, sei tu
Francesca non ha mai chiesto di più
Perché
Lei vive per me

Come quell’altra è bionda, però
Non è Francesca
Era vestita di rosso, lo so
Ma non è Francesca
Se era abbracciata, poi
No, non puo’ essere lei

Francesca non ha mai chiesto di più
Chi sta sbagliando, son certo, sei tu
Francesca non ha mai chiesto di più
Perché
Lei vive per me
Lei vive per me

ORI DI ORI

Foto: Aurora L., 2013

Tramonti di Aurora in Controluce, sfumature degli Ori… Giochi di parole, Assonanze, associazioni. Pensieri che scivolano sul caldo di questo tempo, ricordi di sereno, odori di vacanze, sassi caldi, grida di gabbiani. Oro pre-crepuscolo che cola, denso, sui sassolini della piccola spiaggia, come miele sul pane. Pelle grata al sole, quel sole che non morsica, che non brucia. E poi le stelline, sull’acqua, danzanti, pudiche, appaiono e scompaiono, tornano, giocano, si tuffano e riemergono, sempre le stesse? Di sicuro sono un jazz. Tempo che era, tempo passato, tempo mio, e tempo appiccicoso di sudore, di pianto e rimpianto. Tempo masticato, ripassato. Mai passato. Immagini che tagliano la luce e la pelle. Quante cose vorrei raccontarti, quanto mi manca dirti delle cose che mi capitano. Quanto mi mancano le mani, fresche, sulla fronte, quando mi manca il rifugio del grembiule coi fiori. Pensieri cuciti poi scuciti, lungo la scala dei ricordi dei rimorsi, dei rimpianti. La tela della vita a volte colorata, spesso un po’ sbiadita. Le notti e la luna piena, la luna vuota e i discorsi senza fine. Le conchiglie vuote, di vita e anche di suoni. Le conchiglie fatte collane, tristemente infilate come perle del rosario, come il filo di cotone, da gomitolo a maglione. Il ritorno del gabbiano, con la luce tra le ali, il vento tra le piume. Tutto questo scrivere non è nulla, solo voglia di poesia.

INGRATITUDINE

Dalla Treccani: riconoscènza s. f. [der. di riconoscente]. – 1. Il sentimento di chi è riconoscente, e il fatto stesso di essere riconoscente: avere, sentire r. per qualcuno; dovere della r. a o verso qualcuno; dichiarare, esprimere, mostrare la propria r..

Ora: il lavoro è lavoro, si lavora, si è pagati per lavorare. Non ci si aspetta riconoscenza dal cliente. Davvero? Sempre? Direi che non è così. Chi lavora o ha lavorato in uno studio professionale, sa molto bene che ogni cliente è convinto di essere il solo cliente, ogni cliente “iopago-tudevi”. E si va oltre, molto oltre ogni normale assistenza compresa nel mandato professionale. MOLTO OLTRE. E anche qui non si aspetta riconoscenza: si da’ l’anima perchè il proprio lavoro venga terminato, con serietà, con cura e attenzione. A suon di straordinari (gratuiti per tutti, titolare in primis), di consegna ai clienti del numero di cellulare personale e anche fisso di casa (tempi del look down). Si va molto oltre. Si instaura, almeno da una parte (in questo caso la mia-la nostra di Studio) un rapporto di fiducia, e di presta soccorso in ogni momento, ora e luogo. Capita, è capitato, anche dai luoghi di vacanza. Si risponde SEMPRE. E ogni documento, ogni cosa richiesta viene TEMPESTIVAMENTE consegnata, ogni necessità tempestivamente soddisfatta. Questi siamo noi, voci inascoltate dai governi, che ci massacrano di adempimenti. Un tempo si compilava una sola dichiarazione IVA. Con la “semplificazione” sono diventate 5. E così via. Sfido CHIUNQUE a dare un occhio alle scadenze dell’agenda di un commercialista senza che gli venga, tout court, una sensazione di incredulità. Questi siamo noi, i cui ordini professionali non hanno voce (o sono troppo politicizzati), non hanno nemmeno un centestimo di risonanza mediatica di un Gay Pride (dato che siamo di stagione). Siamo un popolo denso, fitto, dei poveri diavoli che ogni giorno OGNI GIORNO litigano tra decreti e controdecreti dell’ultimo minuto, appesi ad una pubblicazione o non pubblicazione, dipendenti da software i cui sviluppatori a loro volta sono appesi al decreto dell’ultimo minuto. Siamo noi a dover fare fronte a scadenze, confermate o sconfermate all’ultimo minuto. Con una crescente ansia da scadenze, il tempo che fiata sul collo COSTANTEMENTE. Tra adempimenti vari, compilazioni di esterometri, di dichiarazioni INTRASTAT per una Europa che NON ESISTE. Una Europa che a distanza di decenni non ha ancora definito i rapporti commerciali, la questione dell’IVA e potrei andare avanti per pagine. Non ha unificato un fico secco. In tutte le sfere, figuriamoci quella fiscale. Piu’ comodo legiferare sulla lunghezza “relgolamentare” del cetriolo (purtroppo per noi non è una battuta ma verità). Infine siamo ancora noi, ovviamente, a vivere nella terra di mezzo, in quella linea di confine che separa il povero cristo di contribuente dal sistema malato e delirante di un governo che l’aver regalato fior di aziende ai grandi imprenditori ha presentato e presenta il conto a quelli piccoli, a quegli artigiani che hanno risollevato DA SOLI e con le proprie mani, l’Italia dalla guerra. Un governo che fa gli interessi delle banche, ovviamente sulla fatica sudore e pelle dei piccoli. E noi, popolo degli studi professionali, siamo il muro del pianto (quando va bene), il sacco della boxe contro il quale i piccoli si scagliano, e quanto va proprio male, il capro espiatorio. Vai a spiegare le cose. MA NONOSTANTE QUESTO siamo noi, sempre noi, che facciamo il miracolo di consegnare ciò che dobbiamo al cliente nei tempi più stretti possibili, senza porre limite alle nostre ore di lavoro, ai nostri numeri di telefono privati, al nostro tempo libero. E siamo ancora noi, NONOSTANTE TUTTO QUESTO, a vederci revocare, senza possilità di trattativa, i nostri mandati. Perchè un altro magari dico MAGARI costa meno. Tu ti trovi ad aver seguito, magari per 15 anni, un cliente, che con te è cresciuto, si è espanso (parlo proprio di un caso specifico), e lo ha fatto ANCHE grazie a te, che lo hai seguito come un figlio. Questo è il nostro mondo. Un popolo enorme e silenzioso che non fa il gran casino che fanno altri, non promuove carnevali, non grida nelle piazze, non ha il Beppe Sala con la maglietta con la bandierina dell’ordine professionale, o degli artigiani, o dei disoccupati, o dei lavoratori che, per un utile da fame, foraggiano le casse dello Stato. Un popolo che cerca di districarsi come può tra i meandri di un sistema malato, incapace di gestire i grandi evasori pertanto predatore dei piccoli. Incapace di gestire anche delle iniziative intelligenti (vogliamo parlare del 110?) perchè lo affossa tra variazioni, blocchi, presunte illegalità mentre quelle vere sono da sempre sotto gli occhi di TUTTI (Ligresti a Milano?). Comunque GRAZIE, a quei clienti che ci lasciano, senza giusta causa, senza motivazione, perchè NON CE L’HANNO la motivazione. Tant’è che non hanno il coraggio di venire a parlare, loro. Mandano la PEC. Punto. Codardi, ingrati e irriconoscenti. Perchè il coraggio di chiamare al sabato, alla domenica, o alle otto di sera, lo hanno avuto. E puntualmente sono stati ascoltati. Sì, IRRICONOSCENZA è il termine preciso, perchè tutti i privilegi che NON HANNO PAGATO COI SOLDI, si pagano con la riconoscenza, con la fiducia, con la costruzione, insieme, dei progetti, della crescita, delle condivisioni. Con la certezza che chi ha fatto i tuoi interessi quando eri piccolo, li farà anche ora che sei cresciuto. Si pagano con i fatti e non con la codardia, liquidando anni di rapporti con una PEC. Sacrosanto che “la riconoscenza è una malattia del cane, non trasmettibile alla maggior parte degli uomini” Amen

foto dal web, rimovibile dietro richiesta

I MALCELATI

E poi ci sono quelle cose che bucano il cuore.. Cose che accadono, eventi, piccoli a volte, ma con il grande potere di bucare il cuore attraverso quella sottile, sottilissima membrana che è il tempo. Il tempo non seppellisce un bel niente. Emozioni e dolori antichi se ne stanno nascosti ma vigili, svegli, lucidi come allora. Basta una canzone, una delusione, ed eccoli li, saltellanti come giovincelli, pieni di energia e di vita, carichi e in forma smagliante. Atletici. Non c’è niente da fare: il tempo non è una medicina, nemmeno omeopatica ahimè: non bastano somministrazioni infinitesimali di tempo, non bastano, no che non bastano. Come non basta stordirsi di musica, libri, arte, bellezza.

Il danno peggiore: seppellire. Niente è più dannoso della sepoltura: i bastardi escono fuori come vermi dalla terra altro che sepoltura. Non ci stanno nel nascondiglio, men che meno nella tomba. Cercano luce, come fanno i germogli a primavera. Magari cantando “e io rinascerò” sull’aria di Cocciante. Cocciuti sono!! Non ti mollano, si attorcigliano ai nervi, alle fibre dell’anima, si insinuano nel tessuto del cuore e.. niente. Niente da fare. Allora usi le (poche) armi che hai, poche, perché questi sono resistenti, altro che il Covid-19. Gli fa un baffo il Covid-19. Dilettante!

Le armi dicevo che hai sono .. quali sono? L’ ironia, un po’ di umorismo? Bè aiutano. Il sarcasmo? NO. Il sarcasmo no, quello lo detesto, l’ho già detto qualche volta. E’ proprio dei deboli, dei falliti insomma di quelli senza speranza perché è il linguaggio della cattiveria, dell’invidia, del risentimento, della debolezza, della rabbia calcificata, mai risolta. Quali armi… dunque? Mah. La meditazione e la riflessione potrebbero aiutare.. Meglio l’accettazione, senza dubbio. Accettare che il tuo dolore passato e presente sia parte della vita, che senza il dolore non ci sarebbe la gioia e bla bla bla.. Ma vero. Ed è la cosa più intelligente da fare. Accettare, passare oltre e nel frattempo prendere il bello che c’è. Una specie di panacea, che non è anestesia, ma qualcosa di attivo. Quindi lavori, ti nutri, vai in giro per il lago con la moto, accogli il sole, vento, pioggia. Insomma.. vivi. I bastardi se ne stanno nascosti – per dirla tutta – nemmeno tanto bene – per poi saltare fuori al primo scossone che ti da’ qualcuno che ami. Qualcuno cui avevi dato la tua fiducia. Ma la domanda è: l’avevi, tu, meritata tutta, la fiducia? Mai deluso? Mai tradito?

Ehh.. il gioco si fa duro e non è vero che quando accade i duri cominciano a giocare. A volte i duri lasciano la partita. Con dignità. E non è sempre “scappare” ma capire quando è il tempo di fermarsi. E lasciar passare il tempo che serve. La sabbia deve sedimentare prima che l’acqua torni ad essere limpida. Nella tempesta l’acqua appare torbida, scura, sporca. Aspettare. Ricacciamo in tana i dolori, quelli antichi A volte sono loro ad esasperare ed amplificare le cose che ci appaiono delusioni. A volte sono proprio questi dolori bastardi ad uscire con in mano spade fucili e picconi. Producendo un eccesso di sentimenti tra cui anche un po’ di rabbia. E’ difficile quando si ha a che fare con sé, con i propri laghi dentro. Aspettare che la sabbia si posi sul fondo spesso è la sola cosa da fare. Ma come diceva la mia nonna non basta una vita per diventare saggi. E nemmeno due… E nemmeno tre…

Ma deve essere una tana non abusiva, quella per gli antichi dolori, una stanza degli ospiti, arieggiata e curata. Perchè deve accogliere una parte di ciò che siamo: la nostra storia. A volte questi piccoli bastardi escono allo scoperto con ottime ragioni, si fanno sentire, chiedono rispetto. Riscatto. Ma non sempre la nostra mente il nostro cuore le nostre parole sanno ascoltarli nel modo giusto e soprattutto non sempre sappiamo agire nel modo giusto. Anche quando è giusto. Non sono nemmeno bastardi, a dire il vero. E’ roba nostra. Va solo ascoltata per bene, e deve produrre solo cose buone.

ELISABETTA, LA GATTA, E IL TETTO CHE SCOTTA

ASIAGO, FOTO MIA

Un tappeto di crocus di Asiago per Elisabetta.. “Ecco, io dal davanzale guardo la luna e le stelle disquisendo con Lucertola. Le stelle, belle le stelle, quando ero una gatta giovane avevo un fidanzato gatto di Asiago che, nelle notti in cui gli astronomi lavoravano in osservatorio, mi ci portava a vedere le stelle dal telescopio“.

Bè, ora le stelle non le vede più col telescopio: ci piace pensare che le abita, e che senza alcun telescopio, vede questo prato. Noi da qui invece vediamo prati di stelle solo se andiamo in luoghi bui. E dove sono ormai i luoghi bui? Dovremmo stare in alto mare, o sulle vette dei monti. Oppure in luoghi speciali. Ma siamo qui, nelle nostre città, con le nostre piccole grandi lotte quotidiane, con la nostra voglia e il bisogno di stelle e di silenzi. Con i nostri dolori, le nostre mancanze, le nostalgie. Passeggiamo, piccoli, in questo che chiamano “sito”, dove manchi tanto. Ciao Betta. Ti arrivi il profumo dei crocus. Mandaci un po’ del profumo delle stelle. E un po’ di silenzio. Un po’ di magia. Ne abbiamo bisogno.

Il menestrello della luna ti omaggia di questo. Non è Piazza Giudici, gremita di turisti, troppi. Calpestata e un po’ ferita (i turisti sanno anche ferire, si sa). E’ dai tetti di Firenze, e -spiego per chi non ci conosce – anche se non si vede, c’è una gatta sul tetto che scotta. E’ una gatta che non sente che il tetto scotta, perchè speciale. Così speciale che non si vede ma c’è. E si sente. Divertita ha seguito tutto il lavoro del menestrello-ingegnere mentre costruiva la meridiana. E divertita ha detto “la mia vita è piena di ingegneri..” Si, Betta, vero. E tutti speciali, molto speciali, dal menestrello al Miomao, passando per Zarziguli e Miciola. Non in questo ordine, ovviamente. Comunque ingegneri speciali. Mica ingegneri e basta.

Dedicato a Betta, e poi anche a tutti i controlucini che hanno voluto continuare a leggere e passare di qui, questo solstizio d’estate rovente, celebrato, questa volta, sul tetto che scotta. Tutti insieme.

Foto e Meridiana, Riccardo- Dedicate a Elisabetta

LUDOVICO ADDIO

E’ il tempo di un altro saluto. Quello definitivo, quello che cancella i passi sulla strada o forse li conserva, come le impronte sull’asfalto quando è bollente.
In tutti i casi è un addio, l’ennesimo della mia vita. Ludovico è un nome inventato, ma ti starebbe benissimo addosso. E’ un nome antico, classico, importante. Inventato come Celeste, che pure mi sta bene addosso, almeno, secondo te.
Dicevi “allora, quando posso vederti? Mi mancano i tuoi occhi celesti.. li voglio a Parigi” .
Pioveva a Parigi, 4 giorni a Parigi, 4 di pioggia. Non era celeste per niente.
Ma, forse perché per te era casa (tanto quanto Milano o forse di più) Parigi ha fatto in modo che il suo cielo non ci piovesse mai addosso. Nemmeno un minuto in quattro giorni. Fuori pioveva, e noi al Louvre. Fuori pioveva, e noi a pranzo. Fuori pioveva, e noi in qualche caffetteria a prendere il tè del pomeriggio. Coi pasticcini. Chissà se hai mai iniziato quel libro che volevi scrivere sulle caffetterie di Parigi. Non lo saprò mai. Non c’è più la nostra Terra di mezzo, dove ci incontravamo. L’ultimo ricordo di te è una colazione a casa tua (a Milano il piccolo pranzo si chiama colazione). I rotolini di carne con dentro il prosciutto e il formaggio: vieni, ti faccio fare i “rotolini” dalla Tatiana che li fa buonissimi. E ‘vero, erano buonissimi, ma bello è stato trovarci, parlare di quando si lavorava insieme. Ti eri stupito che ricordassi il nome del tuo tabacco da pipa: non potrei mai dimenticarlo: quante volte sono andata a comperarlo per te!  Avrei voluto scrivere in Controluce lo stesso giorno in cui hai salutato questo mondo e ovviamente la nostra Terra di mezzo, venti giorni fa, ma scrivo adesso, le cose vengono quando vengono e Controluce da sempre raccoglie in qualche modo, le mie emozioni più dense. Mi sono sentita un po’ orfana, alla notizia. Una sensazione che non aspettavo di provare così: temevo da un po’ questo evento e sì, la sensazione mi ha sorpresa: un senso di abbandono, così viscerale, profondo, netto. Nessuno più mi farà vedere Parigi con gli occhi di un ingegnere un po’ poeta: non è comune spiegare in poesia la prospettiva Haussmann. E non è comune spiegare qualche opera del Louvre senza togliere nulla alla meraviglia. E il Museo d’Orsay? La pioggia fuori, fortissima, diluvio, e noi dentro, a perderci tra il Liberty e gli impressionisti. Il tuo sguardo divertito un po’ sornione che seguiva i miei percorsi spettinati. Poi la passeggiata a Montmartre: “io salgo coi miei tempi… sono lento”. Per poi ritrovarti – il tempo di scattare una foto a due turisti – fresco come una rosa a metà scalinata, con l’inseparabile loden verde e le scarpe inglesi. Le risate per la cartina al contrario, e l’affascinante vigile del fuoco cui chiedere per gioco le indicazioni. Ovviamente la cartina non serviva: hai sempre avuto in tasca Parigi tutta intera.
Avevo scritto di te, in Controluce, copio e incollo perché linkare soltanto non è compiutezza. Addio per sempre Ludovico. Negli ultimi tempi ci siamo visti pochissimo, però sapevo che c’eri, a Milano, a 20 minuti da piedi da dove lavoro. In qualche modo era rassicurante. Mi manchi, mi mancherai.

TERRA DI MEZZO – ANNO 2008 – copio incollo da questo sito.
Esiste un posto dove esseri appartenenti a mondi differenti possono condividere del tempo?
Ludovico ed io siamo figli di stelle differenti, a loro volta nate in differenti galassie, ospitate in differenti universi.
Lui vive in un mondo che non mi appartiene e al quale io non appartengo; il suo è un mondo che comprende mondanità, serate a teatro, concerti e dopo concerti, cene e ricevimenti dove gli uomini del suo stesso universo scambiano affari, le signore organizzano feste di beneficenza e sfilate di moda.
In quei salotti si costituiscono società, si stringono mani e alleanze, si promuovono iniziative culturali, si concludono affari. In quei luoghi avvengono incontri che tessono i fili della grande rete che si chiama pubbliche relazioni altrimenti dette “public relation”.
Ludovico ed io ci conosciamo da molti anni; io ero una giovane donna lui già un uomo. Poi, mentre io diventavo una donna e lui un uomo maturo le nostre strade non si incrociarono più, fino a tre anni fa, quando lui mi chiamò e ricominciammo a vederci, nella Terra di mezzo. In una e-mail mi scrisse: lo troverò, il modo di incontrarci, devo trovare un terreno dove poter costruire qualcosa… Sono o non sono un ingegnere?
Anche a Parigi, trovammo la Terra di mezzo sulla quale stare. Da uomo professionalmente competente nonché profondo conoscitore e amante di Arte e di Storia qual è, mi mostrava una Parigi attraverso i suoi occhi, il suo sapere e il suo cuore. Nel magico quartiere latino trovammo odori, sapori e colori di una Terra comune che apparteneva ad entrambi. Milano per Ludovico è un posto dove stare, tra un viaggio ed un altro, una sosta necessaria per riposare e per organizzare il viaggio successivo, per aggiornare l’agenda con i nuovi appuntamenti: mostre, concerti, amici, incontri, presentazioni, mostre, inaugurazioni. La famiglia, gli affetti, un po’ di lavoro. E poi via, di nuovo. Amsterdam, New York, Londra (“ormai succede tutto a Londra; Parigi è come una vecchia Signora sdraiata che luccica di ori passati”).
Ma Parigi sempre. Parigi è una seconda casa o forse la vera casa. Il rifugio. Le passeggiate lungo la Senna: “d’autunno è splendido il lungo Senna, sto passeggiando ora… mentre ti parlo, vedessi cosa non è..”.
Già… Ludovico… Ci siamo visti due giorni fa, nella Terra di mezzo, ti ho parlato di questo blog, ti ho linkato l’indirizzo. Chissà se lo hai visto, ma credo di si. Chissà se lo rivedrai. Se leggerai di Ludovico e Celeste.
Parole scritte in una Terra di mezzo, che poi è la stessa terra di un blog. Sì, un blog vive in una Terra di mezzo che si stende tra la terra di chi scrive e quella di chi legge. E poi anche perché in un blog si scrivono cose che stanno nel mezzo, tra il personale e il generico. Tra il serio e il faceto. Tra il quotidiano e il sogno.
E sai che ci vedremo ancora e soltanto nella Terra di mezzo perché sai che è il solo luogo dove possiamo incontrarci, prendere la nostra insalata e il nostro caffè: il mio normale e senza zucchero, il tuo di orzo in tazza grande.
Poi la passeggiata, passando tra le Colonne di San Lorenzo. Infine, un abbraccio, nella Terra di mezzo. Mi volto e vedo la tua figura, il tuo blazer blu che si allontana e io sono già nel mio universo mentre tu stai raggiungendo il tuo, con il tuo passo costante e riflessivo. Elegante.
E ti immagino mentre tiri fuori il tuo orologio da taschino, lo guardi e lo rimetti via e rivolgi lo sguardo alle Basiliche. Lasciando la Terra di mezzo ad aspettarci; ci accoglierà la prossima volta.
Era bella Notre Dame sotto le nuvole scure…. Il gotico stagliato contro il gotico cielo di Parigi d’inverno, fredda e piovosa. Dalla Terra di mezzo appariva perfettamente intonata al suo cielo e anche ad alcuni momenti della vita, quando i cuori si somigliano, al di qua come al di là delle Terre di mezzo. Mi tornano alla mente delle parole che mi disse un giorno un amico carissimo: è il dolore che rende gli uomini tutti uguali.
Arrivederci Ludovico. Non te l’ho mai detto, ma ti voglio bene. Abbi cura dei tuoi giorni e della tua vita. La Terra di mezzo ci accoglierà al prossimo caffè. Il mio normale e senza zucchero, il tuo di orzo, in tazza grande.

al Museo d’Orsay

SPETTINATURE

Gaetano Bellei

Vivere spettinati. Perché tutte le cose belle, spettinano.
Ed è vero. Spettina il vento, spettina una corsa in moto (peccato il casco…). Spettina l’amore.
Spettina il gioco, spettina correre, nuotare. Muoversi.
Spettinati e bagnati. Bagna la pioggia (che risate quando piove e hai la macchina a un chilometro..)
Bagna i capelli una nuotata.
Io ho anche i pensieri spettinati: un tempo pensavo di non essere normale. Adesso invece non lo penso più o penso che qualora non fossi normale: menomale!!.
Amo gli alberi spettinati: quando si donano al vento è magia. Una danza. Secondo me ridono anche.
Parliamo del vento quello che accarezza ma non distrugge. Naturalmente.
Parliamo dell’amore, quello che spettina e non fa male, non violenta. Quello non immaturo, quello adulto. Dolce, consapevole. E parliamo della pioggia anche quella che bagna e non devasta. Quella benedetta, che rende l’ampiezza ai fiumi.. Quel liquido che inonda e riempie i fianchi.
Dentro la mia testa e dentro il mio cuore ci deve essere spesso il vento.. Come la canzone di Dalla: conosco un posto nel mio cuore dove tira sempre il vento…
Vivere spettinati e correre al mare che è spettinato pure lui. Rincorrersi da spettinati. Amarsi da spettinati.
Vivere. Spettinati. Ci sono cose che il vento trasforma in perfezione.

William Quiller

GIORGIO SE TU FOSSI QUI..

Teatro Canzone, Giorgio Gaber. Questo lo ha scritto nel lontano 1996. Mi domando cosa direbbe adesso, con i divi superstars. Tutti virologi e adesso, dalla guerra all’Ucraina, tutti strateghi. Oh Giorgio!! C’è un’aria !!! Devi vedere che aria!!

Ti immagino ghignare con la differenza che adesso, se sei da qualche parte, non te ne frega più un cavolo! Mi manchi tanto. Sono cresciuta con te, con Enzo, Cochi e Renato, e altri. Siete attorcigliati alle mie fibre. E di questo mi considero fortunata. E mi manca anche la Milano tua e di Enzo. Il Lirico, il Piccolo, il bar del Giambellino, la Martesana. Il Gerolamo. Il “Bolgia Umana”. Milano è differente, moderna, europea. Ma mi manca quella Milano, la tua, la vostra. Quella Milano-tetta dalla quale tutti hanno ciucciato… e poi messa da parte. Milano è stata, ed è, per molti, un’occasione e basta, una città da cui prendere, attingere, una città da usare, rapinare, per poi magari deridere. Molti che nominano Milano dovrebbero lavarsi la bocca col sapone. Ecco.. tout court.

Mi mancano tutte queste cose, ma le ho ricevute in eredità. Vivono dentro di me, come te, Enzo e altri. E nessuno potrà mai portarmele via. Parafrasando Enzo, “io se tu fossi qui, farei un duo”. Quanto mi piacerebbe!!!

Ecco, questo è il brano cui penso quando (ormai raramente e quasi per caso) vedo le superstar attuali alla tivvù. Tutti fenomeni. Un po’ cretini? O forse sono i milioni?

Un troppo, l’unica vera aspirazione, degli uomini degli anni ’90, è il successo
D’altronde è comprensibile
Il successo significa da sempre avere la stima degli altri
Il riconoscimento dei propri meriti e delle proprie capacità
Ma il successo degli anni 90, ha una sua caratteristica
Quella di coincidere totalmente con la popolarità
Uno ha successo solo se è popolare
E dato che i gusti della gente sono imprevedibili
Uno può essere popolare perché è bello, perché è simpatico, perché è bravo
No, non perché è bravo…
Perché è buono, perché è patetico, perché è demenziale, perché è bravo…
Eh, no, non perché è bravo…
Perché è ridicolo, perché è viscido, perché è antipattico, perché…
Ma non perché è bravo, perché magari fa schifo
E la gente per la strada, gli conosci, lo ferma e gli dice
“Complimenti, lei è il più schifoso!”
Nessuno, nessuno è esente da questa febbre di popolarità
A parte quelli che si esibiscono per professione
Che a questo punto sono diventati i più discreti
Il campionario degli aspiranti è praticamente infinito
Impiegati, piccoli artigiani, assessori comunali
Mamme di tossicodipendenti, pescatori, preti, pornostar, scienziati, magistrati, giornalisti, ministri
E presidenti della repubblica
E anche papi
Tutti vorrebbero la prima pagina del “Times”
Non ha importanza la qualità delle cose che fai
L’importante è farsi conoscere
E questo è un bel vantaggio per le giovani generazioni
Che dovevano occuparsi della loro formazione per diventare seri, preparati, uomini di pensiero
Ma quale pensiero
La vera formazione professionale è quella che ti apre le porte per andare da Maurizio Costanzo
Da Gerry Scotti, da Frizzi, e poi da Bonolis, da Castagna, dalla De Filippi e da Magalli
E anche da Marzullo… sottovoce
E quando torni a casa tutti ti guardano con curiosità
Forse con ammirazione, tu senti di avere più potere, più fascino
E avverti subito negli occhi delle ragazze una luce strana
Che ti fa capire le nuove enormi possibilità di affermare il tuo gene egoista
Cioè di scopare
La popolarità quindi non richiede oggi una particolare genialità
Anche se l’intelligenza non è un impedimento
Però, dal panorama dei personaggi più famosi
Si arriva tristemente alla conclusione che per avere successo è meglio essere un po’ cretini
Cretini, ma popolari
D’altronde non esistono che due possibilità
O sei un cretino conosciuto, o sei un cretino qualsiasi

A proposito Giorgio: se la tua generazione ha perso ... devi vedere adesso!

LA STORIA

La storia è scritta dai vincitori. La Storia.. Non la Verità.

Durante queste settimane di guerra, di dolore, di paura, ecco che, come succede spesso, si insinua qualche canzone. Già. Le canzoni: se hai qualcosa nel cuore, le canzoni lo trovano, che sia paura, tristezza, un ricordo. Mi chiedo cosa, questo tempo, sta consegnando alla Storia. Un tempo di conquiste spaziali, passeggiate tra le stelle, imprese impensabili fino a una manciata di anni fa. Tempi di robot e di computer. e…..tempi moderni.. Tempi di guerra. Tempi di pandemia. Un medioevo che non è mai finito nonostante il Rinascimento, l’Illuminismo e la Rivoluzione Industriale? Chi verrà dopo di noi, come definirà questo Tempo? Come definirà la Storia? E sarà scritta da chi questa nostra Storia? Dai vincitori? E chi vince? Chi perde? E qual è la Verità?

Curzio Malaparte scrisse: “Non so quale sia più difficile, se il mestiere del vinto o quello del vincitore. Ma una cosa so certamente, che il valore umano dei vinti è superiore a quello dei vincitori. Tutto il mio cristianesimo è in questa certezza, che ho tentato di comunicare agli altri nel mio libro La pelle, e che molti, senza dubbio per eccesso di orgoglio, di stupida vanagloria, non hanno capito, o han preferito rifiutare, per la tranquillità della loro coscienza. In questi ultimi anni, ho viaggiato, spesso, e a lungo, nei paesi dei vincitori e in quelli dei vinti, ma dove mi trovo meglio, è tra i vinti. Non perché mi piaccia assistere allo spettacolo della miseria altrui, e dell’umiliazione, ma perché l’uomo è tollerabile, accettabile, soltanto nella miseria e nell’umiliazione. L’uomo nella fortuna, l’uomo seduto sul trono del suo orgoglio, della sua potenza, della sua felicità, l’uomo vestito dei suoi orpelli e della sua insolenza di vincitore, l’uomo seduto sul Campidoglio, per usare una immagine classica, è uno spettacolo ripugnante”.

La guerra che verrà non è la prima.
Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente faceva la fame.
Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente (Bertol Brecht)

Francesco de Gregori:

La storia siamo
noi, nessuno si senta offeso,
siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.
La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso.
La storia siamo noi, siamo noi queste onde nel mare,
questo rumore che rompe il silenzio,
questo silenzio così duro da masticare.
E poi ti dicono “Tutti sono uguali,
tutti rubano alla stessa maniera”.
Ma è solo un modo per convincerti
a restare chiuso dentro casa quando viene la sera.
Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone,
la storia entra dentro le stanze, le brucia,
la storia dà torto e dà ragione.
La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere,
siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere.
E poi la gente, (perchè è la gente che fa la storia)
quando si tratta di scegliere e di andare,
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,
che sanno benissimo cosa fare.
Quelli che hanno letto milioni di libri
e quelli che non sanno nemmeno parlare,
ed è per questo che la storia dà i brividi,
perchè nessuno la può fermare.
La storia siamo noi, siamo noi padri e figli,
siamo noi, bella ciao, che partiamo.
La storia non ha nascondigli,
la storia non passa la mano.
La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano.

DI DIFFIDENZA

Pinuccia, in un commento al post precedente, oltre ad una mia recente riflessione nata da esperienze di vita, hanno ispirato questo post. Pazienza se posso apparire un po’ psicologa – lungi da me. E’ pura riflessione ricamata a punto croce (ci sta bene 🙂 ..) su scampoli di vita vissuta, su pezzi di quotidiano che rendono pesante il quotidiano, specie nelle sfere generalmente meno divertenti e piacevoli della vita (lavoro… per esempio).

Dalla Treccani: diffidènza s. f. [dal lat. diffidentia]. – L’esser diffidente, mancanza di fiducia negli altri per timore o sospetto di essere ingannato: uomo pieno di d. verso tutti; guardare, procedere con d.; suscitare diffidenza.

Mi sono confrontata – e mi confronto spesso – mio malgrado, con persone oltremodo diffidenti. Persone guardinghe, generalmente aride, fredde, distaccate, arcigne. Solitarie. Chiuse non nel senso di “riservate” bensì chiuse alla vita, agli altri. Indisponibili, ingenerosi, incapaci di empatia. Dovessi disegnare queste esistenze userei un pattern desertico, con qualche pianta grassa qua e là, poche oasi, ovviamente recintate (non sia mai..) Sguardi accigliati, fronti corrugate. Queste persone si sentono continuamente minacciate, sotto esame, sotto attacco. Non si tratta di diffidenza selettiva, ma “a prescindere”. Guardano gli altri come nemici, si sentono sempre sotto la lente del giudizio altrui e ovviamente mettono a punto difese del tutto immotivate. Usano il sarcasmo, che è il linguaggio della rabbia, tipica di chi ha un enorme disagio dentro e un grande bisogno di essere amato, gratificato, ascoltato, accolto.

Brutta cosa il sarcasmo. La trovo un’arma bieca, meschina, che racconta la personalità di chi la usa. E si rivela un boomerang, poichè divulga le proprie debolezze. Di questi tempi sono pieni i social di modelli del genere: vignette varie con atteggiamenti e frasi e consigli stile superuomo-superdonna che come i denim-men “non-devono-chiedere-mai”, affettivamente apparentemente autosufficienti – in realtà quasi sempre dipendenti. Autoreferenti, sempre. Queste sono le tendenze attuali. Mi ricollego un po’ anche in questo post

Non serve una laurea in psicologia per comprendere che queste persone sono state evidentemente oggetto di svalutazione, disapprovazione, giudizio. Di certo qualcuno ha tarpato loro le ali. Le difese che mettono in atto, invece di mostrare forza, rivelano una sconfinata fragilità, una personalità vulnerabile.

Misurarsi ogni giorno con soggetti come questi, è faticoso, e richiede continuamente il “passare sopra” certi atteggiamenti, portare una grande pazienza senza aspettarsi granchè: queste persone sono incapaci di coltivare relazioni serene, solari, edificanti, appaganti. Non si lasciano andare mai. Bisognose di esercitare il controllo e di dimostrare, in ogni momento e circostanza la propria innocenza, sospettose oltremodo pertanto decise ad essere al di sopra di ogni sospetto, reagiscono ad un normale confronto come fosse un’accusa, trasformandosi in (inutili) macchine da guerra.

La diffidenza è figlia della paura, e la paura è un sentimento che, tra le altre cose, impedisce di crescere e maturare, di uscire da una prolungata adolescenza, superare quella fase in cui un individuo diventa un uomo/una donna capace di rapportarsi con gli altri.

E’ vero: la vita insegna a non fidarsi troppo, ad essere cauti e a proteggersi. Ed è giusto, è un dovere. E’ legittimo e consigliabile. Ma come tutti gli eccessi, anche l’eccesso di diffidenza fa male, soprattutto a sé. Esclude le belle relazioni, quelle danze nel salone più bello della vita, con le luci accese, i sorrisi, gli scambi di sguardi e di mani, gli appuntamenti, la gioia di trovarsi e ritrovarsi.  Esclude il tango. La sensualità nel procedere, arretrare, trovarsi ritrovarsi. L’intensità. La profondità, l’intesa, la complicità. La complicità. Aggiungerei la libertà. Libertà di amare, di sentire, e di farsi sentire, di darsi e di accogliere. Bisogni ancestrali di ogni essere vivente. Scusate se è poco.. Naturalmente c’è l’altra diffidenza, quella che può salvarci la vita. Ma è un’altra storia e non è quella di questo post che è dedicato alle emozioni, ai sentimenti, al governo della propria vita con equilibrio e adeguata conoscenza di sè, dei propri limiti, del mondo in generale.

Come sono belli quegli sguardi limpidi, quei volti coi sorrisi spontanei e rilassati! E come è bella l’accoglienza, e la condivisione! E come è bello fidarsi! Pazienza se si patisce qualche delusione: qualche rimpianto è preferibile ad un numero incalcolabile di rimorsi e di occasioni perse. E quanto è affascinante la spontaneità di un essere umano che si lascia andare con l’anima, con il cuore, e il calore e la bellezza di chi è in pace con sé e vuole credere a chi ha davanti! Affascinante e seducente. Capita di stare accanto a qualcuno, anche di sconosciuto, sul bus, in treno, al parco, e percepire una sensazione di calma e di benessere. Sarà l’aurea che circonda queste persone, energia calda e calma, che ti fa sorridere senza sapere di cosa e perchè?

Una condanna è invece trovarsi a pensare “questo/a mi frega devo stare attento/a”… Una condanna senza grazia. A meno di provarci. Ogni giorno porta con sé delle possibilità: sperimentare un differente modo di approcciarsi alla vita può cambiare il modo di percepire il prossimo e regalare una vita più soddisfacente, più umana, più serena, più BELLA.

Sono convinta, da sempre, che cambiare sé, è impossibile:  Freud sosteneva che è nei primi sei anni di vita (ridotti a tre dalle neuroscienze moderne) che si definisce un individuo. Ma migliorarsi ogni giorno un po’, lavorare su ciò che ci rende infelici, è una strada che vale la pena di percorrere. Si dedicano tempo e risorse alla cura del corpo, ma poco alla cura dell’anima e della propria intelligenza emotiva. E’ una strada scomoda (manco a dirlo…), perché costringe alla autocritica e a passeggiarsi dentro, lungo gli argini di quei laghi scuri che abbiamo dentro. Ci costringe a trovare la via quando ci intrappoliamo dentro gli angoli, quando perdiamo le molliche di pane. Quando non sappiamo dove siamo perchè manca il sole, mancano le stelle. Ma provarci è meglio che nascondersi dietro il “io sono fatto/a così”.  Però … chi è felice così va bene così. Si tratta di scelte, come quasi sempre.

La diffidenza, al pari dell’acido, consuma ciò che la contiene

e divora chi la cova.” AMOS OS

LA SPERANZA

Intervista a Lucio Dalla: “Il testo di Futura nacque come una sceneggiatura, poi divenuta canzone. La scrissi una volta che andai a Berlino. Non avevo mai visto il Muro e mi feci portare da un taxi al Charlie Check Point, punto di passaggio tra Berlino est e Berlino Ovest. Chiesi al tassista di aspettare qualche minuto. Mi sedetti su una panchina e mi accesi una sigaretta. Poco dopo si fermò un altro taxi. Ne discese Phil Collins che si sedette nella panchina accanto alla mia e anche lui si mise a fumare una sigaretta. In quei giorni a Berlino c’era un concerto dei Genesis, che erano un mio mito. Tanto che mi venne la tentazione di avvicinarmi a Collins per conoscerlo, per dirgli che anch’io ero un musicista. Ma non volli spezzare la magia di quel momento. Rimanemmo mezz’ora in silenzio, ognuno per gli affari suoi. In quella mezz’ora scrissi il testo di Futura, la storia di questi due amanti, uno di Berlino Est, l’altro di Berlino Ovest che progettano di fare una figlia che si chiamerà Futura.”
Notizia trovata qui

Chissà, chissà domani
Su che cosa metteremo le mani
Se si potrà contare ancora le onde del mare
E alzare la testa
Non esser così seria
Rimani
I russi, i russi, gli americani
No lacrime, non fermarti fino a domani
Sarà stato forse un tuono
Non mi meraviglio
È una notte di fuoco
Dove sono le tue mani
Nascerà e non avrà paura nostro figlio
E chissà come sarà lui domani
Su quali strade camminerà
Cosa avrà nelle sue mani, le sue mani
Si muoverà e potrà volare
Nuoterà su una stella
Come sei bella
E se è una femmina si chiamerà
Futura
(….)

In questo periodo spesso tra me e me canticchio questa canzone. Alcune canzoni hanno un grande potere: sanno creare associazioni in modo che nemmeno tu te ne accorgi Si insinuano nei pensieri, costantemente, dal mattino alla sera, mentre passeggi, mentre lavori, mentre bevi un caffè, mentre fai la spesa, la doccia, la fila in posta. Tu non fai associazioni consapevoli, ma poi ci pensi ed ecco che diventa chiarissimo il perchè canticchi una canzone da giorni mesi, settimane. Un brano di speranza Non sapevo come fosse nata questa canzone. Poco fa ho trovato lo stralcio dell’intervista a Dalla che ho copiaincollato qui sopra e ho voluto condividerla in questo luogo a me caro. E mentre sto per scrivere, ancora le parole…

Qui tutto il mondo sembra fatto di vetro
E sta cadendo a pezzi come un vecchio presepio
(….)
In mezzo ai razzi e a un batticuore, più su
Son sicuro che c’e’ il sole
Ma che sole è un cappello di ghiaccio
Questo sole è una catena di ferro
Senza amore
Amore

Parole di questo brano che so a memoria da anni, che ha fatto parte di me, che fa parte di me adesso. E ora, più tristemente, fa parte del presente di tutti. Ciao Lucio. Ancora una volta hai dimostrato che non sei mai morto completamente.

https://youtu.be/JGmPdb0wjQc

E’ COSI’ CHE VANNO LE COSE

Ecco. Siamo un po’ in ritardo: la data giusta era ieri. E non è nemmeno Piazza Giudici ma l’ufficio del nostro ingegnere menestrello fotografo reporter. E va bene. Come recita il titolo “L’importante è esserci“. Quindi ecco il consueto contributo riccardiano per Controluce. Un luogo spesso silenzioso comunque mai chiassoso. Un luogo un po’ dolorante poichè è un luogo di sentimenti. E un luogo di sentimenti in questi tempi come potrebbe non essere un po’ dolorante? Sta facendo male tutto. Fa male come sta andando il mondo. Anche a me, come cantava Gaber “mi fa male il mondo”. Abbiamo perduto diversi treni: l’umanità ha perduto molte occasioni, molti treni non ripassano, e soprattutto la natura non perdona. L’umanità perde ogni giorno di più il buon senso, il senno, la luce. Questa immagine è l’omaggio della luce e dell’ombra. La luce che parla all’ombra e viceversa. Insieme parlano al mondo, a noi che sappiamo che ore sono ma non sappiamo davvero che ore sono. E’ una sola, l’ora: quella di renderci conto che questa piccola palla azzurra che è la terra ha bisogno di pace e di persone di pace, di persone che si parlano come sta facendo il sole sul foglio di Ricc. Il sole parla. Noi no. E il sole continuerà a parlare: che noi ci saremo o no. Per il sole sarà indifferente. Lui continuerà a firmare, lo farà e basta, perchè è così che vanno le cose. L’importante è esserci, questo dicevo poco fa a Ricc che mi ha passato questa immagine. L’importante è esserci. Ieri erano esplosi di fiori delle magnolie, lo fanno e basta. Perchè è così che vanno le cose. Ignare delle cose del mondo (o forse no) fioriscono perchè è primavera. Così come sono fiorite le piante di San Giuseppe perchè l’altro giorno era il 19 marzo e il 19 marzo era San Giuseppe. Perchè è così che vanno le cose. Ma per gli uomini non è così che vanno le cose perchè gli uomini credono di possedere il mondo e allora non è così che vanno le cose. Presto o tardi il sole e l’ombra lo diranno meglio. che non è così che debbono andare le cose. E le magnolie continueranno a fiorire, le piante di San Giuseppe anche. Il sole firmerà il foglio di Riccardo, il pavimento di Piazza Giudici, e la terra intera, per dirci che ore sono. Oppure per dirci che è troppo tardi. Perchè è così che vanno le cose: a volte è tardi, a volte è troppo tardi, a volte è tardissimo, e a volte non c’è davvero più tempo. Per noi di Controluce l’importante è esserci, con le nostre piccole celebrazioni, nel nostro piccolo… Mi sono accorta che solo nel piccolo c’è del buono. In tutte le cose piccole. Che sia un frutto di bosco, una goccia di rugiada, un fiocco di neve, un sorriso, una nocciola. Si. Noi ci siamo. E mai come adesso il nome Controluce mi era parso così denso di significato, impregnato di senso, nel suo vestito antico, fuori moda. E’ un nome che veste anche me, mi assomiglia, mi protegge. E’ nel controluce che trovo le firme di chi mi sta accanto. Nonostante tutto. Nonostante tutto.

21.03.2022

QUI MILANO CENTRALE

Stazione Centrale Milano – esterno

Possiedono un grande fascino, per me, le stazioni.  Rappresentano il movimento, il passaggio, il trasferimento. Il viaggio. Si oppongono a tutto ciò che è immobile, statico.  Ulisse Stacchini denominò il proprio progetto per la Stazione Centrale di Milano, “In motu vita” (La vita è nel movimento).

Luoghi di incontri e separazioni. Flusso ininterrotto di saluti, promesse, abbandoni, sorrisi, risate, lacrime. Testimoni di pietra e marmo di strazianti addii, arrivederci di soldati diretti alla guerra, abbracci di amanti, fughe romantiche. Ma anche deportazioni, orrori. Teatri di preghiere e di speranza. Non sono edifici e basta: sono luoghi sopra i quali scorrono pezzi di vita di uomini e donne. Muti spettatori di esistenze. Si può provare odio o felicità per un luogo come questo, a seconda di ciò che rappresenta o ha rappresentato. Spesso sono proprio le stazioni a fare da cornice ai momenti più forti della vita. 

L’imponenza silenziosa di questi edifici pare ricordarci che siamo piccoli esseri. Noi, con le nostre valigie, con dentro niente, con dentro tutto o con dentro tutto e niente: il passato che ci portiamo appresso, fatto a pezzi, piegato oppure tutto intero, afflosciato, disteso: il presente che trasciniamo sulle ruotine del trolley che saltella sulle fughe delle mattonelle o scivola sopra i disegni della palladiana. Il futuro invece è sempre un cartone su cui il tempo scrive man mano. A volte con la mano sbagliata, il tratto storto, sbavato, incerto. Tagliente, frastagliato. A volte netto, senza la grazia di una curva dolce. Formichine nel parco dell’esistenza, di corsa quando è tardi, lento pede quando è ancora presto: presto per un treno, per l’incontro, per lo scambio, per l’arrivo, per l’abbraccio. Per l’addio. O per un bacio strada facendo che però può cambiare tutto: l’obiettivo, la meta, e persino la lettura del passato riposto dentro la valigia. Spettatori, loro malgrado, i marmi, i muri, le altezze maestose, le decorazioni, le statue. I grandi orologi. Bellissimi a volte ma inclementi sempre: “Tempus fugit”. Anche quelli dorati e bellissimi, come lo è quello alla “Gare d’Orsay”, rammentano sempre la stessa cosa: il tempo fugge.

Questo post è figlio di qualche pensiero di qualche giorno fa: uno spazio interno la Stazione Centrale di Milano, da poco ospita “Mercato Centrale”, dedicato al food – moda e mania e ossessione del momento – Cibi di ogni genere, offerte di prodotti di tutti i tipi, ambiente vivace, allegro, rumoroso anche. Profumi che arrivano dai vari bistrot. Tu scegli, paghi, ti accomodi dove ti pare, consumi. Ho pranzato lì domenica: divertente, troppa gente, ma per qualche volta va bene.  Sulla metropolitana leggevo qualche recensione e una di queste riportava il commento sul cibo e poi “la location. ..bè… si sa… del resto è una stazione”... La stazione Centrale di Milano, “del resto una stazione”.  Un bel dire! Non serve essere esperti d’arte per notare il sapiente accostamento di stili – Liberty e Art Deco’, e l’imponenza tipica dello stile fascista. Un miracolo di armonia e di bellezza. Bastano un poco di sensibilità e un minimo di capacità di osservazione. Come non serve granché per rendersi conto di quanto sia maestosa questa stazione.

Milano Centrale, Galleria delle carrozze

Ma ormai ho imparato che la gente – molta, troppa gente, parla per luoghi comuni. Cammina senza guardare, o, peggio, lo fa guardando il cellulare. In poche parole molta gente “non è” nel punto dove si trova fisicamente. E poi quando deve esprimersi circa un luogo, allora sono luoghi comuni. Frasi fatte. Ho condiviso con Ricc questi pensieri e lui, che come tutti sappiamo è un ingegnere (nessuno è perfetto) ma anche un po’ poeta (il che lo salva dall’essere ingegnere) ha condiviso i suoi pensieri. Ed ecco la vita di questo post. Scritto a 4 zampe.

Milano Centrale – interno

DALLE ZAMPE DI RICC

Che poi sei lì che pensi a quel progetto, a quel cliente che voleva quella cosa; ma che poi serve davvero? E come giustificare il costo? Mah, vedrò cosa inventarmi. Si sta per arrivare, siamo piuttosto in orario, la metro dove era? E quale era la linea? Faccio sempre confusione ma poi so che mi ritrovo, non mi preoccupo. Da tanto tempo oramai Milano la conosco meglio.

Ecco siamo arrivati, mi preparo perché la mattina c’è sempre il fiume di gente, che si sembra persi in una transumanza umana giornaliera anziché annuale… tutti incanalati come l’acqua in un tubo, che poi si disperde in mille rivoli, ciascuno per conto suo.

Mi preparo; scusi, permesso, prego passi pure. Si scende. A capo basso si cammina a passo svelto, quello tipico del milanese che non c’ha tempo da perdere, mi viene da pensare in un sorriso. Magari con le cuffiette, che oramai paiono diventate d’obbligo come gli occhiali da sole, per dire proprio chiaro e tondo che voglio il mondo fuori.

Poi alzi lo sguardo, e dici: già, la stazione di Milano. Con la sua volta lontana che pare persa nel cielo e non toccare la terra. Già. Guarda che bella. E magari la gente del treno la lasci che sfili via col suo passo svelto e solitario, e ti fermi a guardare cercando un attimo di pace, un angolo senza ressa. Siamo in orario no? E allora dammi sti cinque minuti.
E’ spettacolare, vero? E c’è altro da aggiungere? No, non direi.

Guarda là: fusioni di ghisa, acciaio forgiato, chiodature, vetro, un disegno leggero e moderno, luce, aria. Ha un che di naturale, è imponente ma è praticamente invisibile se non ci fai caso. E’ una magia, eccezionale. La luce specialmente, e la leggerezza, sono le cose che più mi colpiscono. Quanto è strano che un pilone di acciaio forgiato e chiodato, che suscita scene infernali di lapilli, polvere, il rumore dei colpi assordanti dei magli e le grandi catene per sollevarlo, possa poi rivelarsi così leggero e slanciato, e luminoso.

In alto, sul pilone centrale, “Soc Naz Off Savigliano Costruì Anno IX EF” recita la targa. “Società Nazionale Officine di Savigliano, anno nono dell’era fascista”, nei perfetti caratteri e decorazioni di quel tempo. Le Officine di Savigliano sono state una sorta di mito nel loro genere: hanno fatto la storia della ferrovia italiana; hanno costruito, riparato ed aggiornato per decenni le locomotive più moderne e altrettanto hanno fatto per i ponti che piano piano spariscono e, appunto, le stazioni.

Beh, è ora di andare. Ripesco nella mente la metro, il cliente, quel progetto… Sì. Bisogna andare. Alla prossima, ti rivedrò stasera al ritorno, ma non sarà la stessa cosa. Al prossimo arrivo allora, d’accordo?
E riprendo la strada, almeno senza la folla sciamante, che non mi piace.

GRATITUDINE

Sono stata grata a questo Autunno, alla bellezza che è stato, ai colori e alle emozioni che mi ha regalato. Lavoro a poche centinaia di metri dal Castello Sforzesco e, durante la pausa pranzo, sono stata molte volte a passeggiare nel parco.

Spesso, in questi ultimi anni, gli alberi passano dal verde allo spoglio, senza offrire nulla della meraviglia e del miracolo della transizione. Questo autunno invece è stato morbido, generoso. E’ stato come un vino tondo, denso di odori, profumi delicati, profumi decisi. E’ stato un tripudio di bellezza e tante carezze sopra l’anima. In solitudine, pertanto in ottima compagnia, ho passeggiato, fotografato, ho osservato le famiglie di germani, ascoltato i pappagalli che stanno sopra i rami degli alberi più alti del parco. Mi sono goduta l’odore della terra, il suono delle foglie sotto le scarpe quando le foglie erano secche, e la morbida senzazione dell’affondarvi i piedi quando erano fresche.

Ho goduto dei cieli di turchese come di quelli nuvolosi ed entrambi i cieli sono stati sfondi perfetti per i grandi protagonisti, gli Alberi. Mi sono riempita gli occhi di colori, le narici di odori, e li ho lasciati rotolare in gola, fino a dentro. Odori sensuali, senza spigoli, tondi, densi come una pralina di cioccolato raffinato, come un vino di seta. Grazie a questo tempo, ho potuto resistere alle intemperie dei miei giorni, ho compensato l’asprezza e l’inclemenza di pensieri ruvidi. Mi sono concessa le necessarie soste: tregue vitali dalle preoccupazioni e dalle incertezze. Ascoltando i miei soli passi ho annusato come un animale questa stagione, questa fine estate e le sue promesse di primavera. Promesse che sono speranza di luce e di serenità. La mia solitudine è stata una meravigliosa compagnia: ho visto i rami offrirmi il frutto della speranza e una dolcezza che raramente si trova sul viso degli uomini.

Ormai da tempo è calato il sipario su questo magico autunno che porterò a lungo nel cuore, con gratitudine. Gratitudine: una parola che di questi tempi suona strana. Tutto pare sia dovuto, e molto scorre nell’indifferenza. Mai come in questo tempo mi sono resa conto che la vita è adesso. Che il solo momento che conta è quello che si sta vivendo, respirando, godendo. La vita scorre spesso come le immagini dal finestrino del treno. Invece occorre fermarsi ad annusare, lasciarsi possedere dalla bellezza. Che non va posseduta: siamo noi che ci dobbiamo concedere ad essa come amanti che si arrendono con fiducia.

LO GNOMONE LA BICI E IL REPORTER

Dopo il pedalò del precedente articolo, direi che la bicicletta ci sta bene. Buongiorno a tutti Controlucini e non. Oggi a Firenze c’è nuvolo, tra poco piove… mi dice il mio corrispondente da Firenze. E pure i giorni scorsi non era sta gran meraviglia. Queste foto mi fanno sorridere: ricordate la canzone “ma dove vai bellezza in bicicletta?”.. qui potremmo canticchiare “ma dove vai.. gnomone in bicicletta.. cosi di fretta, pedalando con ardor , e se tu lo vuoi, o prima o poi, arriveremo sul traguardo dell’amor.” La bicicletta è quella del mio corrispondente, Riccardo, la cui ombra doppia quella dello gnomone, che pare sia in procinto di salire sulla bici. La bici ……. “Ma dove vai bellezza in bicicletta, non aver fretta, resta un poco sul mio cuor. Lascia la bici, dammi i tuoi baci è tanto bello, tanto bello far l’amor.”

Dunque buon solstizio d’inverno 2021! Ecco le foto, scattate prudenzialmente il 12 dicembre perchè – e cito testualmente ” meglio portarsi avanti. che poi ci si ritrova alle porte coi sassi e magari la viene giù che dio la manda e un si pole più farne di nulla e quindi, cosa fatta, capo ha”. Parole di Riccardo, che oltre ad avere in tasca Firenze, scattare e mandarci foto, scrivere in Controluce (bei tempi…) ha anche una testa, un busto, due braccia, e di ciò ne è testimone l’ombra. E anche io, che lo conosco in carne ed ossa.

LENZUOLA E PEDALO’

Immagine da Pinterest. dietro richiesta verrà rimossa-

Questo è quello che facciamo ogni giorno – che faccio ogni giorno – In alcuni giorni specialmente. Perchè a volte gli strumenti non ci sono, non si trovano, oppure sono rotti. A volte nemmeno bastano: bisognerebbe fare giochi di prestigio, magie. Petula un giorno mi disse: “Non possiamo cambiare la direzione del vento ma possiamo orientare le vele“. Ecco. Parole sante, e nel frattempo sono diventata un marinaio esperto. Io, che sto male anche sul pedalò. E si naviga a vista, in attesa di sentire la vedetta arrampicata sull’albero che grida “Terra!! Terra!!”. Si perde la bussola, l’orientamento. Più “anagraficamente”, l’oriettamento. E, per amore, o per forza, o forse per tutte e due, faccio quello che posso, con quello che ho, nel posto in cui sono. E con fatica, con una spesa enorme di energie e risorse. Costa tutto di più “fare” senza attrezzi. Perchè per quanto si possa aver già studiato, sperimentato, vissuto, ogni situazione è differente. Differenti sono le cose, le situazioni, le persone. Non si finisce mai di imparare. Una volta la mia nonna Giuseppina me lo disse mentre insieme rifacevamo il letto e lei, a 70 anni, aveva scoperto un modo per non spiegazzare la balza del lenzuolo. Non si finisce mai di imparare!! Eh nonna, vero. Verissimo. Io sto cercando di rifare bene il letto, tenendo presente anche il tuo “trucco”. Ma se per caso passi da queste parti, vieni un attimo qui, che il letto magari lo rifacciamo insieme. Insomma: dammi una mano. E aspettiamo insieme “Terra!! – Terra!!”.

ASSOLI D’AUTUNNO

In un mondo in costante cambiamento e tecnologia in streaming, trovo conforto nella foresta dove un albero rimane un albero.  (Angie Weiland-Crosby).

Parole Sante. E siccome Controluce rimane Controluce ecco la consueta firma del Cielo. Direte voi: parli di tecnologia in streaming ma poi fai un articolo con un’ immagine tecnologica e in streaming. E vabbè, chi ha orecchie per intendere.. sa farlo. E chi ha cuore per leggere oltre, sa fare anche questo. Noi di Controluce abbiamo occhi per guardare: lo facciamo proprio chiudendo gli occhi. E abbiamo cuore per sentire. E pelle e tutto quanto al posto giusto, in questo mondo dove però non si capisce più cosa è e cosa non è “al posto giusto”. Per dirla tutta non si capisce nemmeno quale sia “il posto giusto”.  E nemmeno quali sono i buoni e quali i cattivi, si capisce più.  Grazie al cielo,  un albero rimane un albero, e noi di Controluce ne sappiamo di alberi: ci parliamo perfino con gli alberi. Un albero in Controluce è un’immagine bellissima: la luce si insinua, con le sue dita, tra i rami e regala giochi meravigliosi sul volto di chi sta nei pressi, si prende cura delle foglie che cadono e ne esalta i gialli, gli ori. I rossi. Un albero nei pensieri è una buona compagnia, un’antenna che unisce molto più del web e del telefono. E’ un filo conduttore che trasporta pensieri e carezze, voci mai sopite, odori perfino. E sapori.  Vi auguro un autunno dolce e migliore di sempre. E lo faccio con questa cosa meravigliosa, di Erri de Luca dal sito  https://fondazionerrideluca.com/web/bosco-in-autunno/

Il sentiero sale e dietro i primi alberi ogni suono di valle si attutisce fino a scomparire. Li sovrasta il calpestio dei passi sulle foglie cadute, il respiro che avvia la sua macchina a vapore.
Ai due compari che mi precedono, la salita mette nelle gambe un ritmo da bersaglieri, a me impone il passo pensoso dei ruminanti. Senza rallentare l’andatura mi presento il bosco che sto salendo. Al suolo bado a non schiacciare le piccole bacche rosse del sorbo dell’uccellatore, ai lati del sentiero si spogliano i fitti noccioli, i carpini robusti, i frassini che ancheggiano nel tronco. Più in alto i castagni hanno già deposto in terra i gusci levigati e i faggi si scrollano le foglie tondeggianti. Il fiato si riempie dei loro profumi macerati in terra.
Il giorno prima eravamo più in alto, dove gli alberi smettono e resiste nell’erba qualche fiore ostinato. Un gruppo di camosci sul versante in ombra si accorgeva in ritardo del nostro passaggio. È periodo di loro accoppiamenti e delle risse che decidono a chi spetta l’onore. Una piccola vipera, tardiva per i duemila metri, assorbiva calore su una pietra.
Il bosco è più intimo ambiente, ripido ma raccolto. La montagna è piazza aperta sotto il cielo, il bosco è museo, si va di sala in sala, da penombra a penombra, diverse per tipo di rami a copertura.
In una radura i resti di un vecchio mulino rammentano l’opera di comunità ingegnose che trasformavano lo scroscio di un torrente in forza motrice per la macina. La costruzione è avvolta dalla vegetazione che la riassorbe in se. Le opere decadono, resta la memoria della loro necessità.
Nel bosco si dimenticano le notizie del fondovalle, il succedersi dei presidenti, delle guerre, delle epidemie. Nel bosco le cronache sono i fulmini, gli incendi, le tempeste di vento, le valanghe, gli inverni. Lasciano un segno nei cerchi del tronco.
In discesa si sente il taglialegna che fa le ultime scorte.
Ognuno dovrebbe salire in un bosco d’autunno, compiere un giro di pellegrinaggio alle sorgenti dell’ossigeno. Non sono credente nell’alto dei cieli, credo alle stagioni della terra, unico esperimento della vita nella periferia della galassia. Credo al bosco che mi ha preceduto come un antenato e che proseguirà dopo di me.
Intanto lo attraverso e lo respiro.

SOCIAL-MENTE

immagine dal web

Si parla tanto, troppo, sul tema “autostima”, sul “volersi bene”. Soprattutto si chiacchiera. Il solito bla bla bla, le solite perle di saggezza, psicologia in pillole, anche in confezione spray. E’ tanto di moda, fa tanto cool.   Il pensiero comune viene, come per tutto il resto, manipolato dai social che suggeriscono, oltre a come vestirsi, tenere in ordine la casa, fare la valigia, disporre i vestiti nell’armadio, scegliere le vacanze ecc, anche come pensare ed essere e sentire. E vengono propinati stili di vita quali ricette di felicità, c’è il modello “autostima-volersibene – metteresèinprimopiano – direNOsenzadarespiegazioni” ecc ecc. che va tanto di moda. 

Tutti consigli che portano verso l’isolamento, la negazione dell’empatia e un mostruoso individualismo. Da qui una condanna ad una eterna solitudine. E’ fin troppo ovvio che l’autostima, la fiducia in sé, la cura di sé, sono cose importanti, anzi determinanti per vivere una vita serena e coltivare delle buone relazioni. RELAZIONI. Ecco la parola chiave. Relazioni. Ciò che questi “consigli” o “manuali di vita” non riportano è l’ovvia conseguenza: un deserto arido, una sconfinata solitudine, in cui il povero diavolo, ormai autoreferente, sprofonda. Nelle sabbie mobili del proprio egoismo. Con tutte le scarpe, con tutto il suo volersibene-metteresèinprimopiano-direNOsenzaspiegazioni.

Anche parecchi psicologi di questi tempi “moderni” insistono su questi concetti e mi domando se hanno, essi stessi, anche amici oltre ai clienti. Se siano capaci di relazionarsi in modo sano, piacevole e edificante con il prossimo e con il mondo in cui vivono, se siano capaci di provare amore, gentilezza, empatia (questa sconosciuta). Compassione. Ma è (manco a dirlo) già pronta la ricetta: “la solitudine è un valore”, “la solitudine è libertà” “, “la solitudine è passare maggior tempo con sé”, “la solitudine è arricchimento”. Certo, può essere tutto ciò, ma la solitudine non è -generalmente- una cosa buona: l’uomo è un animale gregario, ha bisogno tanto di relazioni quanto di pane. Dal mio punto di vista, e alla mia età, direi che ha bisogno di “buone relazioni” e di “buon pane”.  E volersi bene, sempre dal mio punto di vista, è prendersi cura di sé, e saper vivere al meglio ANCHE in solitudine: in quella solitudine che si sceglie e non subisce. E che per alcuni versi, in alcuni momenti, è vitale.  Ma che non può essere protagonista di una esistenza, a meno che non si scelgano alcune vie, l’ascetismo e via dicendo. Volersi bene è cercare di vivere una esistenza appagante, possibile solo se non si escludono valori quali donare il proprio tempo (che è diverso dal donare le proprie pause) senza trascurare sé. Essere capaci di disponibilità, compassione, condivisione. Il che non significa rinunciare a sé. E’ possibile, eccome se lo è. Nutrire l’anima. E’ questo che dà gioia. Con il volersi troppo bene si finisce col divorare SE’. L’anima si nutre di tutto ciò che l’universo dona, e di tutto ciò che è nella natura stessa degli uomini.

Non esistono solo il bianco e il nero. Sono per lo più le zone grigie quelle dove posiamo i piedini da piccini e procediamo per tutta la nostra vita. E le zone grigie hanno migliaia di sfumature. Ed è questo terreno la nostra palestra, il nostro teatro, la nostra casa. Ed è lì che combattiamo, sbagliamo, impariamo.  Ed è sempre lì che si deve imparare a pensare con la propria testa.

Vedo interi greggi di pecore che si piegano, come davanti a un Dio, ai “musthave” e “mustbe” del momento. Si abbuffano di stili di vita e di comportamenti fastfood, atteggiandosi al posto di essere, apparendo al posto di vivere. Soffocare la natura umana, la propria creatività, il proprio sentire a favore del pensiero già cotto-pronto-all’uso, è qualcosa che mi fa rabbrividire. Ma questo è ciò che vedo intorno a me: del resto è grazie all’esistenza di greggi che hanno tanto successo (e fanno tanti soldi) gli “influencer”. Come ho letto da qualche parte: senza deficienters non esisterebbero gli influencers. E probabilmente meno psicoterapeuti! O tempora o mores!

 

immagine dal web

LUCIANO

bolle blu (2)Ti saluto così, a modo mio. Semplicemente, con una stretta di mano. E ti immagino rispondermi con un sorriso, accennando un leggero e discreto inchino, cosa che facevi sempre con le donne – ragazze o signore – faceva lo stesso. Porto con me il ricordo del tuo passo leggero; leggero sul tappeto come sulla strada. Il passo leggero è un’ espressione dell’anima che dalla pancia si espande e si propaga, si allunga,  fino alle piante dei piedi. Ti saluto così, come tante volte a casa, e come tante volte ti vedo rispondermi, con lo sguardo mite eppure austero, quasi severo, di chi è abituato a decidere, abituato alle responsabilità.  E ricordo lo sguardo capace di accarezzare le cose belle: una pittura, un mobile, un tappeto. Un cristallo. O mentre sei impegnato a preparare una bella tavola, oppure concentrato in una costruzione. Il presepe. Il ranch dei cavalli:  grandezza tavolino da cucina quello per Aurora: niente lasciato al caso, nessun dettaglio trascurato. Il lampioncino della stalla che si accende per davvero. L’ albero e i cespugli con i rami e le foglie.  E la casetta degli uccellini? Lo sai, è a casa mia, sotto il portico, e ogni volta che la guardo, vi trovo un grande lavoro di pazienza ma soprattutto delicatezza e amore: le piccole tegole del tetto, la finestrella, la cassettina per il cibo. I dettagli sono importanti. Sono tutto, non è vero? Ti saluto così, a bassa voce, con lo stesso tono della tua, di voce. Un tono pacato, gentile. Il tono dei signori, quelli veri. Ho visto qualche volta le tue mani accarezzare i fiori. E le ho viste a coppa, nel raccogliere un leprotto. Le ho viste diventare culla di un uccello ferito. Le ho viste con le dita intrecciate a quelle di Anna: ho una fotografia di questo momento, forse non molto frequente nel resto del mondo, dopo 60 anni di convivenza (sai, i vecchi si vergognano un po’ a volte). Le ho viste tese in offerta delle piccole talee di ortensie 20 anni fa: “vanno tenute bagnate, chissà magari attecchiscono, adesso non fa testo se germogliano, a primavera germoglia tutto”. E sono attecchite, ovviamente. Costituiscono un filare spettacolare, a casa mia, lo sai, da anni. Le ho nominate “le mille bolle blu”. A casa sono “le ortensie del Lucio”. Le ho viste accudire la tua piccola nipote, le tue mani, con totale amore, cura, attenzione per quel corpicino spesso urlante quando era neonata (ricordi quanto strillava?).  Ti saluto così, perchè in altro modo non so fare. Non so parlare di te e non so nemmeno troppo parlare dei fatti del cuore e dell’anima. Mi vengono meglio scritte. Non so se hai attraversato quel ponte, in realtà non so nemmeno se ci sia o meno un ponte. So sempre meno, in questo Tempo e mi accorgo di sapere ancora meno. Ma se ti devo immaginare sopra quel ponte, allora ti vedo lasciare il passo alle signore, alle ragazze – fa lo stesso – ma anche alle persone anziane, anche meno anziane di te, con il tuo leggero inchino, il tuo modo di “farti da parte” così distintivo di forza ed eleganza.  Arrivi più tardi, dall’altra parte del ponte. Di sicuro. Specie se il cielo è teatro di alba o tramonto. La bellezza non ti potrebbe mai sfuggire, nemmeno (o soprattutto) da un’altra parte, diversa da qui. Specie se vi sono i verdi prati. Il canto degli uccelli. La luce. Buon cammino, Luciano. Abbi cura di te. Non ti chiedo di averne di noi: sarebbe inutile. Lo hai sempre fatto quindi, se mai è possibile farlo, lo stai facendo già. 

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SOLSTIZIO E SAN GIOVANNI

Buona estate, Controluce!  Posto qui le slides delle immagini scattate ieri dal nostro inviato super speciale. Non è proprio il 21 giugno, ma abbiamo preferito lasciare spazio ad Elisabetta, che merita gli onori di casa e che ci manca tantissimo. Il sole aspetta. E’ una strana estate, forse anche più strana dell’estate 2020 perchè non abbiamo certezze nemmeno adesso. Anzi… Ma noi andiamo avanti e non ci arrendiamo. Questi ultimi 7/8 mesi per me sono stati complicati: chi mi conosce al di là di queste pagine, lo sa. La mia vita privata è stata offuscata da qualche nube non proprio passeggera. Ma cerchiamo di rimontare in sella, usando, se necessario, gli sgabelli che abbiamo. Personalmente i miei sgabelli sono i miei cani, i miei fiori, la mia casa, il mio giardino. I miei amici, gli affetti. I libri. Le piccole cose. Posterò presto le foto dei miei fiori, sono un colorato messaggio di speranza, o almeno lo sono per me. Sto scrivendo dall’ufficio, in uno dei rarissimi  momenti di calma. Milano è tornata ad essere vivace, c’è gente, c’è la voglia di vivere, di spostarsi, di viaggiare. Sono stata poco fa in centro (lavoro a pochi minuti dal Duomo) ed era come se la pandemia non ci fosse mai stata, tolte le mascherine che diligentemente tutti portano, o quasi tutti.  Oggi è San Giovanni, festa a Firenze. Ieri ho scoperto (grazie, Luisa) la tradizione dell’Acqua di San Giovanni. Curiosità che ho approfondito.  Lascio un link, per condividere questa tradizione. Nemmeno a farlo apposta, è pubblicata qui:

https://www.lanazione.it/cronaca/leggenda-acqua-san-giovanni-1.6512179

Del resto tanto stano non è: San Giovanni è il Patrono di Firenze.  Mi congedo da questo articolo, tutto fiorentino e vi abbraccio tutti. Rinnovo gli auguri per una splendida estate, fatta di colori, di allegria, di riposo, buone letture e naturalmente di bei Controluce, perchè …. “Controluce perchè serve l’intuizione per leggere dentro i contorni. Oltre la sagoma. Dentro l’immagine visibile. Controluce perchè è l’immaginazione che nutre l’anima bella. Controluce perchè dentro i contorni i dettagli sono visibili solo ad alcuni.”   

NONNAPICCA

Un piccolo post per un grande augurio e un grande abbraccio. BUON COMPLEANNO PINUCCIA, da tutta Controluce, da me, e da Lara e Raf che pure posto, in tutta la loro bellezza insieme all’omaggio floreale che altro non è che un prato popolato dei miei fiori preferiti: le margherite. Le timide e allegre margherite che tanto scaldano il cuore con la loro semplicità commovente. Auguri, dal profondo del cuore. Si aggiunge il menestrello della luna, reporter del cielo, nonchè girovago degli spazi celesti.

PROTEZIONE

da RIC.OR.DI

Cucio ogni giorno un pezzo di coperta, per questo tempo. È fatta di scampoli di pomeriggi di sole, di fiori di montagna. Di mare di prima sera, quanto le stelline giocano sull’acqua. Fatti di tramonti dal campanile di Santa Eufemia, fatti di pelle calda e sudata. Fatti di abbracci che alle mie braccia mancano tanto. Fatti di pranzo al lago. Di orologi di stazioni, di treni. Di domeniche sotto i portici a chiacchierare con gli amici. Cucio ogni giorno un pezzetto di coperta, aggiungendo ogni volta una piastrella di ricordi. E’ una coperta corta, che non basta: ora restano fuori i piedi, ora le spalle. Perché serve il ragno del presente per tessere tutto ciò che manca, tutto ciò che ricordi, passati, e nostalgie non possono intrecciare. Manca il calore delle cose normali, degli appuntamenti. Manca la trepidazione dell’attesa. Scampoli di bellezza come patchwork sono comunque una coperta. Corta. Ma una coperta. Mancano le stelle, soprattutto e il chiarore della luna. E’ una coperta spenta, come spento è ogni cosa che è passata. Ricordi in seppia, bianconero della mente. Manca il colore, manca la luce. Manca di respirare il bianco.  Ci aggiungo fogli di carta scritta, libri che leggo, frasi che cozzano contro le mie corde di dentro perché una vibrazione è un segno importante di vita. E’ ancora corta, ma sono consapevole della fortuna di avere una coperta, di possedere materiale per cucire, una coperta. Non so se alcuni eventi passati avessero mai pensato di diventare un giorno una coperta. Ma forse sì. Loro lo sanno che non amo i ricordi: per amare i ricordi non si dovrebbero avere i rimpianti. E io ho rimpianti, certamente, così come sono certa che non dice la verità chi dice di non averne. Mi cucio addosso le parole, e le carezze di chi amo e ho amato, come gocce di rugiada per idratare questo tempo avaro di pelle e di carezze, di sudori testimoni di momenti speciali. Tutto questo mancare e mancarsi è però un autunno e non l’inverno. Tempo di gestazione per il buono che verrà. Tutto ciò che è destinato a nascere, è tenuto in caldo e germoglierà. Continuo ad avere i miei pensieri di miele dei tramonti che ancora voglio vedere e continuo a credere che il tempo verrà. Mentre mi rifugio sotto questa coperta, un po’ corta, ma abbastanza per fare di me un autunno capace di custodire, proteggere e generare.

CHE FRETTA C’ERA…. MALEDETTA PRIMAVERA

Già. Maledetta Primavera. Si, maledetta. Avrei potuto esserci anche io in Piazza Giudici, perché no? Maledetta primavera. Ma il sole ha fatto la sua firma sempre nel momento giusto. La firma del sole non aspetta. Non ha aspettato il reporter di Controluce, che ieri non poteva. Ha firmato ieri, il sole. Giustamente. Precisetto eh! Pignolo!!!!   Non poteva aspettare? Ma non importa a noi di Controluce. Va bene uguale. Va sempre bene perché conta esserci. Conta il pensiero. Conta l’affetto in barba al Covid in barba a questa guerra, perché di guerra si tratta. Il celeste non lo ammazza nessuno. Basta vedere questo cielo.  Ecco dunque una pagina di Controluce, ecco la sagoma di Ricc disegnata dalle dita del sole sopra il pavimento di Piazza Giudici. Disegnata per noi. Guardo il cielo, spesso, lo faccio da sempre ma adesso anche di più. E guardo la luna, le albe, i tramonti. Tutti miracoli, indifferenti a cosa ci succede qui. Tutti puntuali, bellissimi e sempre diversi. Albe violette e rose, pennellate di celeste e tramonti di marmellata. Mai uguali. Ciliegi fioriti, pruni, primule. Violette. Margherite. La natura si sveglia, rinasce. Mi piace la fotografia con quel bimbo con il suo biciclettino a seguire percorsi tutti suoi, in un mondo tutto suo (riporto il pensiero di Ricc).  Probabilmente ignora cosa sono segni sul pavimento della piazza. Il Piccolo Principe dice che conta l’immaginazione. Ed è vero. Disegno anche io con il dito sul monitor il contorno della sagoma di Ricc. Un modo per inviargli una carezza, dopo le dita del sole. C’è bisogno di carezze sempre. E certe volte anche di più. Scrivo da una stanza che sa di cose antiche: un lampadario della mia mamma, anno 1960, magnolie e rami color verde mandorla. Stampe di fiori alle pareti, una vecchia sveglia sul comò… Qui dentro il tempo pare sia fermo ad un tempo di pace.  Un tempo di normalità. Facilmente immagino l’odore del tavolo da stiro della nonna, quello del suo grembiule. Il risotto del nonno. E’ domenica oggi: un giorno di tregua. Passato ad immaginare una normalità che ci manca da morire. Già. L’immaginazione può ossigenare il cuore. E portare carezze laddove mancano. E rubarle .. perché ci mancano. Questa piazza deserta sotto questo cielo turchese e il sole che firma, disegna ed accarezza ..mi aspetta.  Ci sarò. Grazie Ricc, questa è una carezza. Che ricambiamo. Come ha fatto il sole.

MI PIACE CHI

Mi piace chi anche se adulto compra matite colorate e pennarelli, perchè sogna di colorare il mondo. Mi piace chi guarda la luna perchè è sincera. E mi piace chi è sincero. Mi piace chi non accampa scuse chi non si arrampica sui vetri chi non deve per forza metterci le toppe sopra. Mi piace chi ogni giorno fa uno sforzo per non essere codardo, mi piace chi detesta i codardi. Mi piace chi sa piangere senza vergognarsi, che sa chiedere scusa, chi si guarda allo specchio. Quello specchio. Quello di dentro. Mi piace chi li guarda questi nei stagni neri nell’anima, e ogni giorno compie una piccola opera di pulizia, magari piantandoci ninfee o allevandovi pesciolini. Mi piace chi si fa l’esame di coscienza ogni giorno, per poter migliorarsi un pochino il giorno dopo. Mi piace chi saluta e mi piace poco chi saluta per dovere o cortesia. Mi piace la gentilezza, quella vera, che odora di pane e di fiori di pesco. A quella artificiale preferisco la carta vetrata delle parole buttate in faccia controvento. Mi piace chi va controvento, ogni giorno anche un solo millimetro per scappare dall’ipocrisia. Mi piace il bacio della buonanotte, quando arriva da luoghi differenti dal dovere o dall’abitudine. Mi piace chi ha cura dei sogni altrui, perchè i sogni altrui sono beni comuni. Mi piace chi al risveglio sa sorridere, nonostante l’agenda della giornata segni i momenti difficili che avrà. Mi piace chi ascolta la pioggia e gli pare una musica. Mi piace chi si allontana dal rumore, dai boati delle macchine e delle fabbriche per trovare l’armonia in un temporale. Ai bordi di un fiume, come nel mare in tempesta. Mi piace chi condivide una piccola cosa, come un cammino, un tragitto, un attimo respirato, trasferito, trasportato altrove. Mi piace chi scende dal palcoscenico della vita ogni qualvolta che è possibile scendere. Mi piace chi lo fa con naturalezza e chi, con consapevolezza rifiuta di recitare oltre il dovuto. Mi piace chi è realista ma ritiene la fantasia una forma alta di intelligenza. Mi paice chi crea nell’impermanenza. I mantra della vita sono istanti, un abbraccio è pienezza senza garanzia e mi piace chi è consapevole che non vi è garanzia da nessuna parte se non nella fine del giorno, un giorno. Mi piace chi non programma oltre il palcoscenico, oltre il lavoro, oltre l’incombenza. Mi piace chi vive davvero un momento per quello che è, senza pianificazione, senza costruire prove perchè sembri differente o collezionare giustificazioni. Mi piace chi decide tutti i giorni qualcosa per essere migliore, questo è farsi dei regali. Mi piace chi si accorge ogni giorno di più che essere come piace a qualcuno significa non piacere a sè e vivere infelice. Mi piace chi affronta la sofferenza il freddo la solitudine per congiungere mente e cuore, per trovare sè. Mi piace chi si accorge di quello che mangia, che ne apprezza il colore, la consistenza, le sfumature dei sapori nei diversi angoli della bocca. Anche amare dovrebbe essere così. Mi piace chi non tiene il piede in tante scarpe preferisco chi indossa un solo paio di scarpe vecchie. Mi piace chi ha fiducia nonostante tutto senza che sia per forza ingenuo. Mi piace la dolcezza in ogni sua forma, ma detesto quella che è un mezzo per raggiungere un fine. Mi disturba chi insulta la mia intelligenza sensibile, che crede di “darmela a bere” chi si ritiene furbo. Mi piace chi ogni giorno si impegna per piacersi, per migliorarsi per scoprire un pezzetto dello specchio di dentro affinchè possa mostrarsi alla luce del sole. Mi piace chi fa della consapevolezza un motore. Mi piace chi sa dare ascolto alla vocina di dentro quella che proviene dalla piccola boccetta che contiene sè.. e la verità di tutte le cose. Siamo padudi ma anche oasi fiorite, siamo cappuccetto rosso e siamo il lupo, il cacciatore, e siamo anche la nonna. Siamo terrificanti e buoni. Siamo tutto, il contrario di tutto e siamo capaci di tutto e siamo capaci dell’assoluto nulla. Siamo capaci di ridurre le paludi e allargare le oasi di dentro. Ecco. Mi piace chi lo fa, ogni giorno. Rifiutando l’ipocrisia, dando acqua ai fiori, tagliando i rami secchi. Esponendosi a vento sole e pioggia. Il solo rifugio alla fine sono quelle oasi delle quali ci siamo presi cura. Io non sono affatto come chi dico che mi piace. Ogni giorno però cerco di somigliare a chi mi piace. Vado a dare l’acqua ai fiori.

ps Foto da Varese News. PS PS NON MI PIACE questo nuovo editor di WordPress. E non lo so usare!! Ecco.

COSA MANCA

Mi hanno mandato tempo fa questo scritto di Manuela Toto che copio e incollo in fondo a questo post. Mi ci ritrovo abbastanza: le mie esigenze sono in questi anni, quelle di “togliere”.  Non so se sia un fatto di età oppure di maggior indipendenza dalle “cose”. Fatto sta che mi rendo conto di togliere. Ho la necessità di dare aria ai miei spazi, fisici e mentali. E mi rendo conto che questo processo è rivolto verso le cose ma anche verso le persone. Non lo faccio apposta, non è un lavoro premeditato, è semplicemente una necessità che viene dal di dentro. Mi disturbano i mobili con troppa roba dentro e mi disturbano anche i troppi mobili. Mi crea un disagio indicibile l’opulenza ma anche l’abbondanza non estrema: mi da fastidio il “troppo” in generale. Ho iniziato dalla casa: avevo una cucina un po’ stile country, bella, e mi piace ancora. Quando vedo le fotografie scattate prima di cambiarla, provo un po’ di nostalgia. Era un ambiente caldo, accogliente, di legno vero.  Da qualche anno ho una cucina prevalentemente bianca, un bianco intercalato da un color sabbia, tutta chiuso. Niente di aperto o di vetrato. Armadiata ed essenziale. Mi ci trovo meglio, la sento più mia.  Lo stesso vale per i vari oggetti che normalmente tutti noi accumuliamo negli anni. Molti ne ho regalati, qualcosa ho venduto. Fanno eccezione i libri: questi proprio non riesco a buttarli via. Ho spazio, pertanto li tengo e li terrò, giacchè nel mio immaginario hanno un’anima.  Pepe Carvalho, uno dei personaggi dei romanzi di Manuel Vasquez Montalban brucia i libri perchè non li riconosce più come mezzo per interpretare il mondo ma non solo: egli attribuisce ai libri la colpa di aver condizionato la sua sensibilità, la sentimentalità, separandolo dal mondo vero, forse si è sentito “addomesticato” da pensieri che non erano i suoi, così brucia tutti i suoi libri (migliaia) e tutti quelli che acquista, cosa che fa solo per poterli bruciare. Si sente schiavo di una cultura che lo possiede, che lo ha imprigionato. Non si salvano nemmeno Borges e forse nemmeno Conrad – ho un vago ricordo sulla grazia concessa a Garcia Lorca ma non ne sono certa. Si dà, anima e corpo, all’arte culinaria (altra cosa che non potrei mai fare..).  Ovviamente una cucina anche alta, ma strampalata, capace di accostare ad un piatto semplice un vino pregiatissimo ed uno dei più mediocri a piatti raffinatissimi. Quando leggevo Vasquez Montalban (che vorrei rileggere) rabbrividivo per questi omicidi che mi sembravano anche più gravi dei delitti sui quali investigava Pepe Carvalho. Comunque, tornando alle cose superflue, guardate queste immagini: è il cielo di Firenze, con due abiti diversi. Cosa manca ad un momento come questo? 

Arriva un tempo in cui,
dopo una vita passata ad aggiungere,
inizi a togliere.
Togli i cibi che ti fanno male.
Togli i vestiti che ti vanno
troppo stretti o troppo larghi.
Togli le cianfrusaglie
dimenticate nei cassetti
insieme alla convinzione antica
di non andare mai bene.
Togli il cuore dai posti
dove non c’è più amore,
togli il tempo passato
a inseguire le persone.
Togli lo sguardo da chi ti ha ferito,
togli potere al passato,
togli le colpe dai tuoi racconti
e lo sguardo da chi ti parla dietro.
Togli le erbacce intorno ai tuoi sogni,
i compromessi che ti sporcano le scelte,
i sì concessi per adattamento.
La vera ricchezza non è aggiungere,
ma togliere.
Manuela Toto – Sotto le scale

 

22 SETTEMBRE IN CONTROLUCE

Piove a Firenze. Per questa ragione non è stata possibile la fotografia celebrativa. Succede. Ma quello che fa male è soprattutto l’incuria. Piazza Giudici, con la sua meravigliosa meridiana, è deturpata da un bidone dei rifiuti, rigorosamente in ferro, quindi si deduce che l’amministrazione lo voglia tenere stabilmente dov’è, proprio sul quadrante. Inoltre in questi giorni sono presenti transenne, cartelli stradali appoggiati senza alcun senso. Da qui i nostri più vivi complimenti. Sono contenta però di stupirmi ancora per cose come queste, perchè il giorno in cui ci si abiuta allora è veramente l’accettazione del degrado, della mancanza di rispetto, e della bruttezza. Sono anni che vediamo diverse città bellissime, che debbono solo essere protette, rispettate, lucidate se possibile, deturpate anche dalle proprie amministrazioni. Non bastano i graffiti, i soliti idioti che lasciano schifezze in giro, carta, plastica, avanzi di pranzi ecc. No. Sono anche le amministrazioni che hanno il DOVERE prima di tutti, di proteggere la propria casa. Volendo continuare potremmo parlare anche delle “installazioni artistiche” che nella maggior parte dei casi danno una grande mano a rendere brutto il bello.

Cosa aggiungere? mah! Pubblico una fotografia, fatta dal nostro reporter che questa mattina in Piazza c’è passato per non lasciarci senza foto, immaginando che all’ora di pranzo sarebbe piovuto. Ecco la foto, che ha generato il mio triste commento e che è stato ovviamente motivo di dispiacere per Ricc. Pazienza. Aspettiamo la primavera nella speranza che qualche “illuminato” con qualche potere nella amministrazione, possa intervenire. Da parte mia credo che scriverò al Comune per quel che vale. Mi domando anche una cosa: gli assessori alla cultura non passeggiano mai per le loro città?

Firenze Piazza Giudici ore 9.00

Detto questo, io da Milano, Ricc da Firenze lasciamo un saluto in questa casa bella e celeste che nessuna installazione potrà mai sciupare. Noi non abbiamo i bidoni della spazzatura perchè non abbiamo spazzatura. Siamo consapevoli che nelle città servono. Ma siamo certi che tutto può essere fatto con buon senso, buon gusto e soprattutto con RISPETTO. Città come Firenze sono già violentate ogni giorno dal troppo turismo che inevitabilmente è composto anche da molti vandali ignoranti. Se poi anche la pubblica amminstrazione ci mette del suo come possiamo noi persone normali e impotenti difendere le nostre bellezze, i nostri pezzi di Storia, la nostra Arte?

ZUCCHE STANZIALI

Si vede che è tempo di zucche. Infatti sono di stagione. Stamattina, girovagando con il cellulare mentre coccolavo i cani, prima di alzarmi dal letto, ho trovato una cosa curiosissima. Le case fungo e le case zucca a Milano. E’ proprio vero che ogni città ha angoli nascosti, leggende, segreti, che non basta una vita per conoscere. Oggi mi sono imbattuta in questi edifici, progettati dall’ing. Mario Cavallè nel 1946. Ecco le case a zucca, o case igloo. Siamo in Via Lepanto, a Milano.

Le posto qui insieme a questo link: https://www.clubmilano.net/2016/11/villaggio-giornalisti/

Ma la cosa più divertente ancora sono le case fungo: erano due, sorte accanto alle case zucca/igloo, sempre progettate dallo stravagante ingegnere. Demolite (peccato) nel 1965. Mentre le otto “zucche” ancora esistono, nella strada degli gnomi, la quartiere Maggiolina; non sono evase, come la zucca di Riccardo.

Guardate un po qui: https://www.milanotoday.it/blog/t_el-see-che-a-milan/case-fungo-igloo.html

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Le foto sono prese da web. Qualora fosse necessario rimuoverle lo farò dietro semplice richiesta.

ZUCCHE IN FUGA

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Eccomi qui con una storia leggera e insolita, per benedire e dare il nostro benvenuto a settembre, ai golfini di cotone, alla pioggia, alla vendemmia e al fresco della sera.  O almeno questo è il dipinto di come dovrebbe essere questo tempo, la coda dell’estate. Di un’ estate forse non afosissima, ma difficile, densa di domande e di paure. Di dubbi e di senso di impotenza. Un tempo dove tradizioni e consuetudini hanno perduto il ritmo.

Noi celebriamo sempre le stagioni, in Controluce, perchè il loro passo è il nostro passo: passo che ricalca passi antichi. Per la verità l’umanità si discosta dai passi degli antichi e lo stesso fanno le stagioni. Inverni tiepidi, estati torride, piogge torrenziali – nubifragi violenti, primavere e autunni quasi inesistenti. Lo sanno gli alberi, che non danno più frutti nè buoni nè belli, lo sanno i prati che assetati di rugiada non risplendono del verde acceso che meritano. Ne ho visti di meravigliosi, in agosto, in Val Badia: è stata una estate piovosa, e la mattina dal balcone dell’appartamento che occupavo, primo sole faceva brillare il verde e i caprioli che pascolavano come anche al crepuscolo.  Visioni come un cartone animato, prati verdi e cieli stellati. Ma ormai non tanto frequenti o comunque non in ogni luogo.  

Adesso dovrebbe riposare, la natura, gravida di semi da partorire in primavera. Odorare di muschio e di funghi e di castagne. Regali per scoiattoli, ghiri, e per tutte le altre crature che presto si addormenteranno. Cibo da riporre in dispensa per le brevi veglie durante il lungo sonno. Tempo per noi di libri, letture e pomeriggi con il plaid. Di passeggiate, tiepide evasioni. 

E, a proposito di evasioni, torno alla storia che ha ispirato queste righe: la zucca evasa. La protagonista della storia è proprio una zucca, una zucca di Riccardo, che vive e cresce nel suo orto. Eh già perchè Riccardo, ma forse già lo sapete, non è (solo) menestrello della Luna (ciao Betta..) e non è solo il reporter degli appuntamenti del cielo (ciao Pinuccia), ma è anche un contadino.  Guardate un po’ quante sfaccettature può avere un ingegnere!!! 

Dunque la zucca – una delle zucche di Ricc  è …  evasa!! Facendo ovviamente tutto da sola. Si è costruita la strada, e poi si è arrampicata sulla rete che separa il giardino nativo da quello del vicino ed è … appunto EVASA. Finendo ovviamente nel giardino del vicino. Ora ditemi voi se uno, con tutti i problemi che ha nella vita, gli deve toccare di rincorrere una….. zucca.  Sorvoliamo poi sull’umiliazione. No, perchè uno si domanda: cosa non ti piaceva qui? Cos’è che non t’andava bene? Ridevo, al racconto di Riccardo che mi diceva: dille qualcosa te!! 

La sorella dell’evasa. Foto: personale R.

Poi mi sono fatta questa domanda: e se il suo destino fosse quello di trasformarsi in carrozza ogni notte per riportare a casa una principessa? Non lo sapremo mai perchè il nostro ing/contadino non è riuscito a fotografare la zucca oltre frontiera. Restiamo con il dubbio. Personalmente esprimo tutta la mia simpatia alla zucca fuggitiva, e mi auguro che non sia finita nella minestra. Preferisco immaginarla scintillante trainata da quattro cavalli bianchi sotto un manto di stelle. Ma non trasfrmata in carrozza. Deve restare quel che è. Una zucca. Perchè è bellissima, molto più bella di qualsiasi carrozza dorata.

SONG OF MYSELF

Io credo che una foglia d’erba non valga affatto
meno della quotidiana fatica delle stelle.
E la formica è ugualmente perfetta, come un granello di sabbia,
come l’uovo di uno scricciolo,
E la piccola rana è un capolavoro pari a quelli più famosi
e il rovo rampicante potrebbe ornare i balconi del cielo.
E la giuntura più piccola della mia mano qualsiasi meccanismo può deridere.

WALT WHITMAN, Tutto vale (Song of Myself, 1892)

foto: celeste

L’ANIMA NELLE PAGINE

download
(dal web – Pinterest)

Trovata sul web. Per me condivisibile.

La riservatezza spesso è un corredo naturale, fa parte del carattere. Poi si cresce e arriva l’adolescenza.

Età in cui si ha l’amica l’amico del cuore cui si raccontano segreti, sogni, struggimenti d’amore, delusioni, piccole grandi vittorie, conquiste. Aspettative.  Normale. E bellissimo.

Poi si diventa uomini e donne, la confidenza diventa condivisione e confronto.

Ancora più tardi, nell’età matura, si benedice l’adolescenza e gli errori commessi in quella fase perchè senza questi l’adolescenza non è tale. E l’adolescenza di solito merita benedizione e perdono. Ma poi le cose cambiano: si conosce ahimè l’invidia, la gelosia, e soprattutto si deve prendere atto che spesso le nostre condivisioni sono state malriposte, trasferite a terzi, a loro volta condivise.

E questo fa abbastanza male. Perchè consegnare un pezzo della propria vita è una cosa importante e deve cadere in mani degne, passare per orecchie e mani capaci. Capaci di accogliere, custodire, contenere e proteggere. Non è sempre così. A volte capita di raccogliere custodire proteggere …. ciò che si scoprono bugie. Confidenze confezionate ad hoc. “Verità” propinate a destra e a manca mai due uguali. Quindi la riservatezza è un corredo naturale, vero. Ma la vita sa anche insegnarla a suon di legnate sui denti.  

Il rischio è cadere nella trappola della sfiducia a prescindere, nella ragnatela dei pregiudizi che come sappiamo fanno l’uomo ottuso.  Ancora una volta il sentiero giusto è quello di mezzo. Fidarsi è bene, ma attenzione a tenersi addosso quanto basta per non pentirsi domani della propria nudità. Si chiama rispetto verso sè, la propria storia, la propria vita e proteggere sè. E chi fa parte della nostra storia.

Il mondo è pieno di gente che non sa leggere, analfabeti privi del pensiero sottile, della sensibilità necessaria per raccogliere le sfumature delle cose.  In ultimo: sacrosanta la frase “tutti gli altri sono curiosi”. Verissimo. La curiosità è una malattia, abbastanza grave e nociva e subdola. Meglio conoscerla subito e allontanarsi in fretta con un bel sorriso e la pelle spalmata di crema “protezione totale”.

CIELI PIANGENTI

“Quando pioveva forte, il tempo si fermava. Era come una tregua in cui si poteva smettere di fare qualsiasi cosa e contemplare semplicemente da una finestra lo spettacolo di quell’infinito velo di lacrime del cielo, per ore e ore.” Carlos Ruiz Zafon.   (Rip 19.06.20)

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Contemplazione. Talete contemplava le stelle per ore, si perdeva nelle profondità dei cieli (e anche dentro ai pozzi…).  Le guardava affascinato per notti intere o giorni interi.

Contemplazione. In questo tempo di mordi e fuggi. Di superficialità, di insulsi interessi la parola pare non abbia senso di essere ancora tra noi.

Ieri sera parlavo con il mio veterniario o meglio con il veterinario dei miei cani anche se preferirei che fosse mio perchè il tal caso sarei un cane, con l’anima di cane.. Dicevo: parlavo con lui della bellezza a portata di tutti.

Mi raccontava del suo recente viaggio a Plitviche (dietro mio consiglio) e del riscontro, superiore alle aspettative che si era creato dal mio entusiasmo nel consigliare questo luogo incantato. Naturalmente incantato. Sottolineo naturalmente perchè Plitvice è un Eden assolutamente naturale.

E raccontavo che la terza volta che si andai mi imbattei in un gruppo di persone, i vacanzieri mordi e fuggi ma di quelli  stupidi, e uno disse: Ao’  an vedi o’ come l’hanno fatto bene. Pare proprio naturale!!! ” E vi assicuro che non era un elogio della bellezza. Non c’era che potesse passare per una metafora. Era convinto, pensava veramente che fosse un luogo costruito come Las Vegas.  Cose tristemente simili accadono alle mostre, per fare un esempio. Orde di turisti in ciabatte di gomma e gelati, davanti a Van Gogh, Monet ecc per citarne alcuni che non capiscono un cazzo, urlano, si chiamano a vicenda scattano foto (ovviamente chi se ne frega se non si può). Escono anche pià ignoranti di quando sono entrati, se questo è possibile.  Offese alla bellezza.

Che c’entra con l’incipit del post? C’entra, c’entra. Perchè ora la contemplazione è così difficile! Inquinamento e luci spengono le stelle. Il tempo ci divora il tempo. E tutto è fruibile da chiunque. Ho deciso: questa sera contemplerò il soffitto di casa mia. Eh lo so! Il cielo in una stanza lo hanno già scritto tanto tempo fa. 

La frase in testa al post è molto bella. E la notizia della scomparsa di Carlos Ruiz Zafon è arrivata come uno schiaffo di vento gelido. A proposito di vento, il suo romanzo L’Ombra del Vento è fresco di lettura, sul mio comodino, ancora da riporre negli scaffali della libreria. Appena terminato: “Marina”, delicato pur con il suo sfondo gotico, tipico dei romanzi di Zafon. Delicato sui sentimenti e sulla fragilità umana. Sul dolore umano. Sulla mancanza assoluta di certezze dell’esistenza. Delicato come un fiore rosa, su sfondo gotico e misterioso come forse solo la sua Barcellona. Una città che sa reggere questi contrasti forse come poche altre. 

Nei giorni passati è piovuto moltissimo. Specie di notte. Contemplare la pioggia dal porticato di casa mia è stato molto bello. E l’incipit di questo post è per me una calza perfetta per quei momenti. Di contemplazione, di pioggia, in cui si può smettere si fare qualsiasi cosa.

DI PETULE E DAVANZALI

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Non so dove sei ora, ma mi piace pensare che ci guardi tutti da un davanzale pieno di fiori che non muoiono mai. Fiori colorati, delicati, fiori sgargianti. Ti immagino seduta sopra un davanzale così. Una cornice di pietra, in un luogo che sulla terra corrisponde ad un antico borgo, uno di quei gioielli che abbiamo noi, qui, su questa terra, in questo nostro meraviglioso paese. Meraviglioso nonostante tutto. Provato, deriso, bistrattato, trascurato e sfruttato, tuttavia meraviglioso, ricco di bellezze antiche che resistono, che fiatano e che gridano, tra corridoi lastricati e rive di case coperte di coppi di terracotta irregolare. E gerani alle finestre. Un paese che prega, anche. Ti immagino così, con gli occhi semichiusi, stretti, a guardare noi, e le nostre piccolezze, miserie, e anche grandezze, e la nostra poesia, che arranca, di questi tempi, e fa fatica a far sentire la voce. Ti immagino così, con la tua ironia e la tua incredibile capacità di leggere dentro. L’intuito sicuro che va dritto al punto come una lama ed illuminare quello che tanti non leggono o non vogliono leggere. Concreta e ricercatrice delle cose vere e con la mente aperta sulle cose invisibili. Le orecchie e naso in allerta. Ti immagino con uno sguardo così, ironico, divertito ed indulgente, pietoso e laddove serve, impietoso. Gli occhialini sul naso, come quelli che ricordo una sera in tram. Tornavamo dalle Aseq e non sapevi quale fosse il biglietto già timbrato. E poi il sorriso. Uno dei sorrisi più belli che mi sia capitato di incontrare nella vita. Riascolto i nostri silenzi sotto il Grande Tiglio, come quella sera. Una sera che sapeva di pace. Mi manchi ma che te lo dico a fare. Tu lo sai.  Le cose che ho avuto di te, pensieri, e anche piccole ma intense lezioni, fanno parte di me. C’è  sempre una ragione per cui incontriamo qualcuno. Alcuni incontri sono determinanti, significativi, incisivi, importanti. Alcuni durano poco, ahimè. Alcuni per svariate ragioni, altri perchè il traghettatore arriva quando è tempo, non un istante dopo. Forse alcune persone servono di più altrove. Mi piace pensare che sia così. Che sui davanzali dei Cieli ci sia bisogno di occhi come i tuoi per qualcosa di più importante. Che le chiamate non siano a caso, che la natura non sia così puttana come a volte crediamo. Voglio crederci, e mentre scrivo scorgo uno sguardo e due occhi giallo verde tra un ciuffo di gerani rossi, Toh, guarda, mi sta facendo l’occhiolino… Strano eh, non è da te, Petula. Come vedi ho imparato un filo di ironia anche io.  In parte lo devo a te, credo. Credo che dentro ciascuno di noi viva una verità, semplice, semplice come l’acqua fresca. E forse è talmente semplice che èd difficicilissimo vederla. Come dice anche Riccardo, le cose difficli le sanno fare tutti. Eh già, bisogna passare, vivere e soffrire attraverso tutte quelle complicate, per comprendere quelle semplici. Paradossale ma a volte credo sia proprio così. Ma questo per me è ancora tanto tanto tanto difficile. Come dire che un po’ di teoria la so.. E’ la pratica che mi manca. E mi comporto molto spesso esattamente come non vorrei e come so di non dovere.. E rieccola, che mi rifà l’occhiolino. Vabbè Petula, tanto tu lo sai, sei nei miei giorni, Che te lo dico a fare. Ormai tu guardi dall’alto. Anche più di prima. Ciao Petula, al mio prossimo pensiero.

 

BENEDETTA PRIMAVERA

Nonostante tutto la primavera stupisce. Se ne frega del virus, dell’economia, dello spread, della borsa. Lei esplode con tutta la sua voglia di vivere, di celebrare la rinascita,  preannunciare l’estate, gridare che presto maturerà il grano, l’uva, che ci saranno nuovi piccoli di merlo già quasi adulti, che i piccoli di cicgno del lago di sir biss saranno già grandi e il prossimo anno giovani genitori. Appena fuori dal mio portico c’è un merlo, ha il suo territorio, cioè il mio albero che ormai è diventato suo. E’ un albero di clerodendrum, meraviglioso, lo adoro particolarmente. In settembre fiorisce di fiori bianco/rosa, profumatissimi. è un largo ombrello, non altissimo, e per questo merlo il mio clerodendrum è casa. Canta sempre specie al mattino e al crepuscolo. Una volta l’ho registrato, cantava mentre diluviava. Uno spettacolo. C’era la musica della pioggia e il suo canto:  un concerto perfetto. L’aria era densa di odori, odore di pioggia e di erba. Un momento magico che fa dimenticare tutto quanto, covid compreso. E’ tutto così naturale e speciale! Il rododentro di SirBiss dopo la sua esibizione meravigliosa lo immagino sfiorito, ma avrà lasciato il solito tappeto rosa intenso sul prato. Un regalo generoso e del tutto disinteressato. Questo fa, la natura.  Doni gratuiti. Penso alla luna, al suo show notturno, si presenta vestita da sera oppure in abito rosso, o bianco da prima comunione. Oppure avori, come le spose. Appartata quando le nuvole sono garanzia di protezione per consertirle osservazioni private. Nera, ciclicamente, per poi tornare lentamente a mostrarsi, con la sua lentezza sensuale e silenziosa. C’è una sensualità matura e adulta nella natura, tutta. Gli iris che proteggono la propria intimità e sanno offrirsi a chi sa come fare. Le orchidee, le calle.  Le magnolie, carnose e dense che le puoi mangiare. E si possono annusare tramonti fino allo stordimento. Quel rosso che sembra vino corposo e denso che entra dentro dando un senso di pace e di riposo. Di abbandono. Ecco. L’abbandono. Sapersi abbandonare è l’invito della primavera. Senza abbandono non c’è rinascita. In contrapposizione alla canzonetta, ed in contrasto con questo momento socialmente insolito, il titolo di questo post. Benedetta primavera.  Per noi, che non smettiamo mai di ammirare la luna, un po’ romantici un poì nostalgici, un po’ poeti un po’ scienziati. Questa nostra Luna, forse una porzioncina di Terra scappata via chissà quando e perchè.  Mi piace pensare che il perchè sia un po’ come questo. Dal film “L’attimo fuggente”:

“Perché sono salito quassù? Chi indovina?”
“Per sentirsi alto”.
“No. Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva”.

E per noi che ci stupiamo davanti al mare,  e che abbiamo dentro tante storie che non sappiamo raccontare. Per noi un po’ maledetti e un po’ stralunati. Per noi che amiano le favole e non sempre le sappiamo raccontare, figuriamoci viverle.

Per noi che sogniamo un prato di stelle sopra la testa tenendoci per mano. E per chi invece sa, che il posto dei sogni non sono cassetti ma il coraggio di viverli. Per noi che sappiamo rischiare pur di respirare una notte di stelle. Siamo noi dentro i cassetti, i nostri sogni invece sono fuori, tra le stelle, dentro i tramonti. O tra i monti dei nostri desideri. Navigano in acque verdeazzurro, solcano cieli, raggiungono le cime più alte. Siamo noi, prigionieri e carcierieri al contempo. I cassetti sono solo contenitori di biancheria.  I nostri sogni invece vivono liberi.

 

 

CONSAPEVOLEZZA

foto: celeste, riproduzione vietata

Prendere coscienza di ciò che ci circonda, di ciò che ci accade, di ciò che sperimentiamo. Sembra una banalità, in realtà non lo è affatto. Una cosa è mangiare, al fine di fornire nutrimento al nostro corpo, un conto è godere veramente, assaporare, gustare. Iniziare con l’odore, e poi con la sensazione della lingua sul cibo, prendere coscienza se ciò che abbiamo in bocca è morbido, oppure ruvido, a quale temperatura. Accorgersi che vi sono molti sapori dentro un sapore, che vi sono tante sfumature. Sentire che la lingua ha una parte sensibile al salato, una al piccante, una al dolce. Concentrarsi su un boccone di cibo ci sorprende. Lo stesso vale per gli odori.  Una rosa profuma di rosa, ovvio. Ma aspirando profondamente l’odore che sprigiona una rosa, magari chiudendo gli occhi per acuire il senso dell’olfatto, magari in un luogo appartato senza troppi rumori, ecco che si avverte sì il profumo della rosa, nella sua complessità ma si avvertono anche le diverse sfumature che compongono quell’odore. Un po’ come si fa con il vino, si dice profuma di fragola, oppure ha un leggero gusto di more, o di pesca o di ciliega. Lo facciamo concentrandoci su quel vino e non ingurgitandolo. Prestando attenzione alle sensazioni mediante il naso e la lingua. Ecco. Lo stesso naturalmente vale per i suoni. Se proviamo ad ascoltare veramente i suoni, che sia l’acqua di un ruscello che scorre, la pioggia, il vento oppure un violino, ci accorgiamo che possiamo ritrovarci sopra una montagna, oppure accanto ad un ruscello, o in una grotta, o aleggiare in cielo accanto alle nuvole. Mangiare per nutrirci, bere per dissetarci, sono mangiare e bere “necessità” . Tutto diverso dal regalarsi sensazioni, piaceri, motivi per gioire e stare bene. Con i sensi è possibile vivere parecchio “oltre sè” ma proprio per questo anche “dentro sè”. Profondamente e con consapevolezza. Ci facciamo ingoiare dalla quotidianità, dalle cose che “bisogna fare” comprese quelle atte a farci rimanere in vita. Consumiano anzichè godere. Lo stesso accade con il sesso. Quella meravigliosa esperienza che deve comprendere l’ascolto, dei battiti del cuore, del respiro. Come l’inspirare e assaggiare gli odori dell’altro, pelle, sudore, fiato. Lo stesso per l’arte. Ci stupisce un quadro per la bravura del pittore, per la capacità di replicare un fiore, un paesaggio, uno sguardo, Ma davvero siamo capaci di aprire ad un quadro un varco verso il cuore? Di far arrivare un cibo, un vino, un suono dritti al cuore?  Laddove regnano i sensi e dove si assottiglia la linea tra testa e pancia? Facciamo veramente arrivare il nostro compagno/la nostra compagna dove c’è altro rispetto alla banale pur sacrosanta soddifsazione fisica? L’essere sensibile è sempre pià sacrificato in nome della “necessità”. Necessità di mangiare bere accoppiarsi. Necessità di avere, assolvere, soddisfare più che sentire. Invece la vera fame è quella di “sentire”. Sono tesori, i nostri sensi, che ci sanno offrire tesori. Ci conducono al nostro io più profondo e più vicino alle persone che amiamo.  Il suono della pioggia non è “solo” il suono della pioggia, ma sprigiona e offre alle nostre orecchie moltissimi altri suoni che insieme compongono il “suono della pioggia”. Ascoltiamo. Gustiamo. Assaporiamo.. e amiamo. Non lasciamo che il quotidiano ci privi di questi tesori. Gratuiti. Impariamo a riconoscerne il valore. C’è dentro la possibilità di essere davvero appagati e non per il tempo di un pranzo, o di una canzone o di un’ora d’amore.

*****

Il termine coscienza indica quel momento della presenza alla mente,  della realtà oggettiva sulla quale interviene la “consapevolezza” che le dà senso e significato, raggiungendo quello stato di “conosciuta unità” di ciò che è nell’intellettoIl termine deriva dal latino conscientia, a sua volta derivato di conscire, cioè “essere consapevole, conoscere” (composto da cum e scire, “sapere, conoscere”) e indica la consapevolezza che la persona ha di sé e dei propri contenuti mentali. In questo senso il termine “coscienza” viene genericamente assunto non come primo stadio di apprensione immediata di una realtà oggettiva, ma come sinonimo di “consapevolezza” nel suo riferimento “alla totalità delle esperienze vissute, ad un dato momento o per un certo periodo di tempo”. (fonte Wikipedia).

NON C’E’ VIRUS CHE TENGA.

Buonasera a tutta Controluce.
Anche la qui presente Celeste, come tanti, sta lavorando da casa. E si lavora anche di più, perchè gli strumenti, anche se moderni, non consentono di lavorare fluidamente come in ufficio. E’ tutto un po’ più lungo, meno immediato. Almeno lo è per la mia tipologia di lavoro. Siamo ancora un po’ dipendenti dalla carta, e stiamo nel mezzo: non tutto è in un archivio ottico e non tutto è trasportabile a casa. Non tutto è prevedibile.

Un pensiero a quelle persone per le quali stare in casa è un sacrificio enorme… Per me non lo sarebbe anzi… Ho un mobile pieno di libri acquistati che attendono di essere letti. Un lettore eletttronico pure. Ho un giardino, un centinaio di film e documentari che guarderi con piacere. Una quantità di CD musicali che ascolterei volentieri. Che altro? un ricettario… sebbene io non sia una appassionata di cucina, ho salvato le ricette nel tempo sotto il titolo promettente “un giorno forse chissà”. Insomma se non dovessi lavorare non mi annoierei per niente. Movimento? Basta un tappetino per allenarsi. Putroppo i motivi che ci costringono dentro casa sono davvero seri, ed è questa la cosa peggiore. Ma non voglio parlare del corona virus. Serve leggerezza, serve un po’ di dolcezza. Serve una carezza. Serve guardare le stelle, tutti quanti.  Siamo tutti nella stessa palude… A maggior ragione, cerchiamo di guardare tutti le stelle. Non cambierà probabilmente il destino del mondo, quest gesto. Ma forse si?. Comunque renderà migliore un po’ del nostro tempo.

Migro, dalla stanza-studio dove lavoro, alla cucina, alla sala, il cui tavolo è stato colonizzato da stampe carte documenti e libri di lavoro. Ma ogni tanto vado in giardino. La camelia ha dei fiori bellissimi. Il bacio di giuda pure. Sono sbocciati i suoi fiori rossi. La magnolia della zia che abita di fianco a me è una meraviglia. I merli ogni tanto vengono a beccuzzare e li guardo dalla porta finestra, oltre lo schermo del pc, che mi sa offrire numeri e bilanci e comunicazioni. 

C’è bisogno più che mai di Poesia, di cose semplici.  C’è bisogno di parlare con il cielo, in quella lingua antica che lui sa, e che noi abbiamo dimenticato. La sanno gli alberi, la sanno i fiori, la sanno le stelle e la luna.  Ma noi l’abbiamo dimenticata. 

Ma il cielo… Il cielo parla con noi sempre, ogni istante. Lo fa il sole, complice la terra, i pianeti tutti e la loro danza infinita, che si perde nella notte dei tempi.  Quella danza circolare ed eterna che le gonne dei dervisci celebrano nelle loro danze mistiche.  Noi di controluce lo celebriamo sempre ed in modo particolare nel tempo del solsizio e dell’equinozio. Lo celebriamo con il cuore.

Riccardo da diversi anni documenta questo momento, dalla sua splendida città. E lo fa anche adesso, che non si può fare. Non si può fare perchè un nemico, invisibile, sta minacciando il mondo, mostrando ad ognuno di noi quanto siamo vulnerabili e quanto inutili sono le nostre armi, le nostre bombe. Il nostro petrolio, l’uranio. Le flotte aeree, quelle navali. Gli eserciti tutti. I mitra, i carri armati. Il denaro. Le banche. Le borse, la finanza. 

Il cielo lo fa a modo suo. Come nella canzone “il cielo è sempre più blu”, lo è davvero dato che cala l’inquinamento in questi giorni. E c’è la primavera. E’ davvero più blu, il Cielo.

E noi lo celebriamo anche adesso il cielo, l’universo e la sua danza.  Perfetta, che va avanti come sempre, senza essere minimamente turbata. 

Posto qui la fotografia, tenera, commovente e dolcissima di Riccardo, che è una persona speciale, per me e per Controluce.  Nonostante il momento, nonostante il dolore, che ci tocca da vicino, da molto vicino, non si lascia questa casa, un po’ celeste un po’ gatta un po’ matta e sicuramente bella che è Controluce, senza la firma del Sole. 

Una firma apposta sopra un foglio di carta che però vale molto di più di Piazza dei Giudici. Perchè quel foglio di carta è un invito proprio per questo luogo e solo per questo luogo. Per noi, per chi vi passa per chi vi sosta. Per chi legge per caso e per chi invece ci viene apposta. E’ stata fatta con le mani la meridiana – Mani come strumento. In realtà – ma che ve lo dico a fare – è stata fatta con il cuore.

Grazie.

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TRE SEGGIOLE IN ATTESA

rovigno77
foto: celeste

Uno.. due … tre …
Chi arriverà dalla stradina
e poi davanti alla casina
per sedere sulla seggiolina?
Un gattino, una civetta, o la mia bimbetta?
Uno… due… tre …
La mia bimbetta arriva con la sua bicicletta
la civetta lo fa aprendo l’aletta
il gattino invece mostrerà il visino poi il codino
e con un saltino sarà sopra il seggiolino.
Seggiolino seggiolino celeste accogli il micio dalle mosse leste.
Seggiolina in attesa della sera, offri riposo al vecchio che sorride, mentre spera. 

Seggiolina seggiolina scura
fa che nessun bimbo abbia mai paura.
Seggiolina seggiolina del falegname,
scaccia paura, freddo e fame.
Zia Cele

A MODO SUO

E’ il momento di incontrarci davanti al fuoco, con un buon bicchiere di vino tra le mani a raccontarsi storie. E’ il momento di ricordare che le carezze e i sorrisi valgono più di tutte le cose. Che un libro, una tazza di tè, un vecchio film e due buoni amici sanno fare ciò che nessun social potrebbe mai fare. E’ il momento dell’odore di bucato pulito, della lavanda nei cassetti, del pane che profuma la cucina. Il momento dell’uva, delle castagne, delle passeggiate, della bici la domenica pomeriggio. E’ il tempo di lasciare tutto quanto è maschera, belletto, trucco parrucco e rossetto. E’ il momento di crescere. E per crescere dobbiamo fare passi indietro. Tornare a casa della nonna, che ci accoglie col  grembiule nella cucina che odora di minestra. E’ il momento di farsi qualche domanda, questo. E’ il momento di crescere.  L’universo chiede il conto: e la natura lo fa a modo suo, con i suoi tempi, il suo passo, il suo diritto. Chiede il conto, questa piccola, piccolissima palla azzurra che calpestiamo sventriamo sfruttiamo senza rispetto. E’ stanca di tutto questo peso, è stremata. Questa piccola meravigliosa minuscola pallina azzurra è quella che è.. Potente e fragile al contempo. Accogliente come una mamma, con tutto al posto giusto. Ha pensato a tutto, lei. A darci il verde, il mare, l’acqua l’aria, il giorno e la notte. Il fuoco. Le stagioni. La neve. E poi profumi, fiori, cibo e la vista delle stelle. Ha lanciato una parte di sè nel cielo perchè amanti poeti e vagabondi, poveri e ricchi potessero sognare guardando quel sassolino bambino che abbiamo chiamato Luna.  Capace di sfarmaci allattarci bagnarci lavarci, divertirci, cullarci. Addormentarci. Una mamma capace di cantare la ninna nanna. E poi di incantarci. Fonte inesauribile di incanto e meraviglia. Una mamma attenta a tutto, disponibile e sola e piccola in uno spazio infinito. Adesso è un po’ stanca. Già. E’ il momento di fermarsi. Ritrovare il buon senso, le piccole cose. La lentezza. Imparare ed amare la calma e il respiro dolce della mamma che sa curare e rassicurare. C’è una palla azzurra infinitamente piccola nell’universo sconfinato che canta piano una canzone che fa così:  a modo mio, avrei bisogno di carezze anch’io ….” 

DOL-ORI

PRIMI PASSI VINCENT
PRIMI PASSI – VINCENT VAN GOGH

Non sono mai stata accompagnata ad alcuna mostra prima di cominiciare ad andarci da sola quando ho avuto l’età per farlo.
Van Gogh mi ha “parlato” da ragazzina, mediante la copertina di qualche quaderno di scuola, acquistato con la pancia. Anche a me, come a molti, è successo di essermi innamorata di lui senza capire la ragione. Ma la ragione, ovvio, non c’è: l’amore non è roba della ragione. Vincent arriva alla pancia e al cuore, ed è giusto nonchè bello che sia così. Non va spiegato alla testa tantomeno compreso con la testa: come una poesia, se la devi spiegare, vuol dire che non “funziona”. Semplicemente arriva o non arriva fino alle corde sensibili. E queste vibrano oppure no.

Ho visto le mostre di Linea d’Ombra, Vicenza, Verona, Bologna ecc. La più epica per me è stata Brescia, Santa Giulia mi pare fosse il 2008. Strepitosa.
Vicenza 2017: Tra il Grano e il Cielo. Ho portato un’amica che non era mai stata ad una mostra e mi ha emozionato tantissimo vederla piangere (nel vero senso della parola, con le lacrime vere) alla fine della mostra, mentre guardava l’ultimo quadro esposto e ascoltava la voce di Goldin attraverso le cuffie. Dopo di che ha acquistato le Lettere a Theo e non ha mai smesso di informarsi su Vincent. Essere stata l’artefice delle emozioni della mia amica e di quanto ha scoperto, per me è stato un regalo.

Ho acquistato delle stampe di alcuni quadri al Metropolitan Museum di NY prima ancora di avere una casa mia. Si può dire che qualche parte della mia casa è stata costruita attorno a quelle stampe.
Ogni giorno mi sveglio con davanti i “Primi passi”. Poi incontro gli Iris, i campi di grano e i cipressi, i Girasoli, la Notte stellata, e altri ancora. La mia giornata inizia e termina con queste immagini.
Ho letto il libro “I Colori delle Stelle” di Marco Goldin e ho donato alla mia amica una copia perchè potesse leggere anche di Paul. Che amo pure sebbene in modo diverso. Lo stesso per Monet o Renoir o Degas. Amori, sì, ma diversi. Non saprei spiegare. Vincent entra dentro in un modo diverso. Punto.
Sarò senz’altro presente a Vincenza il prossimo Ottobre, non me la perderei per niente al mondo. Amo questo pittore, non solo per le meraviglie che ha creato sulla tela, e lo apprezzo come uomo: la sua sensibilità, la sua poesia, la sua fame di bellezza, la sua passionalità ed anche il suo dolore.
Considero Vincent una “prova” che nel dolore risieda la bellezza, e che tanta meraviglia non sia possibile senza l’esperienza del dolore.

FLORENCE IN RED

aurora fiorentina
fotografia Ricc

Leggendo di favole, leggende, saggezza dei nativi americani. Si sposano bene queste parole, con questa alba, meravigliosa, scatto del nostro menestrello della Luna. Un cielo sanguinante di alba, che fa pensare: cosa mai stanno facendo gli uomini per meritarsi questo miracolo ogni mattina. E’ vero che un albero che cade fa rumore mentre invece una foresta che cresce no. Ma c’è troppo rumore, e troppe poche foreste in questo tempo brutto e strano. La bellezza ci salverà… Forse. Speriamo.

LA LEGGENDA DELL’AURORA

Molto tempo fa c’era un paese sempre al buio. Gli abitanti decisero di affidare ad una persona veloce nella corsa il compito di rubare l’aurora ad un altro paese.
Fu inviato Ghiandaia Azzurra.
Egli si mise a correre verso est e finalmente giunse in una capanna.
Qui c’era un bambino, il quale gli disse che tutti gli abitanti erano fuggiti via.
C’erano tre ceste a terra. Chiese al bambino cosa ci fosse. Egli rispose: Nella prima cesta c’è “Prima sera”; nella seconda c’è “Appena buio” e nell’ultima c’è “Aurora”.
Ghiandaia Azzurra lesto lesto afferrò l’ultima cesta e se ne scappò di corsa.
Il bambino cominciò a gridare: “Ci hanno rubato l’Aurora!”.
Tutti accorsero e si misero ad inseguire Ghiandaia Azzurra, che correva verso ponente.
Lo raggiunsero presso la Grande Valle, ma prima che lo afferrassero egli aprì la cesta e la luce volò fuori. E da allora ogni mattina spunta l’aurora su tutti i paesi del mondo.

 ******

Swami Vivekananda soul – La preghiera del silenzio
Siediti ai bordi dell’aurora,
per te si leverà il sole.
Siediti ai bordi della notte,
per te scintilleranno le stelle.
Siediti ai bordi del torrente,
per te canterà l’usignolo.
Siediti ai bordi del silenzio,
Dio ti parlerà.

L’ALBA

Con questa immagine che definisce perfettamente il “Controluce”, auguro buon anno a tutti. E’ una immagine che invita alla riflessione, e per me molto simbolica. Rispecchia  la ragione per cui questo sito si chiama Controluce, così come è spiegato nella pagine iniziale del sito stesso e che fa così: “Controluce perchè serve l’intuizione per leggere dentro i contorni. Oltre la sagoma. Dentro l’immagine visibile. Controluce perchè è l’immaginazione che nutre l’anima bella. Controluce perchè dentro i contorni i dettagli sono visibili solo ad alcuni.”  

E’ passato molto tempo da allora, dalla nascita di questo posto, un po’ sala da tè, un po’ motivo di sosta e distrazione, un po’ cabaret, un po’ panchina.  E sono passate molte persone, gatti, gatte e cagnolini. E con essi pensieri, forti, pensieri leggeri, potenti, pungenti, dolci, struggenti.  Pensieri passati in punta di piedi (e di zampe).  In punta di coda, di baffi, di dita. Lanciati da astronavi improbabili facenti fermate in differenti galassie, a volte appena sopra la terra, a volte sotto la terra, come sonde a sondare luoghi umidi laddove gli alberi affondano le radici, laddove in questo tempo dormono  i semi buoni e un po’ meno quelli meno buoni.

L’immagine dei cipressi che si stagliano contro questa alba fiorentina, grondante di arancio, di rinnovamento,  sa di nuovo perchè conserva la memoria dell’antico. Sa di speranza perchè propone l’esperienza. Cipressi come fiamme tendono al cielo, come guglie di cattedrale. Alberi preganti. E’ una immagine che mi invita alla contemplazione e alla introspezione. Mi invita a fermarmi, a guardarmi dentro. Dentro ho i miei alberi che pregano, e rinnovano la speranza che celebra ogni nuovo giorno e ogni nuovo giorno mi porta un dono:  l’occasione di essere migliore. Di fare un pochino meglio di ieri. E il sole che sorge è questo. Esso porta con se il calore e la luce che cancellano per un po’ di ore il buio e il freddo della notte che però tornerà in tutta la sua bellezza e utilità. Attività e riposo che eternamente si alternano, testimoni che il tempo è tondo. Che tutto torna, che niente si crea e niente si distrugge.

E’ una immagine che invita al Silenzio. E sappiamo quanto serve, il silenzio. Quel silenzio interiore, che sa ascolatre il respiro e basta. Vivere il momento dentro il momento perchè è il momento. Quanta vita perduta a preoccuparci per l’ieri, per il domani, senza vivere l’adesso che è il solo momento di vita. Vivere l’adesso. 

Seguo con lo sguardo la sagoma dei cipressi e so che essi hanno piccoli aghi, e rami, e corteccia, e radici e cuori palpitanti. So che hanno bisogno di sole, di acqua, di terra, di luce.  In questa immagine appaiono come semplici sagome che interrompono il cielo che partorisce il sole come totem inanimati eppure sono tutt’altro.  Custodiscono Sapienza, e memoria. E nidi. Sono casa per molti. Per guardare dentro il Controluce serve leggere oltre i contorni, serve guardare dentro.

Così come serve “guardarsi dentro” per leggere dentro i propri contorni, oltre l’immagine, oltre ciò che il mondo vuole che noi siamo, e che alla fine finiamo per crederci pure noi. In questo tempo che snatura e violenta, dobbiamo ritrovarci per vivere davvero. Anche affettare un pomodoro, pulire il pavimento di casa, è vivere. Basta farlo con consapevolezza. Pensando al respiro, all’aria che inaliamo e tratteniamo e buttiamo fuori. E’ vita che ci permette di vivere! Anche mentre facciamo cose che chiamiamo incombenze.  Non è mica semplice, ma ogni giorno un pezzetto di più. Come imparare a vivere più lentamente, almeno quel tempo che ci viene concesso al di là del lavoro, quel tempo che possiamo bere sorseggiando e non ingurgitando. Centellinare il tempo. Sembra un lusso, addirittura un’utopia invece è questione di esercizio. Lento, paziente e consapevole. Dopo di che puo’ venire naturale. Comunque vale la pena di provarci. Assaporare anzichè divorare. Annusando, conservando, e consumando in lentezza, dolcezza, consapevolezza. Senza perdersi odori sapori sfumature e dettagli.

Questa mattina mi sono fermata a prendere un caffè sotto l’ufficio: davanti al bar ci sono dei grandi vasi con delle piante con fiori bellissimi, bianchi (poi scendo e scatto una foto e ve la mostro). Ho condiviso la vista con il ragazzo del bar il quale mi ha risposto: ahh vero..non avevo fatto caso. Ecco: questo è triste. Parecchio. Fiori che sbocciano in gennaio, bianchi come neve da piante in vaso davanti al bar, lavorare in quel bar con la vetrina davanti tutto il giorno  a quelle piante e non farci caso.  Che peccato!  Per darci quei fiori sono occorsi soli e notti, pioggie e venti, e tutte quelle cose invisibili che per milioni di anni hanno lavorato perchè quei fiori sbocciassero su quelle piante.. 

 

 

FURBETTI E CRETINI

Non so voi, ma personalmente sono indignata dall’utilizzo del  termine “i furbetti del cartellino”.  Sono una donna che lavora, come molti, e come molti vado al lavoro anche con la febbre. In 35 anni di lavoro ho presentato TRE brevissime malattie di cui due per ricovero ospedaliero. Come molti altri lavoratori in questo paese lavoro onestamente, con correttezza, senso di responsabilità e serietà. E offende sentire (4 volte in un solo TG) “i furbetti del cartellino”.  Ti vedi davanti il film anni 60 della mamma che con un sorriso malcelato rimprovera il figlioletto perché ha rubato la marmellata.  Sono reati gravi, truffe, ai danni della comunità, della gente che lavora tutto il giorno facendo i salti mortali per fare la spesa, accudire i figli, andare alle riunioni della scuola, e tirare la fine del mese. Per dirla in parole povere, se quelli sono “furbetti” noi altri siamo cretini.  Non ci sentiamo eroi (ma forse dovremmo). Ma sentiamo di vivere con dignità e senso del dovere. E Rispetto. Chi è preposto all’informazione  dovrebbe fare molta attenzione alle parole da dire e soprattutto a quelle da non dire. Nel nome del Rispetto e nel nome di chi lavora e paga gli stipendi. Ai “furbetti” del cartellino, e anche ai “giornalisti”.

BASTONI SENZA CAROTE

Il popolo italiano, quella parte onesta, pulita, sincera,  corretta del popolo italiano, è offesa. Stanca, soprattutto. Di sentirsi il dito puntato contro e dover dimostrare continuamente di non essere “colpevole”. Di sentirsi “colpevole fino a prova contraria”. Io mi domando veramente quale peccato debba scontare il popolo italiano per meritarsi questi tempi. Togliamo il voto agli anziani, tanto, i più, sono già  poco emarginati no? Tanto vale toglier loro la dignità tutta. Tanto vale farli sentire inutili, più inutili di quanto già molti non si sentano. Non è mica discriminante no? La vera discriminazione è quella nei confronti degli stranieri, dei gay,  dei carcerati, dei non cattolici. Togliamo i crocefissi dalle scuole, così come la carne di maiale dalle mense dei nostri bambini: bisogna aver riguardo e rispetto per le minoranze. Ma agli anziani togliamo il voto, mica è discriminante! Assolviamo i  violentatori di Ancona perché la ragazza era “troppo mascolina”, poco attraente… Anzi: restituiamo loro la fedina penale immacolata. Mettiamo in croce le partite iva perché il 15% di imposta sostitutiva porta poco nelle casse. Peccato che anche un deficiente capisce che altro non si fa se non incentivare commercianti professionisti, artigiani, a fare più “nero” altrimenti con cosa vivono? Con il 20% che rimane dopo le tasse? Ma abbiamo la soluzione!  Manette agli evasioni!!  Benissimo. Una domanda: le carceri dove le troviamo? E chi li  mantiene, questi carcerati per tutta questa “evasione fiscale grave” in carcere? Ah vero. Li manterranno gli stupratori liberi, perché “poverini” si adatteranno a lavorare nelle pizzerie. Giusto!!  E poi gli assolti di “mafia capitale”, quelli che per la Cassazione, a Roma non era mafia.  E poi anche gli “ex terroristi” che hanno compiuto stragi “di Stato” però dallo stesso Stato percepiscono la pensione e il reddito di cittadinanza. L’Europa, ormai è chiaro anche ad un cieco,  vuole trasformare questo Paese in un campo profughi, così si leva tutti gli immigrati dai coglioni e i relativi problemi e costi.  L’ Unione Europea, quindi anche l’Italia, ha pagato la Turchia (oltre tre miliardi di euro) perché blocchi i migranti, che dai balcani arriverebbero in Germania mentre per il nostro paese nulla si è fatto si fa.  Anzi… a chi ci ha provato sappiamo come è andata. I migranti sono una risorsa, è il motivetto che ci viene cantato dall’Europa. Allora perché bloccarli? Perché non mettere loro il tappeto rosso cosparso di petali di rose? Ahh ma vuoi vedere che sono risorsa solo per l’Italia? Capito!!  Per gli altri paesi sono una spesa enorme, un problema enorme ma per noi, italiani, sono una risorsa. Capito!! Vedi che basta ragionare un po’ per capire? Ida Magli, la Fallaci, lo hanno capito trent’anni fa.. Ma erano complottiste, visionarie.  Si sa.  Indro Montanelli, già parecchi anni fa, predisse: quando faranno l’Europa i francesi ci entreranno da francesi, i tedeschi da tedeschi, gli italiani .. da europei.  …. 

Quindi, ricapitoliamo, togliamo i crocefissi perché discriminati (a quando la prescrizione del burqa per noi donne italiane?); togliamo il voto agli anziani, diamolo ai sedicenni che sono condizionabili e in gran parte ignoranti come capre, dato (anche) il livello degli insegnanti, dati i social, l’alcool, la mancanza di stimoli e di controlli e il rincoglionimento generale; mettiamo le manette ai “grandi” evasori e facciamo uscire di galera i violentatori, i mafiosi ecc ecc. Chiudiamo la Whirlpool a Napoli, e lasciamo che apra in Polonia. Ora mi domando: ma una mazzata di legnate no? Non ci spetterebbe di diritto? No .. perché violentati, maltrattati, bistrattati e presi per i fondelli ogni giorno… Con il dito puntato contro, spiati in banca, in casa, in vacanza e probabilmente anche tra le lenzuola dalla Agenzia delle Entrate che sa anche quante mutande abbiamo nel cassetto (al KGB erano dilettanti) ci manca giusto una ripassata di legnate prima e dopo i pasti.  O no? A noi italiani eh. Sia ben chiaro, non certamente agli altri, alle cosiddette “minoranze”.   E’ un mondo che va alla rovescia, ormai è chiaro: per andare avanti dobbiamo incominciare a guardare indietro. Abbiamo bisogno di speranza, di giustizia, di rispetto. Questo meraviglioso Paese è alla deriva. L’Italia è un popolo buono, tutto sommato è la casa degli “Italiani brava gente”. Ma ha bisogno di giustizia e di buon senso, per ritrovare la SPERANZA. Altrimenti questa non è più casa. Ci si sente ospiti a casa nostra, sentiamo di dover bussare alla porta di casa nostra. Di muoverci in punta di piedi. Di dormire sullo zerbino e lasciare il nostro letto agli ospiti. Di chiedere permesso anche per respirare. Abbiamo bisogno di casa. Della nostra casa, di averne in tasca le chiavi.  Dalla giustizia arriverà la speranza. Ed è qui che sento la lama fredda che punge. Dov’è …  la giustizia?

Themis at Sunset

ASCOLTA: PIOVE

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foto: R.

(…) Ascolta. Piove dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici salmastre ed arse, piove su i pini scagliosi ed irti,
piove su i mirti divini, su le ginestre fulgenti di fiori accolti,
su i ginepri folti di coccole aulenti (…)

E piove su Firenze, oggi, ventitré settembre. Equinozio. Ma noi di Controluce teniamo alle tradizioni, in barba al tempo. Al cielo che non permette la firma del Sole sulla Terra. I nostri pensieri difendono le tradizioni. Il nostro amore per l’odore del pane, quello della lavanda della biancheria stesa, quella delle foto in bianco e nero, quella dei libri di carta. E non ci definirei dei nostalgici. I nostalgici mi sanno di fermo immagine, odorano un po’ di morte. Noi viviamo. A volte a fatica, al passo coi tempi, con questi tempi che non amiamo, che non capiamo. Ci sentiamo estranei, a volte. Udiamo parole e frasi che non comprendiamo. Ci confrontiamo con modi, usi, linguaggio, costumi che non fanno parte di noi. E’ come se queste nuove generazioni che ci ruotano intorno non avessero ereditato la nostra stessa storia. E in fondo è così. Questo mondo è sempre meno casa, meno amico. Sempre meno mamma. E’ una babele infinita. Allora cerchiamo la bellezza ed io ringrazio il cielo di volerla cercare e trovare, di saperla un poco riconoscere (a costo di qualche abbaglio). E ringrazio il cielo di conoscere qualcuno così. Instancabili cercatori di bellezza, come i rabdomanti con l’acqua. Come segugi ad ad annusare l’aria, la terra. La vita. E tradizione è, per questo sito, per chi lo scrive e anche per chi lo ha scritto in passato, per chi lo amato, per chi lo ama, anche un post come questo. Avrà fiato, questo luogo,  finchè ci saranno cose come queste. Come questa che pubblico qui di seguito con un senso di sollievo. Sollievo, appunto, nel sentire, vedere trovare tracce di persone che come me celebrano le cose belle, omaggiano il cielo, le stelle, il sole e la luna. Persone che sanno dialogare tra loro, ma anche scrutare nell’universo con stupore e contemplazione. Riccardo, il mediatore tra controluce e il sole che firma e che non può firmare oggi, a causa delle nuvole. La foto sopra è di oggi il testo che segue.. anche.

“E così ci siamo un’altra volta. Di nuovo torna il freddo, piove, gli alberi si ingialliscono e le solite cose che conosciamo bene ormai. C’è chi gli piace, c’è chi meno; io sono “meno”, in effetti.
E per distinguere questo momento, in cui l’Autunno comincia, lo si fa coincidere con l’equinozio di Settembre, uno dei due momenti dell’anno in cui il giorno duri quanto la notte; la nostra amica meridiana traccerebbe l’ombra dell’estremità del suo gnomone (non so cosa c’entrino gli gnomi per la verità, e meno che meno quello grosso della famiglia… mi informerò sull’etimologia di questo nome) come una linea retta, a metà tra le iperboli del solstizio di inverno ed estate. Dico “dovrebbe” perché, come si vede dalla foto, oggi a Fi c’è un tempo consono alla stagione, e così ieri e l’altro ieri e per i giorni prossimi. Per cui ahimè, niente meridiana questa volta. Ma una curiosità, al suo posto: nella fotina si vede che il sole nasce “esattamente” ad est, e tramonta “esattamente” ad ovest: questo succede solo agli equinozi.
Per cui buon Autunno controlucini, non ci sia la malinconia tipica di questa stagione, ma piuttosto l’allegria della vendemmia, che si porta dietro la cosa più buona creata da mente umana che è la schiacciata con l’uva ovviamente, e dell’olio nuovo! R.”

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da ricc.

A (S)PASSO COL TEMPO

Da un diario inventato

Verona sonnecchia sotto un cielo nuvoloso di novembre. La luna, piccola e bianca buca le nuvole. Una nuvola, la luna, la usa come stola. Un coprispalle, per la sera fredda. Uno scaldacuore, come quelli che usano le ballerine. Così mi sembra mentre osservo il cielo con lo sguardo e la mente sciolti. L’anima a riposo, come anche le mani. Non è la mia città, Verona, non mi conosce. È terra di mezzo, per me. Una stazione intermedia, tra la quotidianità e il sogno. Luogo di sosta, stanza dei libri, poltrona e plaid. Qualcosa del genere. Non mi sono mai consegnata a questa città bella, che sa di canto antico. Piccola e chiusa come un utero. Protettiva, probabilmente. Spesso vestita di oro e di luce, abito da sera. Un bel po’ signora. Non la sento mia. Eppure, è la città dei ritorni, dei miei ritorni. Forse in un altro tempo appartenevo a questo luogo, respiravo qui, amavo, soffrivo qui. Chissà. E’ per me un po’ come il canto delle sirene, seducente, ammaliante. Credo di amare il sogno, non la città, non il suolo che calpesto quando scendo alla stazione. Il mio Romeo è il libro, la piccola pensione dove albergo in queste mie brevi fughe, la passeggiata sul lungo Adige. La visione dei ponti e le mura antiche. Le pietre. Le pietre conservano e non disperdono, assorbono. Come conchiglie restituiscono respiri, pianti, risate. Come qualcosa di vivo, piangono. Ed è un pianto antico, immortale, eterno. Ogni volta che riparto, il mio tempo ha contato circa 50 ore, passate con me, a riposarmi dalla gente. Dai luoghi comuni, dalle incombenze. Forse è un luogo capace di stare in armonia con il mio di dentro e restituire l’armonia a me, quella che dovrebbe costituire la bellezza ovvero l’armonia tra il mio corpo e la mia mente. Forse le note di questa città sanno pizzicare le mie corde. O forse è vero che apparteniamo a quei luoghi misteriosi e sconosciuti alla parte conscia. Adesso la luna è più piccola: vedo la luce attraverso la persiana verde della finestra della pensione. Con lo sguardo la accarezzo: lei come Verona conservano un fascino immutato e immutabile.  Poco fa guardando il fiume ho ripensato ad una frase di Jorge Louis Borges: Guardare il fiume fatto di tempo e d’acqua e ricordare che il tempo è un altro fiume. Sapere che ci perdiamo come il fiume e che passano i volti come l’acqua.  E mi piace il messaggio contrario che mi rimandano questa città e la luna. Un fermo immagine. Un tempo che sa scorrere lento e talvolta persino fermarsi. Piazza dei Signori fa a botte con le cianfrusaglie delle bancarelle che la invadono, violentano e sfregiano. Paccottiglie colorate, cose inutili, simboli di una società che tende a cambiare, sostituire, usare e gettare.  Il silenzio dei vicoli di notte è musica per il mio cuore. Esco. Lascio la mia stanza ed esco nella notte. Un bagno di pace, di silenzi, in una città che in novembre va a dormire presto. E che accoglie i miei passi con rispetto. I merli degli antichi palazzi si stagliano contro il cielo blu della notte ed io Giulietta senza balcone avanzo con il mio invisibile Romeo che altro non è che il tempo che sa accompagnare e non incombere. Che passeggia accanto a me, finalmente al ritmo del mio passo.

IL POPOLO DELLA CIABATTA

E dopo i pantaloni con il cavallo che arriva alle ginocchia, ma che però scendono sui fianchi per mostrare l’elastico delle mutande ovviamente firmato, dopo il pantaloncino corto e la giarrettiera sulla coscia nuda, dopo il collare con le borchie, i crocifissi che pendono da lobi lunghissimi e dalle scollature di canottiere opportunamente bucherellate ecc ecc, abbiamo le ciabatte. Non potevano mancare. Firmate, of course, con il pelo, dentro e fuori oppure solo fuori o solo dentro (dipende dalle stagioni immagino). La griffe più famosa: 900 euro al paio, in saldo. A proposito, approfittarne subito non sia mai che ci tocchi rimanere senza. Ciabatte di ecopelle, o di gomma, per intenderci quelle della doccia, con il pelo sopra o senza pelo, ma con la stampa della griffe bella grossa e colorata (non sia mai che passi inosservata). Vorrei dire al popolo della ciabatta, di stare sereno, che non passa inosservato nessuno che passeggia in ciabatte, firmate o meno, con o senza pelo. E questa è una cosa bella, perché nel momento in cui questi orrori, queste offese al buon gusto, questi sfregi al cavallo di battaglia che fu il gusto italiano, non provocheranno più alcun conato di vomito, avremmo toccato il fondo. Non mi voglio abituare alla ciabatta di gomma con il pelo nemmeno a quello senza pelo, al mocassino con il morsetto aperto dietro foderato di leopardo. Non mi voglio abituare, grazie! Io voglio ancora stupirmi e provare orrore.  Voglio ancora provare un brivido lungo la schiena e ringraziare una dote che immagino mi appartiene: quella del buon gusto, della semplicità, l’amore per il classico, il normale. Quella dote che si chiama eleganza. E pensare che basta un jeans, una camicia bianca, una scarpa semplice. 

Per ammirare alcuni modelli di ciabatta trendy cliccate qui.

Lo metto solo per condivisione. Potete tranquillamente metterci un velo pietoso sopra- anzi un tendone, magari da circo che sarebbe anche calzante – e la parola calzante calza.  Per compensare posto Coco.  Che la sua anima non abbia a passeggiare per Montenapoleone a Milano o Tornabuoni a Firenze o per via Condotti a Roma… Ecc. Ecc.

CONTROLUCIANDO

Non scrivo molto, ne parlavo ieri. Perchè non lo so. Forse mancano amici mici amiche micie animaletti verdi ed elefantini. Vero, ho menestrelli e messaggeri del cielo, Vero. Ma ci sono anche nei miei giorni. La rete è bella, una bella cosa, un infinito bacino di curiosità di possibilità di conoscenza. E di porcate. Come tutto, come sempre, come ogni cosa dipende dall’uso personale, dalla fruizione, dall’attenzione, dalla capacità di discernere che non è proprio di tutti. Diciamolo. Questo blog è in rete, e alcuni dei miei amici più cari sono nati qui,. Non li conoscevo, prima di Controluce. E ora sono nei miei giorni, frequento la loro casa e loro frequentano la mia. Quella fisica ma soprattutto la casa spirituale. Passeggio nel loro tempo come loro nel mio. Quindi Controluce è un sito buono, foriero di bellezza e di rapporti edificanti. Forti. Belli. Veri. Vite che si intrecciano con la mia proprio come accade alle persone che si incontrano per strada, al bar, al cinema, a casa di amici, in libreria, al parco, al supermercato. Viaggio in treno, ogni giorno e ogni giorno rifletto sulla solitudine della gente e non no ho mai percepita tanta come in questi 10 anni. L’età non conta: 18 anni o 50 il telefonino sostituisce libri, giornali e conversazioni. Diamo fastidio, io e le mie compagne di treno perchè chiacchieriamo. Lo facciamo con la voce, con i gesti, con i sorrisi. Proprio come si faceva in epoca pre-smartphone. Si parla di ricette, di libri, di piante, di quotidianità. Si condivide qualche aneddoto, ci si scambiano notizie, informazioni, si commenta si argomenta si racconta. Si condividono quelle cose che possono essere condivise e raccontate in un luogo come un treno. E diamo fastidio. Lo notiamo ogni giorno: le occhiate e le espressioni del viso sono più che eloquenti. Perché?  Bè…. per lo più queste persone infastidite sono quelle che sfogliano pagine e pagine di facebook, chattano in gruppo con whatsApp ecc. E’ vietato disturbare: queste attività richiedono così tanta concentrazione, tanta dedizione che nemmeno in chiesa si deve fare più silenzio. La scorsa settimana, all’inizio mio malgrado, ma poi lo ammetto, ero affascinata,  guardavo una donna di circa 30 anni (mia mamma aveva già me in età da asilo). Ha trascorso trentacinque minuti a guardare in continuazione un filmato su facebook dove dei ragazzi ad una festa mostravano alla telecamera ora un piatto con hamburger e patatine, ora uno spritz, ora sorrisi con labbra color rosso valentino opportunamente impostate a bacio … Intervallato da pollici alti, quando non i mignoli di entrambe le mani. L’ha guardato e riguardato almeno 10 volte, stoppando ogni tanto e ingrandendo con le dita l’oggetto del fermo immagine. L’hamburger, un viso, un calice di vino. Ero… affascinata, ve lo giuro. E mi domando dove stiamo andando… Se ci rendiamo conto anche minimamente che siamo un gregge di pecore, burattini nelle mani di esperti burattinai cui consegnamo la nostra vita, le nostre intimità, i nostri gusti, tendenze, consumi, qualsiasi cosa. Entriamo volontariamente in un gigantesco data-base, ci entriamo con tutte le scarpe senza vestiti, senza nemmeno le mutande. Siamo manipolati e crediamo di non essere mai stati così liberi. La prigione peggiore è quella dentro la quale ci si ritiene liberi. Siamo dentro la caverna, Platone se la ride dalla tomba. Scendo dal treno: per attraversare la strada spesso uso il sottopasso della metropolitana. Accanto a me cammina un ragazzo. Un botto tremendo. Il suo crapone sbatte contro il pannello luminoso degli orari del treno. Camminava leggendo il cellulare. Ben gli sta mi viene da pensare. Un bel bernoccolo ben meritato. Ma la mia mente corre a quelli che lo fanno mentre guidano. E ammazzano gli altri. Torno a casa la sera, accendo la TV mentre affetto pomodori. Un uomo uccide i propri figli perché trasmette il video di lui che guida. Si ribalta con l’auto. Uccide due bambini. Gli auguro di non morire prima di cent’anni perché gli resti il tempo del rimorso. Ma poi penso se una persona del genere sia capace di rimorso. Dove sta andando l’umanità. Questa è evoluzione? Non direi proprio. Genitori che alla figlia per i diciott’anni regalano le tette nuove. Madri che a 50 anni ne vogliono dimostrare 25 e non si rendono conto di quanto il risultato sia ridicolo e patetico. Tatuaggi, abbronzature, labbroni. Dove sono la sobrietà il buon gusto, l’eleganza? Tutti dietro come pecoroni ai must della moda. Ciabatte stile mocassino di Gucci aperto dietro. Ciabatte di gomma della doccia, con il pelo sopra. Roba da stilisti, 400 euro al paio minimo. Non si possono guardare. Tutto questo vale anche per le cose di dentro. Egoismo imperante. Rapporti falsi, relazioni di plastica colorata. Usa e getta. L’ apericena, il cinemino, lo spitz sulla terrazza chic che quasi tocchi la Madonnina (poveretta…). Mi sento bene nel mio pantalone di cotone beige la mia camicia bianca il mio sandalino basso, orecchini di perle e un girocollo quasi invisibile. Non sarò trendy ma mi sento bene così. Vedo donne che sembrano lampadari ambulanti dalla bigiotteria che si caricano addosso. E la cosa brutta è che il pacchiano è dentro. Il cattivo gusto, la volgarità sono dentro… Sale l’amica della mia vicina di treno: Cccciaaooooooooooo Macciaoooooooo ma che bello vederti!!! baci, baci, abbraccio. Dai che ci facciamo un caffè nei prossimi giorni.. Un’ape.. si si dai facciamoci un’ape. Ci sentiamo eh! Ccciaooo ccciaoo ciiiaoo. Scende. L’altra si attacca al telefono: ho incontrato la franciiii ma che palle dio com’è ingrassaaaata. Non potevo evitarla e me la sono cuccata tre fermate miiiiiiiii. Io la guardo, credo con disprezzo. Mica coglie. Ma va. Amen. Prendo la mia borsa e scendo. Mi dirigo al solito bar. Ciao Ale. Lui: buongiorno signora. il solito? Si Ale, grazie. Il solito. E insieme al mio caffè macchiato mi allunga un cioccolatino. Mi sa che ci vuole vero? Ehhhh….. Si Ale, ci vuole. Esco e c’è Ivano il commesso della libreria sulla porta che sistema la vetrina. Ciao Ivano. Ciao fa lui, oggi fa meno caldo, dice. Ci vediamo buona giornata. Come sono belle le persone normali.

21 DI GIUGNO IN CONTROLUCE

Buongiorno ancora a tutta Controluce. In controvento, controcorrente, contromano. Innanzitutto un Miaaaaaaoooooooo forte a Petula: so che ha lasciato un Miaaaaaoooo forte e chiaro a casa ZarZiguli per il tramite del MioMao.

A seguire il reportage di Messer Riccardo. Messer era il secondo appellativo datogli da Petula dopo il Menestrello della Luna. Allora: il nostro ing. è fuori Firenze ma MAI e poi MAI avrebbe lasciato Controluce e i suoi abitanti (4 gatti ma che gatti!) senza la tradizionale firma del sole. Pertanto eccovi il documento firmato 19 giugno 2019. Che a detta mia, è un bellissimo numero. Ed io scarto con voi questo regalo che ho ricevuto impacchettato e opportunamente infiocchettato. E vi riporto la sua giustificazione (sua, del Riccardo) per aver provveduto due giorni prima:

“dato che il solstizio è un massimo della traiettoria del sole lungo il suo moto apparente sull’eclittica, l’errore che si commette è trascurabile”.

Ecco… (!!!)

Era vestito da ingegnere: un regolo gli spuntava da dietro un orecchio e da una delle tasche faceva capolino una chiave inglese, dall’altra un paio di cacciaviti di cui uno rigorosamente “a stella”. Al passaggio, come pollicino seminava briciole, lui sparpagliava brugole e bulloni. Ma … lo devo dire, anche polvere di stelle, e una scia di luce (lunare?) permaneva per qualche istante dopo il suo passaggio. Quindi .. mah!! Confermo il soprannome che gli diedi molti anni fa: IGM – ingegnere geneticamente modificato. Grazie Riccardo. E grazie Petula. Io lo so per cosa, e anche te lo sai.

Cliccando sulle foto è possibile ammirarne i particolari. praticamente è quasi come essere …là.

GATTE LUNE E MENESTRELLI

Buongiorno Controluce. La Luna, ancora. Ma, sebbene ogni Luna piena per noi sia un motivo di unione, ancora di più lo è quella di giugno. C’è un piccolissimo popolo che si ritrova sotto la Luna piena. I pensieri spazzatura di queste persone si disintegrano e ricevono il via libera i pensieri belli, i pensieri buoni. I pensieri puliti che si sciolgono, giocano, si rincorrono per poi intrecciarsi tra loro, fluenti come seta.

E’ un incontro, è tempo dedicato, è comunione. Questo piccolo popolo ha un respiro un po’ celeste, e passi leggeri di gatta. Ha un fiato delicato, ma anche deciso, sicuro. Orgoglioso. Fiero. Da Roma a Firenze e Milano, dalle colline piemontesi, dal Verbano al Lario ci sono cuori e menti uniti sotto ogni Luna piena.

E sotto la Luna di Giugno c’è qualche respiro ancora più magico, ancora più caldo. Forte. Il nostro fiato è forte. I nostri pensieri lo sono. E’ un abbraccio, che è forte. Intreccio di code, carezza di zampe.

Il menestrello della Luna, come era solita definirlo Gatta Petula ha dato una immagine a questo abbraccio. Chi passa di qui per caso non li vede, ma noi li vediamo: sotto questa Luna ci sono cuori e code. Zampe e sorrisi. Ricordi? No… io non li chiamo ricordi. Li chiamo Vita. Li chiamo momenti, li chiamo fiato. I ricordi sono per coloro i quali non sanno che il tempo non esiste. Stare sotto questa Luna è uscire dalla gabbia spazio-tempo. E’ ri-conoscersi in ciò che l’essere umano ha dentro di sé, di più nobile e puro. Almeno per un po’.

Ecco dove eravamo tutti noi ieri sera. Da me la Luna non si vedeva, era nuvoloso. Ma non ha importanza. La Luna c’è… anche quando non la vediamo. Si sa.

A Firenze nemmeno si vedeva, non alle 21, non alle 22. Ma il Menestrello ha atteso e ha atteso. Che le nuvole si dissipassero. Forse una zampata di gatta?

E questo è il premio dell’attesa. La Luna di giugno, la Luna di Betta. Betta è il secondo nome di Petula. E’ la prima volta che lo svelo qui, ma ho la licenza di MioMao. E MioMao è in costante contatto con Petula. Si sa.

OFFERTE

Buongiorno a tutti. L’altro giorno Sir Biss mi ha fatto dono di questo spettacolo, con un po’ di rammarico perché il vento ha spogliato Rodo dei suoi meravigliosi fiori. Pero’, l’immediata sensazione alla vista delle immagini, da parte mia, è stata la parola che è titolo di questo articolo: offerta.  E anche Sir Biss si è arresa e ha voluto leggere la “perdita” dei fiori da parte di Rodo attraverso queste lenti. Un’offerta che Rodo ha deposto ai piedi di noi, piccoli esseri umani, che possediamo, pensiamo, ragioniamo, comperiamo e vendiamo. Noi pieni di presunzione e gonfi di sapere. Grondanti di saper fare.. Pieni di cose. Roba. Troppa. Rodo non… compera nulla. Non chiede nulla, non costa nulla e non consuma. Non inquina. Esiste, semplicemente ed è capace di una cosa come questa. Lui non sa tessere e annodare tappeti, non usa sete e lane costose, non usa coloranti, pigmenti, telai. Non mette il cartellino col prezzo al tappeto finito. Non confeziona proprio. Lascia il lavoro al vento, all’aria, al sole, alla rugiada. E produce tutto questo. E lo regala. Regala “sé”. 

Grazie Rodo. Mi hai dato una immagine forte e tenera al contempo, felice e commovente. La condivido con i miei amici di controluce e con chi come noi, immeritatamente gode di questa bellezza, di questo dono. Dico immeritatamente perché spesso, davanti alla magnificenza della Natura mi chiedo cosa abbia fatto ma soprattutto cosa sta facendo il genere umano per meritarsela. Buon maggio a tutti i miei amici e a coloro che passano di qui. Buon maggio a te, Rodo e lunga vita.  Ti vogliamo un sacco bene e ci inchiniamo a te, con umiltà ..  Almeno qualche volta qualcuno riesce a provarla.

RODO 1 A

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BELLA LA MODELLA

BELLA

Buongiorno a tutti!

Mi presento: mi chiamo Bella e vivo in collina, in un luogo con tante viti e sotto un cielo che di sera si colora di rosa. 

Sono un po’ emozionata per essere qui, in queste stanze, e mentre vi passeggio, ricalco i passi di un’altra Gatta, Petula. So che Lei (io lo so per certo, non è che lo penso, LO SO) è felice che le mie zampette muovono timidi passi sopra le sue impronte, per altro incancellabili, indelebili. Indimenticabili.

Percepisco il suo profumo, e trovo alcuni peli, qua e la’. Tutte cose riservate a noi gatte e gatti: voi umani non avete questo dono, ne avrete altri ma devo ancora capire quali. Miaoooooooo!!

Gatta Petula mi sussurra di non preoccuparmi, mi rassicura, e mi guarda con un’aria complice. Mi dice che voi umani, che frequentate questo posto, siete un po’ speciali. Ovviamente io le credo, lei è la mia Maestra. Mi sono anche accorta che c’è stata per molto tempo Lucertola e a tal proposito voglio rassicurarvi: c’è ancora!! Solo che tiene compagnia a Petula. Anche questo io non lo presumo: semplicemente LO SO. Noi gatti, e soprattutto noi gatte, abbiamo baffi che vibrano tra i fili sottili delle varie esistenze. Voi no….

Eh, l’ ho già imparato io, che nessuno è perfetto! 

Detto questo, per ora vi lascio. Per le mie piccole zampette ho già fatto dei passi da gigante, ma prometto che ritorno, è un bel posto e c’è profumo di biscotti!!  Ora vado a fare il provino perchè mi hanno chiesto di fare la modella. Mi stanno confezionando un cat-book e questa foto che vi ho portato è solo una della tante. Ne seguiranno altre, che vi mostrerò. Una in particolare sarà testimone delle mie doti acrobatiche.

Vi porto i saluti della mia convivente, Pinuccia, e della sua famiglia. Lei mi aiuta a crescere: in compenso io l’aiuto con il mio amore e la mia dolcezza. In verità le combino anche qualche marachella, ma lei fa solo finta di arrabbiarsi: in realtà ride!!   Un saluto particolare a Ghebbel e al Miomao, da parte mia e da parte di Gatta Petula.

Miaoooooooooooooooooooo !!!!!!!!!!!!!

Eccomi, agile e snella da far invidia ad una modella!!

Una piccola nota: Celeste, con il mio arrivo, ha deciso di rimuovere quella fastidiosissima pubblicità in Controluce! Ne vale la pena, vero?

SOTTO IL CIELO COBALTO

Il consueto omaggio di Riccardo. Sotto un cielo cobalto o turchese ti vien da cantare: che fretta c’era maledetta primavera ogni volta che pensi “ma è già passato un anno?”  Eh!!!  Ma non è questione di fretta. E’ che il Sole ci parla, il cielo ci parla, e lo fa quando deve farlo, mica quando non ha fretta. Io, saturnina mio malgrado, lo so molto bene: litigo con il tempo ogni giorno. Ma lasciamo in pace Saturno e Crono, titani e miti e passiamo ai riti..

Signore e Signori di Controluce ecco a voi il 20 marzo 2019 offerto dal nostro reporter Messer Ricc.  Scatti di una manciata di minuti fa, sotto un cielo perfetto, come sa essere solo il cielo per ricordarci che le regole se ne fregano del resto che perfetto non è.  Ecco le fotografie.. 

E’ il nostro modo di partecipare a questa celebrazione. Come facciamo con la Luna ogni volta che è piena.  

Per noi, che ci sentiamo parte di questi dialoghi, e che ci presentiamo puntuali a questa assemblea. Per noi, che tendiamo orecchi e occhi e cuore al cielo, sentendoci parte di qualcosa di infinito, insondabile e per questo di affascinante. Lo facciamo con rispetto, lo facciamo con stupore e meraviglia.

Lo facciamo con amore. 

 

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Per godere delle fotografie grandi, basta un click!!

 

LA LUNA

 Autore della foto: il Menestrello

La Luna. Quel piccolo sassolino scappato di casa da piccolo per me è femminile, ma non so tradurre “sassolino” al femminile. Vabè. Lei, la Luna, quella bellissima signora luminosa ispiratrice di canzoni e di poesie, complice delle donne e anche degli amanti. Amante del mare, compagna e complice dei naviganti, raggiungibile da ogni sguardo, eppure insondabile per tutti noi, abitanti di sua madre la terra. La guardo spesso, a volte non da sola: la luna permette di essere vicini nonostante i chilometri: annulla le distanze geografiche e avvicina i pensieri, i cuori, mescola i ricordi, sovrappone desideri e sogni.  Magica sempre, gialla, rossa, avorio, mezza, un quarto, piena, nuova… Sola. A volte mi sembra soffra di nostalgia, forse di casa, della voce dei bambini, dell’odore del bucato, quello delle spezie, quello del mare che lei chiama a sé ed egli risponde.

Borges ha scritto:

C’è tanta solitudine in quell’oro.
La luna delle notti non è la luna che vide il primo Adamo.  I lunghi secoli della veglia umana l’hanno colmata di antico pianto. Guardala. È il tuo specchio.

Mi viene da dirle: resta li, bella signora, senza nemmeno un rimpianto. Qui c’è tanta solitudine, quella vera, poiché la vera solitudine non è tanto esser soli ma sentirsi soli fra tanti.

 

CIN CIN

Prontuario per il brindisi di Capodanno

di Erri De Luca

erri de luca

Bevo a chi è di turno, in treno, in ospedale,
cucina, albergo, radio, fonderia,
in mare, su un aereo, in autostrada,
a chi scavalca questa notte senza un saluto,
bevo alla luna prossima, alla ragazza incinta,
a chi fa una promessa, a chi l’ha mantenuta,
a chi ha pagato il conto, a chi lo sta pagando,
a chi non è invitato in nessun posto,
allo straniero che impara l’italiano,
a chi studia la musica, a chi sa ballare il tango,

a chi si è alzato per cedere il posto,
a chi non si può alzare, a chi arrossisce,
a chi legge Dickens, a chi piange al cinema,
a chi protegge i boschi, a chi spegne un incendio,
a chi ha perduto tutto e ricomincia,
all’astemio che fa uno sforzo di condivisione,
a chi è nessuno per la persona amata,
a chi subisce scherzi e per reazione un giorno sarà eroe,
a chi scorda l’offesa, a chi sorride in fotografia,
a chi va a piedi, a chi sa andare scalzo,

a chi restituisce da quello che ha avuto,
a chi non capisce le barzellette,
all’ultimo insulto che sia l’ultimo,
ai pareggi, alle ics della schedina,
a chi fa un passo avanti e così disfa la riga,
a chi vuol farlo e poi non ce la fa,
infine bevo a chi ha diritto a un brindisi stasera
e tra questi non ha trovato il suo.

Erri De Luca

QUASI SOLSTIZIO

Rieccoci qui, con il consueto appuntamento con il cielo.
Un po’ in anticipo, date le cattive condizioni del tempo a Firenze. Il nostro Reporter, mediatore tra il Cielo e Controluce, tra noi e le stelle. Mamma mia che responsabilità!
Insomma, ieri c’era il sole. Pertanto per non lasciarci senza l’ombra (ma quanto mi piace giocare con le parole!!) dicevo: per non lasciarci senza, ha provveduto prima. E vi lascio con queste MERAVIGLIOSE fotografie. Ritratto di una città MERAVIGLIOSA.
Con l’augurio più bello che io possa lanciarvi dal mio cuore ovvero questo: Auguro ai miei amici cose normali, semplici e piccoline. La dolcezza, la semplicità. La gentilezza. Come mi ricorda ogni tanto Riccardo:  Alla fine.. conta solo la Gentilezza. Ecco le diapositive dove si possono ammirare l’ombra data dal Cielo e quella in Terra, ovvero la silhouette del Menestrello.

 

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FOLON INSIDE

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A metà, fra la terra ed il cielo, tra testa e cuore, tra accettazione e attiva accoglienza. Mediatore, cercatore di armonia.

Uno che va in giro coi sassi in tasca per bilanciare le cose della  vita che incontra, quella nella quale inciampa. Un osservatore dal cuore buono, alla ricerca della riparazione, della giustizia, del compromesso. Nel nome della pace. 

E’ Folon per me.  Di getto, davanti all’uomo Folon. Piove: lui apre l’ombrello, semplicemente. Non cerca riparo. Resta li’ sotto la pioggia senza far ritorno a casa, senza cercare un tetto.  Fa buio: lui si arrampica a cercar le stelle. Ci sono sempre le stelle: c’è sempre una luce.   Anche quando pare lontana. Anche quando ci sono le nuvole davanti.

E’ un equilibrista sui fili della vita. Che attraversa e contempla, con il suo cappottone pesante e il suo cappello, il bastone da passeggio, la leggerezza.  Lo troviamo seduto in riva al mare: l’acqua gli lambisce le gambe, gli bagna i pantaloni e lui accoglie, accetta. Non gli importa se si bagna. L’acqua esiste, proprio come lui. 

Al giardino delle Rose: si distrae dal libro e contempla il cielo. Lo guarda nella sua azzurrità come nel grigiore. Esiste, il cielo. Proprio come lui.  

Perennemente in armonia con la natura e con le sue forze che lui con calma accetta e non respinge. Semmai tenta di bilanciare. E’ un omone saggio, rassicurante. Sa, probabilmente sa, che contrastare significa perdere e che accettare significa rispettare. Che assecondare e accogliere è essere consapevole.

Vive negli acquarelli, l’uomo Folon. In orizzonti indefiniti. La sua figura contrasta spesso con lo sfondo eppure non sfigura: ha la leggerezza di una piuma anche quando è di bronzo. E’ poesia in un deserto di tempera diluita. Realtà nella finzione. Non mi riesce di definirlo romantico come mi è capitato di sentire. Gli elementi acqua, terra, aria, fuoco, onnipresenti come sfondi o come protagonisti, non è romanticismo. 

E’ un viaggiatore, un abitante, un passante del mondo. Contemplativo e tenero, sorpreso, incantato e consapevole. Incarna un uomo che passa attraverso la vita senza far rumore. Passa e va senza perdersi nulla di ciò che incontra. Senza possedere  trattenere. Semplicemente passa. Osserva. Respira. E spera. Nulla fa più sperare di un gesto che accoglie.  Il braccio che accoglie un uccello. O la pioggia che cade. L’orlo della sottana del mare si arrotola e srotola sulle sue gambe che accolgono, in un movimento senza fine.  Commovente Folon. Arriva dritto al cuore. Con buona pace del cioccolatino tondo. 

 

 

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IL RESPIRO DEL CIELO

Quando devo concentrarmi su “me”, cerco di immaginare un cielo oppure l’acqua. Immagino me stessa sdraiata sopra un prato verde a guardare il cielo. Oppure mi penso immersa nell’acqua, galleggio senza muovere nulla del mio corpo. E qualche volta riesco a stemperare i pensieri, smorzare le preoccupazioni e le ansie, affievolire il senso di pesantezza che è spesso nel cuore, nei giorni, nel quotidiano. E’ necessario, come il respiro. E’ energia vitale che scaturisce dal lasciare che sia. Non sono esperta di  meditazione, non ho mai fatto pratica, non yoga,  altro ma credo che lo scopo sia anche quello: lasciare che sia. Le tensioni quotidiane che attanagliano il cuore, imprigionano la creatività, la fantasia, condannano la favola al sottovuoto, legano le ali della mente, soffocano la capacità di accorgersi e godere delle piccole cose, levano dignità all’esistenza e fiato alla vita. E mi domando se il progresso sia questo: un susseguirsi di ansie e doveri che si replicano, come un enorme frattale. Ci sono due reazioni quando tutto è troppo: soccombere, deprimersi, abbattersi oppure reagire, combattere, affrontare. Ecco. Nel mezzo c’è un aiuto anzi più d’uno: il cielo, l’acqua, il prato verde sotto i piedi nudi. Ricerche di un primordiale istante anche solo immaginato, che possa conferire una po’ di dignità alla vita. Un mezzo che possa offrire un po’ di pace, quella che dura il tempo che basta per permettere  ad  un respiro di dire: ok, andiamo avanti. Una tregua. Un aiuto che può fare la differenza tra l’arrendersi e il lottare. Arrendersi è un attimo. Decidere di continuare a combattere, probabilmente pure.  Mi domando cosa abbia fatto tutta questa modernità, tutta questa tecnologia dentro la quale stiamo affogando, per migliorare veramente la qualità della vita della gente.  Molto banalmente: i nostri genitori trovavano il tempo di andare a ballare nelle sere d’estate, all’aperto, sotto le stelle. E non avevano la lavastoviglie e molto altro. Trovavano il tempo di portare i figli alle giostre, al cinema, al museo e anche quello di giocare per terra  sul pavimento, costruire con il Lego o giocare al fruttivendolo. Non c’è giorno che io non lotti contro il tempo. E mi serve il cielo, l’acqua, il prato sotto i piedi, la luce soffusa, l’aria fresca. Il vento addosso, la pioggia addosso. La neve dentro il collo del paltò.

L’immagine del post, quel meraviglioso cielo, è uno scatto di Gil (GilGanesh,  amico di Controluce che ci manca una cifra). Guardandola mi sono venute in mente diverse canzoni, tributo al Cielo.  Una bellissima e di certo meno conosciuta rispetto a Renato Zero e altri è “Le traiettorie delle mongolfiere” di GianMaria Testa. Abbiamo scritto di lui in diverse occasioni.. Lui non c’è più e chissà se sta seguendo quelle traiettorie colorate, con la sua anima leggera e densa, priva di zavorra, e profonda come la sua voce. Una voce che entra dentro, scalda lo stomaco e si fa spazio scaldando. 

Lasciano tracce impercettibili
le traiettorie delle mongolfiere
e l’uomo che sorveglia il cielo
non scioglie la matassa del volo
e non distingue più l’inizio
di quando sono partite
sopra gli ormeggi e la zavorra sono partite
tolti gli ormeggi e la zavorra
sono partite

A guardarle sono quasi immobili
lune piene contro il cielo chiaro
e l’uomo che le sorveglia
adesso non è più sicuro
se veramente sono mai partite
oppure sono sempre state lì
senza legami, colorate e immobili
così

Anche noi, anche noi
con gli occhi controvento al cielo
abbiamo cercato e perso
le tracce del loro volo
dentro le nuvole del pomeriggio
nei pomeriggi delle città
ma chissà dove è incominciato tutto
chissà

Anche noi, anche noi
con le mani puntate al cielo
abbiamo inseguito e perso
le tracce del loro volo
anche noi, anche noi
nelle nuvole del pomeriggio
nei pomeriggi delle città
ma chissà dove è incominciato tutto
chissà

GianMaria Testa è, l’ho già scritto, da centellinare con un bicchiere di vino e il fuoco acceso, nei pomeriggi piovosi, e comunque dentro casa, tra divano e cuscini. Non è da automobile, non è da cuffiette dello smartphone mentre si corre al parco. E’ per intenditori e vuole un momento dedicato. E e mi manca molto. Dico mi manca in quanto non lo ascolto frequentemente perché (e qui il cane si morde la coda) occorre calma per ascoltarlo con calma. Ecco. E quando sono triste, serve averlo in dosi omeopatiche. No perché lui sia triste, ma perché scava dentro anche quando racconta cose tenere e dolci, e fresche. E’ uno così Gianmaria.  Dice delle cose vere e profonde con la delicatezza di una margherita. Con il tatto di una libellula. E’ speciale. Punto.

QUELLO CHE NON SAI

Di una ragazza conservo il sapore e l’odore. Profumava di fiori ma anche di spezie. Immagino fosse il sapone che usava, perché non mi è mai giunto come un profumo intenso e liquido. E conservo il sale di qualche lacrima. Questo lo associo anche ad un odore molto metropolitano. Treno, metrò, bus.
Ho ancora la sensazione del tatto delicato delle sue dita, e del suo fiato che a volte sapeva di cannella, a volte di menta. Spesso dentro la sua borsa vi era della frutta: arrivava il profumo dritto dentro me.
Porto il segno anche di altre mani, mani ruvide eppure delicate. Altre ruvide e basta. Polpastrelli consumati dal lavoro quotidiano, dalla durezza delle cose. Porto addosso, tra le mie pieghe, qualche piccola traccia di caffè, briciola di pane, aroma di vaniglia.
Quando sono a riposo mi capita di sentire dita che mi accarezzano il dorso: alcune passano e basta, altre indugiano, altre passano e poi ritornano. In quel momento cerco di capire con attenzione quel tocco e mi diverto a farmi un’idea di chi può essere e quale può essere il suo interesse per me.
Vengo raccolto, a volte con gesto quasi religioso, e vengo accarezzato, a volte in modo quasi sacro. Ma sempre raccolgo sguardi e fiato, fanno parte di me, mi appartengono, come io appartengo loro. Vengo annusato. Proteggo volti ridenti, volti che piangono. I miei preferiti sono i volti che arrossiscono. Li adoro perché sono rari. Appartengono alle persone dal cuore buono e delicato.
Qualcuno sa che sono unico. Unico tra molti, tra centinaia, migliaia, a volte milioni di esseri come me, identici a me. Qualcuno lo comprende, e mi affida a qualcun altro, con questa consapevolezza. Ciò mi fa sentire bene e mi riscatta dall’apparire uno come tanti. E’ un conforto non essere il solo consapevole della mia unicità.
Ed è conforto poter dare conforto, saper essere un compagno silenzioso e presente. Sempre disponibile, sempre pronto a raccontare, a illuminare, a portare via per un po’ i pensieri del giorno. E’ bello poter essere fontana che lava la mente inquinata, finestra attraverso la quale passa aria nuova nella testa. O faro che illumina. Mano invisibile che rapisce. Ali che conducono altrove, in un altro tempo, in mezzo ad altre genti. Il dolce piacere del raccontare si mescola al dolce piacere del raccogliere, del conoscere, del sentire. Cosa c’è di più bello di questo scambio, e cosa lega di più?

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E’ una bella sensazione quando comprendo di contribuire alla libertà di qualcuno.
Sono l’amico più fedele e dentro di me ogni segreto è al sicuro: conosco i sospiri degli amanti, a volte sono loro così vicino che percepisco le variazioni del sudore. Conosco il pianto dei bambini e a volte so restituire il fiato a genitori esasperati dopo giornate di lavoro e figli capricciosi. Riempio notti insonni altrimenti vuote, posso scopare via cattivi pensieri, esorcizzare fantasmi e paure. Almeno per un po’.
A volte accompagno mamme al parco, impiegati in pausa pranzo, operai che riposano il corpo stanco, magari sul bus tornando a casa la sera. Ho molto viaggiato: treni, aerei, navi. Custodisco l’odore del mare, dei fiori di montagna, ed anche l’odore dei cibi di parecchi paesi del mondo in cui sono stato. Ho memoria dei raggi del sole e del suo calore su di me.  
Ho imparato a vivere accanto e accanto dono e ricevo. E scambio: credo che lo spirito di chi mi frequenta passi da fiato in fiato, respiro dopo respiro. Sopra di me si sono sovrapposte dita, impronte, umori. Sono ricompensa, riscatto. Sono un mezzo che porta lontano, che stempera il presente e lo rende più leggero.
Ebbene si, io sono un Libro.

MEDIT-AZIONE

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Ieri ho visto un film: The Circle, tratto dal romanzo Dave Eggers (2013, Mondadori).
Una ragazza viene assunta in una grande azienda Social, una azienda mondiale di tecnologia che conta miliardi di iscritti: una unica password, unico account per accedere dappertutto, unico mezzo per fare ogni cosa: pagare, votare ecc.

La ragazza in poco tempo diventa una “big” nella società ed entra nella manica di uno dei soci fondatori (Tom Hanks) che la assurge a guru. Accetta di fare da cavia e sperimentare, in prima persona, la condivisione di ogni istante della sua vita, fatta eccezione per quando va in bagno e dorme. Indossa una telecamera che trasmette ovunque le sue conversazioni, ogni suo spostamento, ogni sua azione. Vengono inoltre condivisi tutti i suoi messaggi, tutte le sue e mail. In pratica vive in uno stato di assoluta trasparenza e, durante le varie conferenze, “dimostra” quanto vivere in modo accessibile a tutti, porti beneficio per la società.

I bambini sono costantemente sotto controllo, così come anche la pressione sanguigna, e in caso di pericolo i soccorsi sono ovviamente immediati. Un mondo più sicuro.

Lei stessa (ma questo ancor prima che lei accettasse la condizione di trasparenza assoluta), pagaiando nel fiume, viene salvata da un elicottero: la sua attività era controllata dalle telecamerine poste sopra una boa che galleggiava nei paraggi.

Lo scenario è questo: droni da tutte le parti, telecamere in ogni dove, e persone che interagiscono tra loro, costantemente connesse. Un pregiudicato latitante viene intercettato in meno di 20 minuti: caccia e ritrovamento vengono trasmessi in diretta durante un congresso dell’azienda, davanti a migliaia di persone in carne ed ossa, e in rete, in tutto il mondo.

La popolazione mondiale, così organizzata, non avrebbe probabilmente un solo crimine irrisolto anzi… le persone si comporterebbero bene, sapendo di essere sotto costante controllo da migliaia, milioni, miliardi di occhi.

I dati sono tutti registrati e conservati per sempre negli archivi della società. Tutti sorvegliati speciali. Dal primo giorno di vita fino alla morte.

Il film ha un -ovvio- risvolto tragico con conseguente -altrettanto ovvio- ravvedimento della ragazza: durante un “esperimento” un suo amico di infanzia che “non sta al gioco” perché difende la sua libertà, il suo privato, la sua mente, viene intercettato così come era accaduto per il pregiudicato, e, nel tentativo di fuggire a decine e decine di persone con il telefonino in mano a localizzare e trasmettere la sua posizione, muore tragicamente volando giù da un ponte con il suo furgone.

I famosi sei gradi di separazione – cito da Wikipedia- “La teoria dei sei gradi di separazione in semiotica e in sociologia è un’ipotesi secondo la quale ogni persona può essere collegata a qualunque altra persona o cosa attraverso una catena di conoscenze e relazioni con non più di 5 intermediari” si annullano in una manciata di secondi. Teoria, per altro già abbondantemente superata: porta la data del 1929 quindi è preistoria, in termini di “rete”.

La rivincita della ragazza e la sua “vendetta” per riscattarsi – almeno in parte – dalla morte del suo amico è l’invito, davanti al mondo intero, ai due soci fondatori di diventare anch’essi trasparenti, e di far parte, attivamente, al progetto che loro stessi hanno fondato e finanziato. Infatti loro predicano la trasparenza, ma ne sono totalmente fuori. E in quel momento, milioni di e mail e di dati personali dei due finiscono sui tutti i device di tutto il mondo.

Curiosa (celeste-curiosissima), vado a leggere le recensioni di questo film in web e trovo opinioni davvero scarse. Che sia un sassolino (sassolone) nella scarpa? Questo film, di fantascienza ha ben poco, e questo enorme social – inventato nel film – somiglia tanto, ma tanto a quello vero, esistente e palpitante, a cui tutti noi affidiamo i nostri dati, le nostre preferenze, i nostri like, il nostro tempo, i nostri gusti politici culinari sessuali musicali e quant’altro.

A mio avviso è un film che fa meditare. E molto. Tenere in pugno un gruppo di persone è un gioco da ragazzi, ad un costo bassissimo. E farlo con un paese, una città, un popolo e con il mondo intero… non è differente. Non più. I mezzi ci sono. Basta aumentarne il numero.

Meditare prima di affidare la nostra vita, spontaneamente, ai social. Già ne siamo in parte costretti. Teniamoci addosso almeno le mutande. Finché sarà possibile.

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QUOTES AND CLICK

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In questo tempo di social e di condivisioni selvagge, si vive di pane e citazioni. Stralci di poesie usati a sproposito. A proposito: strumenti per inviare messaggi mirati a qualcuno in particolare o alla folla in generale. Pillole di saggezza dispensate qua e là, sparati da fucili in dotazione del popolo eletto grondante di giustizia, pervaso dallo Spirito Santo e colmo di Divina Sapienza. Tutti filosofi, tutti poeti, tutti saggi. Tutti fenomeni. Bravi. Namastè. Insieme alla fotografia abbiamo ucciso la Poesia, la scrittura, le idee. Scritti su foglietti formato post-it e sparpagliati nei vicoli sporchi e puzzolenti. Brani o pezzi amputati di brani meravigliosi copia-incollati e pubblicati su siti magari insulsi, magari a far da didascalia a foto altrettanto mediocri. Brani magari nemmeno letti prima ma “ci stavano bene”.

E’ successo anche a qualche scritto di Controluce. Pazienza, ci direte.  Succede ogni giorno a Catullo, Platone, Sant’Agostino.. vuoi che non succeda a donna Celeste da Controluce? Eh ba! O tempora o mores diceva qualcuno… Qualcun altro diceva non ti curar di loro ma guarda e passa. Rido perché ho appena reso l’idea dello scopo di questo post. Citare, citare, citare. Poi chiedi di chi è questa frase e ti rispondono: ma che ne so. Ecco.

C’è chi parla di tramonti o di ponti e ha fatto lo scatto con la macchina fotografica super digitale con il filtro ultima generazione, e lo ha pubblicato incollando sotto, per esempio un brano come questo:

“È così che vanno le cose. Alcuni episodi della vita sono pontili e noi lasciamo indietro pezzi di terra che ci hanno ospitato e cresciuto, percorriamo un tragitto segnando un passato di assi di legno inchiodate. L’acqua di sotto è ferma, al tramonto. Dovrà aspettare la luna per ritrarsi e sollevarsi e rispondere alle chiamate nostalgiche di quel pezzo di terra appeso nel cielo: anche la luna ha percorso un pontile ma non era sull’acqua: puntava nel cielo. Lo ha fatto con un buco nel tempo e adesso è lassù, malinconica secondo i poeti, ma è possibile che sia stata una scelta. Riflessiva di certo e matura, antica, sapiente. Generosa, morbida, introversa, rassicurante. Padrona delle acque, delle piante e delle donne. Controlla la talea di oggi, e il vino domani. Ha un del daffare ma è sempre puntuale e precisa, in tutte le cose della terra”. 

Che però è di Controluce. Pazienza! Si sa, quando pubblichi qualcosa, non è più tuo ma diventa di tutti. Lo sai. E’ il compromesso tra ombra e luce, nel nostro caso tra ombra e Controluce. Va bene lo stesso, per carità. Ma almeno citare la fonte, dal momento che tutta la rete è citazioni citazioni e ancora citazioni… Rido mentre scrivo: ricordo “parlatene male ma parlatene” bè almeno non ne parlano male. Forse.

E insieme alla poesia, alla scrittura, alla fotografia, abbiamo ucciso la cucina. Le lasagne rivisitate non sono lasagne. Il risotto alla milanese con aggiunta di ” fraises de bois” NON è il risotto alla milanese. Il panettone con dentro la crema di pistacchio o di limone o con il fico secco NON è panettone per cui per piacere chiamatelo come vi pare ma non chiamatelo panettone!

SPLEEN

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foto mia

Sarà che a volte sento nostalgia. Questa corre sulla mia sensibilità ogni giorno. Spesso la scaccio un po’ via, perché non mi piace tanto la malinconia. Mi dico: niente “spleen” come la definiva Baudelaire. Ma a volte lei, la nostalgia, indugia, vibra su certe mie corde, insiste, le usa come una amaca.  E a volte riesce ad essere dolcissima. Non è che mi faccia bene, la malinconia dolce, ma è la vocina che mi dice: “non dimenticare che molti dei valori dell’anima non necessariamente recano allegria o serenità”. A volte sono un pochino tristi, hanno il sapore del rimpianto, l’odore delle assenze. La poesia dei ritorni. Spesso mi viene voglia di ascoltare delle canzoni ma poi so che niente più delle canzoni può riportare sulla pelle gli odori e sulla lingua i sapori di un tempo passato. Allora lascio stare, perché alcune canzoni o forse tutte quelle che amo, riversano nell’aria la loro valigetta piena di sensazioni che a volte mi portano la pioggia dentro.  E mi dico che sono strana perché molti dei miei ricordi sono bellissimi e molte di queste canzoni mi ricoprono e mi accarezzano: molti non sanno di rimpianti né di nostalgia. Forse questo ha a che fare con il mio rapporto, difficile, con il tempo. Non siamo mai stati amici, il tempo ed io: non mi rassegno a questo tempo che mangia il tempo, divorandolo tra necessità, obblighi, e giornate, settimane e anni di respiri per cose insulse. Uno di questi momenti densi e dolci, come miele magari di agrumi, di zagara, un po’ acre e un po’ piccante, che cola dentro l’anima, è legato anche alla voce di Gianmaria Testa. E’ una voce che entra dentro, se n’è parlato in Controluce diverso tempo fa anche qui.  Una voce che si arrotola nello stomaco, e che fruga tra le pieghe dell’anima. Una voce che permane a lungo, che riveste le pareti della pancia come un film. Eppure una voce delicata, timida, che recita parole semplici e parla di cose piccoline. Una voce che sa di antico, colorata di quell’azzurro polvere e di quel rosa appunto antico e che sa dire le cose sottovoce. Ho cercato ciò che scrisse di lui, tra le altre cose, Erri de Luca quando Gianmaria scomparve, con i suoi 58 anni e la sua voce, la sua anima, il suo cuore e l’umiltà di quelle belle persone che passano attraverso. Attraverso la vita in punta di piedi, che guardano i successi con umiltà quasi si sentono immeritevoli di tanta attenzione. Sono queste le persone che amo..

Erri de Luca, per G.Testa

La tua voce s’arrampica a un balcone, soffia all’amato le parole da dire all’affacciata. La tua voce è Cyrano nascosto nel giardino che insegna al maschile smemorato come bussare a un bacio di ragazza. Sono sillabe di pioggia, da levarsi la giacca e appoggiarla sulle spalle scoperte di una donna, una delle poche mosse sacre in dote a un uomo.
Le tue canzoni servono a un ragazzo per improvvisarsi uomo, servono a un uomo per tornare ragazzo. Una donna sospira : fosse vero. Finché canti è vero e poi per altri cinque minuti dura l’effetto di raccolta dei frantumi maschili ; stanno di nuovo insieme l’adulto e il rompicollo. Finché canti ecco di nuova una sagoma d’uomo nella stanza, al bavero ha messo il fiore dell’ortica, in cima alla camicia una farfalla vera. Allaccia il braccio attorno alla ragazza, accenna a un valzer, lo rigira in tango, splende la coppia, numero chiuso sigillato a musica.
Profumo di balli di una volta la tua canzone di oggi. Uomo e donna accostano gli zigomi per fingere di dirsi una parola, si odorano i capelli, accostano il respiro alla curva del collo. I balli di una volta permettevano abbracci con la scusa di una danza in pista.
Niente altro che amori, polpa scoperchiata da un coltello che scortica, sbuccia, e sotto, il frutto è bianco. Solo amori, il loro passo a due disturba, distoglie : due innamorati vanno, dietro a loro si accodano le occhiate di noi altri soldati costretti dentro i ranghi, invece di sbandare, sbottonare il colletto e darsi da correre.
Niente altro che fiori, compratene un mazzetto, portatelo sudati, trafelati, alla creatura preferita, amata.

ED E’ DI NUOVO AUTUNNO

E noi siamo qui, un’altra volta ancora, un altro autunno. E ancora con le foto di R., una tradizione di cui siamo così fieri.. 

Ecco la poesia del cielo scritta per noi terrestri, meritevoli o meno, di questa testimonianza antica e preziosa. Il cielo ci parla ancora, si racconta ma soprattutto racconta di noi.  Indica. Rammenta. Testimonia. 

Ieri sera ero in giro con i miei cani e c’era una luna gigante, giallo oro. Miele. Faceva mostra di sé, tra strisce di nuvole scure ed altre grigio chiaro, altre ancora rosate. Era superba. A me pare sempre un po’ triste, solitaria, nostalgica forse.  

Un sassolino scappato di casa e magari pentito. Ma io non lo sarei, se fossi in Lei. E’ così vicina, forse troppo vicina, così vicina da essere violata dalle nostra navicelle e dalle loro mani di di acciaio che la toccano la frugano la esplorano nella sua intimità. Ma per sua fortuna abbastanza lontana dal nostro vociare, dalle grida, dalle miserie e perfino dalle nostre stupide canzoni che la nominano senza niente sapere di Lei. 

Stai lassù, meraviglia di miele bagnata dalla luce delle stelle e del sole. Accarezzata dalle notti di velluto. Sirena ammaliatrice delle acque.

Noi da qui possiamo solo assistere agli amplessi tra Te e il Mare, quando lo chiami e lo stravolgi e lo fai urlare. Ma nulla sappiamo di ciò che vi dite e vi date. E va bene così.

Resta lassù, immortale e bellissima, nuda, o in abito da sera quando le nuvole ti coprono in parte come scialli di raso scuro. Resta là. Fidati: tornare a casa non sarebbe bene per te.  Ti farebbero a pezzi per venderti su ebay. Contratterebbero con parti di te come fanno coi coralli, i diamanti. Le perle. Resta dove sei, intera, e bellissima. Dignitosa e fiera. Resta dove sei. C’è chi come noi  ti cerca e ti ammira e ti parla e si affida e come noi ti rispetta.

per ammirare le immagini in formato grande,

basta fare click sopra ognuna di esse.

LONTANA-MENTE

 

lontano

Mi sento lontana da questo mondo di selfie davanti ai ponti che crollano, all’autostrada che brucia. Dai pellegrinaggi nei luoghi della brutalità umana.

Ma anche da quelli che vanno in vacanza con la bici e la telecamerina sul casco.

Mi chiedo se si accorgono dei monti, del cielo, dei fiori nei prati, dello specchio del lago che riflette le nuvole. Dell’odore di erba falciata, del profumo del mare. Immagino la concentrazione sull’inquadratura della strada. e poi me li immagino srotolarsi ore di … strada, di semplice strada,  guardarsela tutta senza averla goduta mai.  Se la rivedono su you tube, su FB. Registi e spettatori del nulla. Una strada tutta uguale, nessuna cornice. Ma l’importante è dire: io sono stato là, ho pedalato per queste strade a questa velocità e questa è la prova.

Mi chiedo se molti, a cena fuori gustano il cibo, se ne godono, se lo assaporano oppure se tutto si esaurisce con lo scatto del gambero adagiato sull’insalata postato sui social.

Il tramonto dura un istante: c’è chi sceglie di viverlo attraverso l’obiettivo cosi da rivederlo poi sul telefonino pertanto senza averlo visto mai per davvero. Mi sento lontana da tutto questo. Molto molto lontana. Anche io ho fotografato qualche tramonto, ho sottratto un istante al mio sguardo senza mediazioni. Ma l’ho dato a chi amo, a chi è importante…

Mi sento lontana da questo mondo dove bisogna essere cult, dove la messa in piega conta più del vento che lo scompiglia, del mare che lo bagna, dell’amore che lo spettina.

Mi sento lontana dalle apparenze che ingabbiano e soffocano. Dalle mode che rende tutti uguali, come tanti soldatini, con gli stessi vestiti e gli stessi pensieri. Ci sono i social che pensano per noi, perché sottrarre tempo per la pedicure con i colori di tendenza, al giro di shopping del sabato pomeriggio, all’apericena la sera ai bordi della piscina all’ultimo  piano del grattacielo più in voga a Milano?

Perché pensare? C’è la rete che ti dice cosa pensare. Tutto precotto, pronto e mangiato, premasticato perfino. Nemmeno serve il microonde.

A proposito di microonde: perché utilizzare tempo e risorse per cucinare per i figli, quando ci sono i 3 salti in padella che è un attimo? E poi sono tanto buoni, appetitosi, sfiziosi. Pensa che i ragazzi mangiano perfino le verdure!! Udite udite! Poi che le verdure siano condite con chissà cosa, medaglioni di condimenti di grassi saturi congelati chi se ne frega! Dettaglio trascurabile: mangiano le verdure!! E alla mamma resta il tempo per postare su FB l’ultimo ciuffo costruito dal parrucchiere, per la ricostruzione dell’unghia del dito anulare rigorosamente diversa dalle altre nove. Mi sento lontana, molto lontana dall’unghia ultima nuance aggiunta al pantone dei colori dell’estate, lontana dal cibo di strada che non importa nulla di cosa sia,  ma sta “spaccando” in città.

Mi sento lontana dalle finte trattorie che fanno la finta Milano Firenze Roma di un tempo che fu. Dai locali alla moda, dall’ultimo disco di, dall’ultimo smartphone che si accende con il sorriso, l’odore della pelle, l’acidità del sudore…. Al primo ci siamo, alle ultime due ci arriveremo presto… Vi stupireste? Se si, beati voi.

Mi sento lontana dall’alga nella zuppa, da cose che non conosco, non so da dove vengono né come sono fatte, come sono raccolte, pulite, importate, manipolate. Non ritengo che sia per forza meglio o più sano il raviolo di Modena, ma credo sia importante cibarsi in modo consapevole, il meno sofisticato possibile. Per quanto è possibile. Mi sento lontana dal cibo cinese da quello thailandese da quello giapponese, indonesiano o finlandese cucinato o importato a casa mia.

Non introduco condimenti sconosciuti nel mio corpo. Non ho nessuna garanzia che non vi sia la spirulina il botulino e bacilli, cocchi, vibrioni, spirilli, spirochete e compagnia bella.

Mi sento lontana dal troppo essenziale, dal troppo minimal, e anche dal troppo. Da ogni eccesso e da ogni difetto. Mi sento lontana dal troppo e dal troppo poco. E mi viene da dire: ma come sono uguali tutti questi diversi!

Eppure mi sento normale, mi ritengo una persona che si cura, dalle unghie ai capelli. Ritengo di aver cura della mia persona e dei miei spazi.  Boh. Mi sa che devo trovare uno bravo che mi curi.

FILI

Fili che si attorcigliano che si fanno nodo fili che si srotolano che si sciolgono che stringono fili che allentano che sfilacciano. Fili che giocano che si abbandonano al vento che oscillano che si ritorcono si intrecciano si snodano. Fili che si tessono senza mani senza vento fili che rispondono alla voce di un albero fili che assorbono acqua lacrime pioggia. Fili che assicurano rassicurano. Fili che separano delimitano pronunciano l’alt più doloroso della vita. Fili che si tendono fili che si rompono. Fili che non tengono fili che si arrendono fili che circondano fili che imprigionano. Fili che difendono il nulla fili che mentono fili che rivelano. Fili che si spremono che si aggomitolano che circondano fili che diventano nido. Fili crudi, fili caldi, fili sottili di seta resistenti come acciaio fili di lana, pelosi in controluce, fili che strangolano soffocano uccidono. Fili come serpenti fili che sibilano fili che sollevano il pelo sulla schiena. Fili sensibili che avvertono allertano. Fili che impediscono fili che avvicinano che legano che incollano dita strette in preghiera fili di rosario. Fili di ragnatela fili che catturano fili insidiosi fili inesorabili fili che finiscono. Fili densi di corrente che accendono fili che si esauriscono. Fili di destino fili casuali o fili addestrati predestinati confezionati. Fili infiniti fili spezzati fili che resistono fili che raccolgono. Fili come ponti ora uniscono ora separano ora cedono. Fili di alito di vento di aria fresca. Fili di tanti nulla che si inseguono nel nulla fili inventati fili costruiti fili di illusioni fili che diventano tappeto maglione e fili che ridiventano gomitoli, gioielli trine delicate fili fragili fili invisibili fili indistruttibili. Fili di vita dentro altre vite fili che si insinuano si fondono si decompongono. Fili vibranti fili di memoria fili che trasmettono, ricevono fili che connettono. Fili.

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MONTAGNE VERDI

C’è un verde incredibile. Lo sguardo lentamente si alza, dalla terra verso le cime delle montagne e accarezza il manto di velluto verde che come una coperta si stende dall’alto fino a terra,  e ti viene in mente una mano, che dai cieli cala questo mantello a ricoprire roccia e terra affinché possano germogliare erbe, fiori, e nascere alberi. Distese verdi come smeraldi intervallate da boschi di cembri dai fusti perfettamente diritti, dal portamento elegante e fiero, odorosi di legno e di muschio e ricchissime di acqua cristallina, torrenti, cascate e laghetti, popolati di pesci e di moltissima altra vita. Fragoline di bosco e chilometri di mirtilli, è tutto così …. pieno di tutto. Molti sentieri offrono panchine di sosta e qua e là trovano casa le sculture in legno intagliato opere di artigiani locali. Un capriolo, un’aquila, un minatore, una giovane donna che guarda il cielo, un grande gufo con le zampotte sopra un masso. Mi piace molto trascorrere le mie vacanze al mare, mi piace il mare verso sera specialmente, qualche ora prima del tramonto e poi mi piace il tramonto. Ma in questi ultimi tempi ho bisogno di silenzio, di passeggiate, di stare immersa nel verde a respirare il verde, di incontrare malva, margherite, orchidee di montagna, le allegre calendule, l’arnica. Mi piace fermarmi a raccogliere qualche fragolina di bosco e mi domando come sia possibile che un fruttino così minuscolo possa essere fonte di sapore tanto intenso, e capace di colorarti le dita di rosso. Piccolino così. In questa assenza di frenesia e di chiacchiericcio, cerco il rapporto con me, cerco di ascoltarmi dentro senza la distrazione del fuori. Mi sento con me, sto con me. Me lo devo. E’ una solitudine necessaria. E in questa solitudine trovo tutto, niente mi manca, non mi mancano le luci, non mi manca il ristorante, non mi manca nulla. I miei pensieri sono più liberi, come vele gonfie di aria. Non si arrotolano, non si aggrovigliano, non si annodano. C’è leggerezza, in montagna. Un paradosso, per molti, ma sfido chi non ci crede, a provarci. C’è leggerezza nell’impegno delle gambe, c’è gioia nel concedersi una sosta per riposare, c’è leggerezza nel sonno profondo che dopo una giornata all’aria aperta diventa davvero un sonno capace di ristorare. Diventa un premio, sereno e appagante. C’è la meraviglia dell’acqua fredda di sorgente, il godimento che si prova nel bagnarsi il viso e le braccia. Io sono una donna di città, amo Milano e tutte le sue contraddizioni. Non ho idea se un posto come questo potrei sentirlo casa. Credo che ognuno appartenga al luogo che lo accompagna mentre cresce, lavora, ride, piange, si innamora, si delude, cade, si rialza, si dispera, gioisce. Ma alcuni luoghi hanno il potere magico di farti sentire a casa, quella casa antica, quella dei nostri predecessori che hanno vissuto prima delle città, prima delle macchine, prima delle case. Qualcosa di questi nostri padri ci resta attaccato dentro e probabilmente i luoghi di alberi e di fiumi e di ruscelli e di pesci e uccelli, ci danno un po’ di sensazione di casa,  una memoria atavica che riconosce ciò che è stata casa. Ci viene offerta una luce diversa, in luoghi come questi, una luce speciale per leggere le varie cose della vita in modo differente. E’ un continuo invito ad aprire la mente verso prospettive diverse da quelle che ci ingabbiano dentro i giorni fatti di convenzioni, di must, di plastica. E’ l’offerta, gratuita della calma che permette l’introspezione, consente di valutare altri aspetti della propria vita, anche del modo di rapportarsi con ciò che ci circonda nel nostro frenetico quotidiano. E’ una luce più benevola, più morbida, più clemente. Non è la solita aria foriera di promesse e propositi, come quella di Natale, che puntualmente si arrende al due gennaio. E’ uno scenario di armonia e di benessere, che lancia inviti silenziosi e accoglie senza cerimonie. E’ una opportunità la passeggiata tra il profumo del bosco. Una opportunità densa di messaggi da cogliere e portare a casa. Non come un proposito, nemmeno come un ricordo ma come una esperienza di sé. Sotto gli scarponi, ad ogni passo scricchiolano i sassolini o si percepisce la morbidezza del muschio o i legnetti secchi o bagnati ed ogni passo è una piccola vela data in dote ai pensieri perché possano liberarsi nel cielo azzurro o grigio come quello di adesso, affascinante, che rende il verde più lucido e denso, che aggiusta le alte luci dei paesaggi quando sotto la luce accecante del sole.  Ecco, anche sotto questa pioggia c’è l’opportunità della riflessione armonica e leggera e molte cose appaiono insignificanti e banali.  Ci si sente stupidi a conferire normalmente importanza a moltissime cose del quotidiano. L’essenza delle cose va ritrovata nei luoghi che permettono questa armonia con sé.  Ci si sente sempre piccolini sotto il cielo stellato, e così anche in mezzo a questi giganti verdi, e ancora di più quando lo sguardo sale ancora più in alto dove le montagne non sono più verdi ma sono roccia pura e grattano il cielo che per ripicca le nasconde tra le nuvole.

 

HERE AND NOW

Lo scorso venerdì, il cielo sopra casa mia, ha offerto uno spettacolo meraviglioso. Ad ovest si arrendeva il sole, colorando il cielo di arancione. Ad est, (seconda fotografia) erano rosa azzurri confetto e violetti. Ma la cosa speciale era la luce: c’era una luce che accendeva il verde delle foglie, il rosso del mio piccolo acero giapponese, e tutto ma proprio tutto sembrava osservato dal cielo, e sembrava che il cielo stesse lavorando per migliorare le cose sulla terra. Come il photoshop che satura, enfatizza, risalta, lo ha fatto il cielo, con una colata di luce speciale, come per farselo più bello. Un po’ come chi cerca di rendere più bella la vita di chi vive accanto. Era bellissimo stare li, in mezzo al giardino e godere di quella luce. Se mi fossi guardata allo specchio forse mi sarei vista più bella. C’era armonia, a mio sentire. Di sicuro la mia anima in quel momento era predisposta ad accogliere, vedere, sentire. Di sicuro c’era l’assoluto esserci in quel momento dentro solo quel momento, e solo per quel momento. Mi sembrava di essere bagnata, di quei colori di quella luce, di quel cielo regista.

 

RIGHELLI

SIAMO BIMBI COL RIGHELLO IN MANO A MISURARE IL CIELO
e perdiamo pure il conto..

La trovo molto bella, tenera ed efficace. L’oggetto della conversazione era cosa è spiegabile, in che misura lo è, e se davvero lo è. La conversazione era tra me e Riccardo, che sostiene che: le “leggi” della fisica sono solo delle ipotesi, che nel nostro ristrettissimo mondo di esperienze funzionano “abbastanza”.

Siamo bimbi con il righello in mano a misurare il cielo” mi ha colpita: mi è venuta in mente una delle tante immagini di Folon, apparentemente infantili, apparentemente tenere, sempre atte ad illustrare la nostra piccolezza, la sconfinata piccolezza nell’immensità dell’universo.  Commovente Folon. E commovente chi sa inchinarsi davanti all’immensità e al mistero. A chi sa riconoscere che non siamo nulla, che sappiamo ben poco di tutto e che quel poco che crediamo vero potrebbe essere totalmente falso.  Siamo bimbi con il righello in mano a misurare il cielo,  e perdiamo pure il conto. Siamo bimbi con un cucchiaino in mano pretendendo di svuotare il mare. Siamo uomini e donne che non conoscono il primo dei misteri, l’inizio della vita, il primo battito. E l’ultimo. Tanto meno cosa c’è nel mezzo.

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FIORE DI MAGGIO

Desidero fare mille auguri a Pinuccia. Il 17 maggio è stato il suo compleanno.  Anche se un pochino in ritardo, giungano a quella donna delicata e speciale i miei auguri e quelli di tutta Controluce. Ti vogliamo bene, cara Pinuccia. Davvero tanto.

Lei è una donna particolare, intelligente, delicata, discreta, e curiosa per tutte le cose che nel mondo valgono la pena. E’ una persona di forti e saldi principi, con un tocco delicato, lieve eppure che lascia il segno. Insomma, cose che succedono alle grandi e belle donne. Le dedichiamo un fiore. Un fiore di Maggio, naturalmente una rosa, delicata e profumata, come questa, che è una immagine, ma che noi non coglieremo.  Sembra quasi di sentire il suo profumo, vero? Un abbraccio Pinuccia. E mille auguri per tutto!   

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NOI E LA PRIVACY – NELL’ERA DEI SOCIAL

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E rieccoci con l’ennesima pausa lavorativa forzata. Intendo blocco dei gestionali, qui al lavoro. Per cui cazzeggio autorizzato anzi forzato. La colpa stavolta è il GDPR, acronimo di “Regolamento Generale Europeo per la protezione dei dati personali”, fratello di sangue europeo del pensionando DPS – “documento programmatico sulla sicurezza” del 2003.  Protegge talmente, il GDPR,  che… non si entra più da nessuna parte. Non si possono utilizzare i gestionali aziendali. Fa ridere lo so, ma tant’è.

E fa ridere ovviamente il concetto stesso di Privacy. Una farsa totale. Tutti sanno che ADE (Agenzia delle Entrate) spia, può spiare i conti correnti dei privati. E che l’ADE – il Grande Fratello anzi la Grande Sorella (se no magari le femministe si incazzano) sa anche quante mutande compriamo ogni anno, quanta schiuma da barba, quante volte andiamo dall’estetista e quanti peli abbiamo dato che facciamo la ceretta. Se facciamo sesso sicuro, e se …… facciamo sesso.  :-). Questo, da una parte. Dall’altra, parlare di privacy fa doppiamente ridere se si pensa che tutto ciò che non è già in possesso della pubblica amministrazione e dalle società di marketing attraverso millemila sistemi (fidelizzazione dei negozi ecc, questionari, istat ecc, assicurazioni), ci pensiamo noi, attraverso i vari social, coi vari post e anche mediante gli apparentemente innocenti “mi piace” o  “like” che dir si voglia. Praticamente da piegarsi dalle risate.

Sappiamo tutti che con la rete nessuno è al riparo da sguardi indiscreti. Lo sappiamo bene e sappiamo anche che NON è possibile sottrarsi. Significherebbe non lavorare più ma anche non fare più molto altro. Che ci piaccia o no, è così. Diversi anni fa un’amica che lavorava per “testare” la sicurezza dei dati per una grande organizzazione,  quindi aveva a che fare ogni giorno con hacker e compagnia bella, mi disse una cosa che ai tempi mi fece impressione:  ricordati che con una linea internet hai una finestra sul mondo ma che anche  il mondo ha una finestra in casa tua. Io sono consapevole di questo. Ma in quanti lo sono? Così come so di avere buon senso (ne basterebbe anche poco eh) e di non lasciare alla vista di un cliente dati di un altro cliente che si dovesse affacciare alla mia scrivania (ad esempio).  E non affiderei mai, al di là di tutti i DPS GDPR del mondo, nessun dato di terzi se non dietro specifica richiesta del proprietario. Nemmeno consegnerei un documento di un cliente alla propria moglie (e viceversa… a prova delle femministe di prima 🙂  se non dietro autorizzazione. Questo si chiama rispetto, si chiama serietà, si chiama professionalità ma si chiama soprattutto buon senso. Chi non lo ha non lo avrà mai nemmeno dopo tutti i documenti del mondo, dal nome pomposo e minaccioso. Ma ok… Giusto che sia tutelato (e risarcito) chi cade nelle mani di chi buon senso e rispetto non ne ha. 

Però mi vedo la scena (e mi viene troppo da ridere): una persona denuncia il commercialista il medico il prete per non aver protetto un dato e poi si fa selfie in mutande su FB, con il cane, il gatto e con tanto di figli piccoli. Vero: l’avrebbe scelto. Ma.. siamo sicuri? Io non sono sicura che qualche cosa di me non sia pubblicato. I figli minori poi:  hanno la facoltà di scegliere? E chi li protegge da genitori cretini?  Ho letto tempo fa di un ragazzino che ha denunciato la mamma perché questa pubblicava sue fotografie sul proprio profilo FB. Bene ha fatto! Un grande! Namastè.  Altro grande Fratello: Google. Lui sa quando andiamo in pizzeria e quale, quale treno prendiamo la mattina, dove prendiamo il nostro caffè, quali mezzi pubblici utilizziamo, dover eravamo ieri alle 14.35,11. Lui lo sa. Riina è stato latitante per 200 anni. Bastava chiedere a Google.. 

Dati enormi, fluttuanti in colossali nonché gratuiti bacini di raccolta. Ogni nostra parola sui social, ogni nostro “like”, ogni nostro acquisto di una innocente e necessaria pagnotta, così del futile gadget o il più glamour dei reggicalze, vanno da qualche parte. E hanno una conseguenza. L’importante è esserne consapevoli.

Comunque questa pausa, tolto che domani, sabato, dovrò venire a lavorare ha un aspetto positivo: scrivere in Controluce!! Vi lascio con l’augurio di uno splendido week end e di buon… DGPR a tutti! 🙂 – che entra in funzione, bello e soprattutto chiaro come il sole, il 25 maggio. Che la privacy sia con voi. Amen.

foto da: https://www.gcomegatto.it/i-7-motivi-per-cui-i-gatti-potrebbero-fare-le-spie/

 

LE MANI DELLE DONNE

Mani sulla pancia che accarezzano, proteggono, rassicurano il cucciolo che nascerà. Mani che lavorano la pasta, pasta che sarà pane. Mani che intrecciano, mani che modellano.  Mani che curano. Mani sciamaniche che rassicurano, consolano. Mani che accudiscono. Mani che guariscono.  Mani che scivolano, che accarezzano, custodiscono, nascondono, svelano. Mani che accolgono e che raccolgono.  Mani che pregano. Mani che raccomandano, mani che si arrendono. Mani che si tendono, nutrono, scompigliano. Mani che frugano, che toccano, che offrono. Mani sensuali, mani delicate, callose. Rudi. Mani che lavorano mani che si stancano, mani che strappano. Mani che feriscono, mani che riposano. Mani che suonano strumenti, mani che dipingono, producono. Mani che scovano la scultura nascosta dentro il legno, intrappolata nella pietra. Nel marmo. Mani che creano, disfano, rifanno. Mani che sperano, che implorano, che discutono, che indicano. Mani che accusano. Mani che si scusano. Mani che cercano e si cercano. Mani che legano e che sciolgono. Mani che stringono. Mani che seducono e conquistano. Cantava Zucchero: le tue mani così all’improvviso si sono fatte strada fuori e dentro di me”. 

Quanto potere nelle mani! E quanta meraviglia. Dovremmo osservare di più le mani. Le nostre e quelle altrui. Le mani dicono molto. Parlano senza emettere suoni. Scovano e portano alla luce meraviglie che aspettano di essere mostrate. Le mani raccontano, come gli occhi, ma in un altro modo.  

Osservavo qualche giorno fa le mani di una donna. Lei si chiama Marisa. Le sue mani sanno compiere magie. L’ho vista, mentre le muoveva rapide e leggere,  creando merletti preziosi: percorsi che si snodano e si incontrano, si ricorrono e si allontanano, in un disegno perfetto, semplicemente con un filo. Un filo e niente altro. Un filo e le sue mani. Le posto qui, con il suo permesso perchè possa rimanere in Controluce, una traccia di quell’arte meravigliosa che è il vero Pizzo di Cantù. Quello originale, tradizionale. Quello che non è rivistato e reinventato come oggi si usa fare con tutto. Tradizionale al cento per cento. Me ne ha donato uno, Marisa: è qui, nella mia casa e lo guardo e penso ai pensieri di Marisa che sono intrappolati tra questi fili che ha tessuto. E mi rendo conto che un pizzo è anche altro: contiene pensieri, ricordi, emozioni, gioie e tristezze di chi quel pizzo lo ha tessuto. Tra questi fili intrecciati, sovrapposti, legati e accoppiati, tra queste trame è racchiuso anche un filo di anima, un filo invisibile tessuto da mente e cuore. 

Il mio pizzo lo ha tessuto per me: tuttavia ha voluto scegliessi. Bè, io ho scelto quello a me destinato, perchè era mio quando ancora era solo un filo e niente altro. E’ un pizzo dedicato, un pizzo pensato, un pizzo nato per me.   Grazie Marisa. 

Le foto che seguono sono alcuni dei suoi lavori già terminati, e quello in corso che ho avuto il piacere di veder lavorare per qualche istante, con vera ammirazione e non poco stupore. 

 

 

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“Le mani non sono vere, non sono reali .. sono misteri che abitano la nostra vita…
A volte quando fisso le mani ho paura di Dio…”
(Fernando Pessoa)

 

 

 

SCATTI

Canzoni-su-Milano

Una ragazza legge un libro, appoggiata alla struttura di sostegno del metrò. Il viso rigato di lacrime. Forse legge una storia triste. Forse le righe stampate hanno risvegliato un ricordo. Forse è commozione. Forse tenerezza. Un corpo minuto, le mani forti. E’ come sospesa, tra il metrò e una nuvola. Tra il nero e l’azzurro nella polvere delle vie di mezzo. Sfumata, tra un tempo ed un altro.

Un ragazzino è seduto, accanto alla nonna: ripassano insieme un capitolo di storia. Medioevo. La nonna è sportiva, capelli bianchi, un filo di perle. Scarpe comode. Tornano da Torino. E’ una nonna viaggiatrice, treni e nipote. Storie. Sorrisi. Complicità e protezione. Il ragazzino recita la lista delle prossime visite in programma con la nonna: Firenze, Venezia e Bologna. Bella scena.

Un signore sorride al proprio golden retriever. Lo tiene al guinzaglio. E’ bellissimo. Il cane e anche il signore che gli sorride, dietro i baffi curati e bianchi.

Una signora molto grossa, con una tuta da ginnastica rosso e nera, il berretto di cotone con visiera, con il cavallino della Ferrari ricamato sopra. Ha un viso irregolare, un occhio offeso che guarda da un’altra parte. Una grande borsa tra le mani. Scarpe da ginnastica. L’aria di chi non se la passa bene. Si guarda le mani. Le unghie rosicchiate.

Una giovane donna con una chioma biondo platino fino alla vita. Boccoli ossigenati, stopposi. Una gonna di raso rosa chiaro, di quelle fatte come le mantovane delle tende, a fasce arricciate. Un tacco alto a spillo, scarpe borchiate, listelli incrociati. Cammina a scatti, nervosa, altezzosa. Petto in fuori. Sembra uscita da un libro polveroso dimenticato da qualche parte qualche mezzo secolo fa. Un tipo tutta legno. Viso butterato spalmato di fondotinta scuro. Trasmette contrasti. Tristezza forse. Malinconia?

Una ragazza giovane, capelli lisci, lunghi. Senza trucco. Jeans, scarpe da ginnastica bianche, leggings nero. Zaino mezzo aperto da cui fuoriesce un codice civile. Occhi verdissimi. Faccia pulita. Freschezza.

Diversi turisti americani, tedeschi. Con il trolley al seguito. Salone del mobile qui, a Milano. Gente che approfitta e visita il lago di Como, il lago Maggiore. E poi Milano, Bergamo, Varese. Allegria. Curiosità. Entusiasmi.

Fotogrammi di un mattino qualunque. Milano. La mia città. Una città che si muove in fretta.

E’ curioso osservare: dietro il berretto rosso, oltre i boccoli artificiali, dietro gli occhi verdi, nell’intesa tra l’uomo e il cane cosa sono i pensieri, i battiti, la vita. Esistenze che per qualche minuto incrociano la mia. Sensazioni in briciole. Scatti. Fotogrammi. Esistenze. Umori. Odori. Ieri. Attimi. Milano.

LO ZIO DEL CIUCHINO ovvero l’equinozio

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Ecco che arrivo coi giochi di parole. Bè ragazzi è primaveraaaaa … Svegliatevi bambineeeeee alle cascineeeee. Ecc ecc ecc. Quindi ovviamente per restare in “lingua” non lo chiameremo asinello ma ciuchino. Del resto il controlucino tradizionale documento ci viene da Firenze, che omaggiamo.. come possiamo. Cazzate comprese.

Poi di ombre stiamo parlando no? Anche Esopo ne scrisse, dell’Ombra dell’Asino.

Copio e incollo:

Demostene, dibattendo una causa, vedendo che i giudici erano poco concentrati disse: ” Datemi un po’ di considerazione, vi dirò una cosa nuova”. Avendo alzato le orecchie quelli e avendo preparato gli animi, così parlò: ” Un adolescente ateniese era sul punto di salpare per Megara aveva portato un asino, che aveva affittato. Durante il viaggio, poiché il sole ardeva talmente tanto da non poter andare avanti, e non essendoci ombra, in cui rifugiarsi, posò il soma e si mise all’ombra dell’asino, per essere protetto dal suo corpo. Però il palafreniere si arrabbiò, portando a sè l’asino dicendo di aver posto in affitto l’asino e non la sua ombra”. Demostene affermando codeste cose, osservando gli uomini che udivano molto scrupolosamente, se ne andò. Così richiamato dai giudici e gli fu chiesto di continuare raccontò il resto della storia: “Cosa? – affermò – preferite sentire dell’ombra dell’asino, e non udite la causa di un uomo e della sua vita e i suoi diritti?”.

Vuoi vedere che “EQUINOZIO” arrivi da li?  Ok… Non mandatemi al diavolo (e men che meno all’asinara)

Posto la foto del Ricc. E chiudo con un quesito: perché si associa all’asino una persona stupida? Forse perché è un animale umile, un gran lavoratore?

La foto è stata scattata sabato, 24 marzo. Per via della pioggia non è stato possibile farla il giorno 20, nemmeno il 21. Eccola qui, l’ombra. Quella che basta. Quella che fa la ronda. Quella che ci circonda. Quella che ogni tanto, come me … è bionda.

Baci

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POESIA DEI RITORNI

 

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foto mia

Rovigno è di pietra di sasso odora di mare e di pesce.  D’estate odora di sole, di pietra calda, di scoglio, di rosmarino. Rovigno ha un cuore antico e non si è rifatta il trucco. Lei è li, autentica, come una chiocciola con la conchiglia sul mare. Dal campanile di Santa Eufemia lo sguardo accarezza la sua forma, tonda, come un’impronta digitale, arrotolata su sé stessa, marcata dai suoi vicoli che corrono si snodano e si annodano, percorsi vascolari di pietra lucida, color nocciola.  Mi piace, questa forma. Mi piacciono le forme tonde, i contorni morbidi, le cose raccolte, raggomitolate: forse sanno nascondere spigoli e angoli riscattandoli dalla fama di essere aspri. Compensandone la natura che non permette vie di uscita. Le forme tonde consentono sempre una via d’uscita. Quanto meno non condannano all’angolo.

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foto dal web

Rovigno vecchia è un dedalo di vicoli e vicoletti, tutti lastricati di pietra che sembra marmo, lucidissima, che trovano sbocco in varie piazzette. Sconsigliatissimo il tacco 12: non è raro incontrare qualcuno con qualche arto o polso o caviglia ingessati. Rovigno ha una folta coda verde: si estende a sud:  il meraviglioso parco forestale di Punta Corrente, che ospita cedri, cipressi, abeti, pini marittimi, querce, lecci. Cinquantatre ettari, costeggiando il mare. E’ un luogo del cuore, per me. I suoi pini si inchinano al mare sul quale danzano le stelline tutte le sere, poco prima di ogni tramonto. E’ un momento speciale,  dove riesco a sentirmi in pace con me, con il creato, e ritrovo una comunicazione con tutto, a cominciare dal mio cuore.  A Punta Corrente ci si va a piedi, o in bicicletta: si respira l’odore dei pini, si fanno passeggiate svuota-mente, mentre i versi dei gabbiani invitano lo sguardo a perdersi in un cielo azzurrissimo, che sovrasta un mare turchese. Insomma per me è uno dei luoghi amici, quelli che ti accarezzano il cuore, odorano di buono e riescono  a farti lasciare i pensieri pesi a casa, lontano da li’. Le notti d’estate mai calde anzi spesso fresche, garantiscono riposo, lune bianche e brillanti e nitide. E stelle.  Rovigno ha il potere di calmare la mia  mente, di allontanarmi dalle cose faticose, difficili, e dal peso della vita. Quando ci vado, da qualche anno provo la sensazione del ritorno, E il ritorno è un luogo amico, un rifugio, un posto dove restare a guardare la sera che scende, i pini nel controluce arancione attraversato da voli di uccelli. Il tardo pomeriggio, l’arrivo della sera, il velluto del mare e dell’aria. Mi manca Rovigno, I panni stesi tra le case colorate, le candele accese sui tavoli, le tovaglie di pizzo bianco dei tavolini arrampicati sui vicoli, i cuscini colorati sui gradini delle stradine strette fra le case. Mi manca il porto, l’alba, l’arrivo dei pescherecci e l’assemblea dei gabbiani attorno ai pescatori che scaricano.  Lo scorso anno ho trascorso le vacanze estive nella stupenda Val Venosta. La montagna, il verde smeraldo delle valli, le mucche al pascolo, i ruscelli freddissimi, i rifugi, le malghe. La quiete del lago, le vette, le nuvole basse e l’aria frizzante, le notti fredde il sole limpido, il cibo semplice, lo yogurt, le camminate e le soste sui prati. Sono stata bene e ho pensato a Rovigno come un luogo dove tornare. C’era silenzio, in montagna. La sera scende presto, e così l’oscurità. Si cena presto, in montagna. Tutto rallenta. Il cuore rallenta, rallentano i pensieri. E la notte si allunga si stende sulle valli come una signora che non ha fretta.  Il tempo si dilata, la sera si srotola lungo il giorno che a sua volta si arrotola all’orizzonte e sparisce solcando un solco tra il cielo e il mare che quando si richiude ingoia tutti gli affari del giorno. Sono stata bene. Ma Rovigno resta un posto dove fare ritorno.

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 foto mie

SAPESSI COM’E’ STRANO …

Darsi appuntamento…. a…. Firenze….

Ed è un’altra stagione. E mi ritrovo qui, con le foto di Riccardo a dispiacermi un po’ per non aver scritto su questo sito dallo scorso settembre. Il motivo non lo so. Controluce è una pagina importante, lo è stata e lo è. E mi viene quasi di fare il proposito, ma poi penso che siamo a Natale, a fine anno, ecc e di propositi sono pieni i discorsi. Li senti in treno, in famiglia, al lavoro, alla TV. Dal prossimo anno mi metto a dieta, cambio vita, abitudini, smetto di fumare ecc. Parole inutili. E anche un po’ stupide perchè ogni giorno è un buon giorno per migliorarsi.  Quindi nessun proposito per noi. Pero’ molti auguri, a tutti. Questo sempre. Natale è l’occasione per rinnovarli. Ma ogni giorno è un buon giorno per augurare cose belle a qualcuno, no?  Buon Natale amici miei, Buon anno nuovo. Soprattutto Buona Vita. Sorrisi e gioia. E tanta leggerezza. A presto dunque. Lo dico a tutti, lo spero e ci credo. Condividere con voi è sempre una gioia. E i 50 commenti del post precedente dimostrano che c’è chi passa e lascia impronte, a prescindere dalla pagina del blog non aggiornata. A prescindere dalle novità … That’s amore! Grazie e a presto. Un bacio a tutti e come sempre grazie a Riccardo che oggi era un po’ nervoso per non aver potuto fare delle fotografie migliori di queste. Ma noi apprezziamo l’impegno, il fatto che lui ricordi l’appuntamento, con Lei la Meridiana e con Noi, Controluce.  Anche questo è amore. 

L’EQUINOZIO E LA BENZINA

Rido.  Qualcuno ha scritto “Il Gigante e la bambina”. Ma noi  che siamo originali, e, secondo me ma anche secondo altri, non troppo “registrati”, io , qui, ai piedi della “Mia Bela Madunina” titolo il mio post “L’equinozio e la benzina”.  E rido.

Poi spiego anche perché, ma prima ancora mi scuso con il nostro reporter che diligentemente, e grattando il tempo dai muri (a Firenze ci sono muri, certo, come qui a Milano, mica “lavoriamosolonoi”) il menestrello della luna è corso a fare il consueto e tradizionale reportage. Ecco dunque le foto dell’Equinozio!! Per la gioia di Controluce.

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Che c’azzecca la benzina? Eh!! Siccome, spesso il lavoro impedisce di fare anche un’ora di ricreazione, magari per mangiare no? ma … pare che spesso non si ha questo diritto. E spesso succede che per arrivare al lavoro non ci si fermi a far benzina. E a volte succede (ma questo solo a noi di Controluce che come ho detto prima siamo un po’ fuori di testa, un po spettinati, ma come disse il grande Gaber “spettinati bene però” ) si debba correre a Piazza Giudici a fotografare l’equinozio… Come ci si arriva se non c’è la benzina? Parafrasando la canzoncina viene una roba così “ma ndo vai se la benzina un ce l’hai?” . Bè.. il nostro reporter si trova nella situazione sopra descritta ovvero: gratta il tempo dai muri, non mangia, e il 22 settembre era praticamente a secco. E allora come ha fatto, direte voi popolo di Controluce, ad arrivare in Piazza Giudici? bè.. facile!!! Lui la benzina alla moto.. gliel’ha raccontata!!! 

No no non sono matta o almeno non più del solito. Quando mi ha passato le foto, mi ha scritto esattamente: ecco, ho le foto dell’equinozio,  sono andato a Piazza Giudici, ci sono arrivato con la benzina raccontata.

Ora capirete perché, nel caso non l’aveste già capito prima, perché io adoro questo posto.. Ovvero qui mi sento quasi normale!!

Un abbraccio a tutti e buona settimana. E un dolce autunno. Che sia morbido come velluto, colorato di cento sfumature di giallo, profumato come il muschio, i funghi, le castagne, e l’erba bagnata. E foriero di quiete.

 

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RESPIRO

Dove mi trovo in questi giorni sono prati verde smeraldo, alberi, torrenti, fiori di campo, monti ricoperti di abeti che man mano si diradano fino a diventare prati verso le cime. Alcune sono bianche, altre terminano in verde chiaro contro il cielo a volte azzurro a volte grigio a volte bianco, cotonatura  di nuvola. Dalla finestra di cucina, distante poche decine di metri, di stende il lago di Resia, con il suo campanile in parte sommerso, testimone di una triste storia che inghiottì tutto il paese.  Poco distante da qui, la sorgente dell’Adige: un rigagnolo di acqua fredda che a berla pare voglia staccarti i denti. Pare impossibile che quella minuscola fonte partorisca un figlio come l’Adige. Cammino, ogni giorno esplorando luoghi e ogni giorno mi stupisce la maestosità delle montagne e la vastità dei pascoli, così come la semplicità delle margherite, e delle moltissime qualità di fiori dai colori splendidi che colorano i prati puntellando quel verde incredibile. Nonostante una tendinite che a tratti mi morde le caviglie, io cammino e cammino. Tra le mucche che qui sono libere, pascolano e brucano erba vera e fresca, e fiori e chiesette e ruscelli, paesaggi da fiaba. Poca, pochissima gente per chilonetri di sentieri e ringrazio il cielo di questa quasi solitudine. E come spesso mi accade in circostanze come questa mi chiedo come e perchè e grazie a chi o cosa esiste tutto questo. Questi fiori viola sgargiante, o quegli altri, di un rosa delicatissimo, come quelli giallo limone. O quel fiore rosso che sembra un garofano ma i suoi boccioli somigliano a quelli del papavero. O il fiordaliso, il trifoglio, coi suoi fiori rossi. E la genziana, campanellina viola simbolo della montagna seconda forse solo alla stella alpina.  Oggi con tutto questo attorno mi sentivo parte di un solo grande infinito respiro. Ecco. Ci si sente parte di quell’unico respiro che non ha tempo, che non si sa da dove nasce o se un gioro finirà ma nemmeno importa di saperlo. Chi lo chiama Dio, pensavo oggi. Io l’ho chiamato Respiro.

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foto: mie.

LA LARA
Vediamo un po’ che c’è qui dentro…

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SONO O NON SONO DA CALENDARIO?

21 GIUGNO

 

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in  greco: ΕΙΚΟΣΙ Ιούνιο

in latino: XXII Iunii

in italiano: 21 giugno

per il sole: solstizio

per mia nipote: primo giorno dopo la fine degli esami. Vacanza.

per noi: 21 giugno. Tante cose. 

Buona estate a tutti, da Celeste e Riccardo.

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SOTTIGLIEZZE

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immagine dal web

Il pensiero sottile.
O ce l’hai o non ce l’hai. Non si impara, non si compera, non si assorbe per via osmotica, né endovenosa, né inalandola. Due fialette di pensiero sottile, grazie. Pare proprio di no. E’ il contatto con l’anima, il tocco dell’anima, la trasmissione di una vibrazione che parte dai sensi arriva al cervello e lì dentro, tra quelle pieghe, diventa pensiero.  A volte, se ne vale la pena, un tentativo di mettergli uno zainetto sulle spalle e trasferirlo, si può anche fare, ma spesso è una questione disperata, foriera di delusioni. Infatti il pensiero sottile arriva sul pelo, sulla pelle prima che nella testa pertanto o il destinatario lo sente o non lo sente. Siamo sempre qui.

E’ condensato nelle frasi più semplici, palpita dentro poche sillabe,  e lo sappiamo bene quanto pensiero, quanta esperienza, quante riflessioni ci sono dietro una frase semplice. Perché sappiamo tutti che qualcosa di semplice, per essere semplice, è dovuta passare attraverso meccanismi e ingranaggi complicati. Ogni cosa è complicata, prima di essere semplice. Si sa.

Nel corso della vita, cerchiamo milioni di volte,  in milioni di occasioni, le “parole giuste” e poi, nell’età matura ci rendiamo conto che non servono grandi parole,  che ne servono poche e guarda caso, ogni volta che riesci a toccare un cuore, un’anima, un’intelligenza, ci riesce solo con le parole più semplici, quelle meno ricercate. I bambini lo fanno naturalmente: hanno a disposizione un dizionario “semplice”. Noi invece cerchiamo parole “adatte”, “calzanti”, “pertinenti” quando non “idonee” e ci perdiamo in un tecnicismo che il più delle volte non serve: se dobbiamo consegnare una cosa del cuore ad un cuore, viene bene soltanto con i vocaboli in dote a un bambino.

E così il pensiero sottile:  non ha bisogno di cose complicate, sa esprimersi da sé. E’ eleganza, nobiltà d’animo, bellezza. E l’eleganza, si sa, è sobrietà innanzitutto. Coco Chanel diceva più o meno così: prima di uscire passate davanti allo specchio e toglietevi l’ultimo accessorio che avete indossato. Ecco.  Il pensiero sottile è un po’ la stessa cosa. Il pensiero sottile è eleganza e classe dell’anima e non lo si compera. Un abito di Chanel invece sì, si può comperare, ma non è detto che lo si sappia anche portare. 

Ma il pensiero sottile è anche molto di più. Non è solo una dote innata, come la classe e l’eleganza: è anche figlio di riflessioni, di scavi dentro e fuori, di ricerche, di letture, di scontri e di confronti, di sperimentazione del dolore. Si forma in un utero sottile, permeabile a rumori a suoni a odori.  Conosce l’offesa, lo sfregio, lo sconforto e il dolore.  Poi nasce dall’acqua, sa vibrare sulle ali di una libellula. Può far ridere, sciogliere un cuore, far sgorgare fiumi di lacrime di gioia, frantumare la pietra che nasconde il diamante, liberarlo dalla sua gabbia di roccia e farlo brillare coi suoi mille colori che si porta dentro da sempre. 

 

IO, GHEBBELGATTO e IL FOLLETTO (che non è l’aspirapolvere)

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immagine dal web

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Allora: tutti sanno qui che sono amica e che convivente da tutta la vita di cani. Cani, cani, cani. Io e i gatti ci siamo sempre tenuti a distanza non per mancanza di amore, ci mancherebbe. Amo tutti gli animali e li ritengo, complessivamente, più umani di molti umani,  piuttosto perché non li conosco. Non riesco ad interagire per due ragioni: la prima è la scarsa conoscenza e la seconda è che il mio approccio è canino pertanto non viene accolto dal gatto di conseguenza il gatto non può rispondere alle mie aspettative. Detto questo l’altro giorno mi sono imbattuta in Ghebbelgatto e devo dire che è andata piuttosto bene. Insomma è andata molto meglio di come andava con Zia Miciola, gatta dal sangue  blu non so se per razza ma di certo per merito. Ma l’altra notizia ancor più strabiliante sta nel mio secondo incontro … udite udite, con un folletto del bosco. Stavolta è accaduto nel parco di Villa Pamphili e stava dentro un “buco” di un magnifico albero!!

Bè, questo post è un saluto, un pretesto, la prova che sono viva anche se sommersa dal lavoro, nonché la prova che vi penso, vi ho tutti nel cuore, insieme a questa casa che odora di tè, di fiori di limone, di zagara, di zenzero. Di basilico e rosmarino come la tisana offertami da Ghebbelgatto e di biscottini frolla e cioccolato nella solita cornice di pace e serenità che nonostante tutti i momenti, i dolori, le fatiche e le delusioni, si respirano in certi luoghi, in certe case, davanti a certi camini accesi. 

Ovviamente questo post è anche il pretesto per aprire un dialogo, conversazioni senza tema. Tema libero, come a scuola. I temi di Controluce sono sempre liberi, liberissimi, e tutti aperti alle cose di dentro, alle anime e ai cuori belli. All’intelligenza, alla bellezza. Un invito al sorriso. Quindi vi invito a sorridere. Offro io!

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E, a seguito dei commenti a questo post, signore e signori ecco a voi l’unico, l’insuperabile, lo scalatore filosofo GHEBBELGATTO!!  Standing ovation raccomandato….

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Immagine: Autosgatto. perché a noi, selfie non ci piace!! Un gatto è un gatto, è un gatto!! Tutti i diritti riservati. E anche un paio di etti di rovesci!

AUGURI

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Celeste

Auguri a tutti i Controlucini, cani gatti e cagnolini.

Auguri ai miei amici, ai compagni di tante ore, dal Piemonte a Roma, passando per il Fiore. Auguri agli ingegneri, ai filosofi, alle nonne e alle nipoti, dai vigneti, colline e prati, fino ai laghi.   Auguri ai podisti di Marte e a quelli di  Milano. Un pensiero speciale a chi mi tiene compagnia, ma anche a chi ha lasciato tanti passi nei miei giorni prima di andare via. 

Auguro a tutti  di ricevere una piccola scatola vuota da riempire perché come diciamo sempre, le cose grandi stanno dentro le piccole scatole. Auguro tanti sogni e pochi cassetti: tanta dolcezza senza oggetti.

Uno scialle magari, da coprire le spalle quando si esce a guardar le stelle.  E auguri a tutti noi che ancora abbiamo una luna piena da contemplare e in quei momenti ci pare di sentir miagolare. Mica solo adesso che è Natale.

Auguri a noi che sappiamo ancora giocare, e che un nuovo mondo ci piacerebbe disegnare.  Ma soprattutto auguri a noi, che ci sappiamo ancora emozionare.

   Buon Natale    stella-cometa

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foto dal web

LIVIA

Rainy Weather Accidents

Livia scrisse queste parole, in un momento specialmente intenso. Poi, dopo un po’ le condivise con me. Belle, le dissi. Dovresti scrivere un libro, le dissi. Quasi un peccato non renderle parte di un libro. Magari un libro un po’ speciale. Da leggere nelle sere d’inverno e ricordare che grazie ad alcune malinconie si apprezzano la gioia, la dolcezza di esserci.  Controluce è un libro un po’ speciale, rispose Livia. Quindi con il permesso di Livia le posto qui perche sono dense. Belle.  Cele. PS  Livia: no, non può piovere per sempre.

Pioveva.
Aveva l’impermeabile bagnato e una persona che l’attendeva a cena dall’altra parte della città. Il pave’ luccicava e tra le lacrime e la pioggia il rosso del semaforo era una macchia liquida e luminosa. Troppo. Feriva ancora di più gli occhi. La farmacia era dall’altro lato: era lì che andava adesso. La cena era stata annullata con una scusa. Le lacrime hanno la precedenza su tutto. Pensava questo attraversando l’incrocio. Lui, ma anche l’altra parte di sè, erano da un’altra parte con la loro vita, gli occhi intelligenti, il cuore di cane. Ognuno con il proprio ascesso.
Livia aveva un temperino nella tasca dell’impermeabile. Il semaforo propose la sua macchia indistinta di menta liquida. Uno sciroppo alla menta, denso, tra pioggia e lacrime.
L’ascesso. Il temperino serviva per l’ascesso, pensava muovendo la mano nella tasca.
Quando si incide l’ascesso del cuore, rabbie, antichi risentimenti, sensi di colpa, delusioni, antiche catene, ricatti senza riscatti, il senso di sbagliato, le pressioni, le morse, tenaglie di egoismi mascherati, tutto smette di pulsare. Finisce il tempo di convivere con il dolore che pulsa. Si è provato di tutto: dall’elusione alla negazione, alle estreme distrazioni, all’accettazione ma lui pulsa sempre. A volte così forte che non fa dormire. Tutto smette di pulsare: una piccola incisione e tutto cessa. Basta una mano che sia amore, un piccolo temperino in una mano che sia amore, che sia sorriso, che sia gioia. L’scesso è sgonfio, non pulsa più, non sono piu catene e gabbie compromessi e accomodamenti ma è cielo e aria. L’amore libera, non condanna non giudica non fa prigionieri. Sono vele spiegate, l’amore. Correnti ascensionali perché le stelle sono raggiungibili sempre.
L’amore è energia del sole è il fascino antico della luna, l’amore è “passare attraverso”. L’amore è gioia, in tempi difficili, nei temporali, nelle tempeste. E’ leggerezza di una mano nell’altra mano, è la complice mano che accompagna e accarezza. Non è accudente ma compagna, sostiene, sorregge, rispetta, procede nella vita senza paure senza minacce senza dimostrazioni. E’ la mano che c’è, semplicemente, sempre. Leggera e morbida. L’amore è questo è sopra tutto e tutti é pienezza respiro libertà è ogni giorno un giorno di cielo di voli e di stelle e anche passare tra nuvole scure. L’amore è il temperino che arma la mano che incide e sgonfia l’ascesso pulsante di cose antiche e libera libera libera. L’amore libera. Accoglie, protegge, fa scorrere via il male, è canale di scolo, è guarigione è un cuore pulito libero da infezioni. E’ la soluzione al dolore, è drenaggio, è riscatto, è linfa di vita, ossigeno, nutrimento. E basta a sé stesso non giustifica nemmeno cura è oltre non è nemneno rimedio semplicemente è.
Pensava a questo Livia, attraversanto la strada. La stazione dei treni era la’, poco distante, la piazza tra luci e pioggia, con il suo ago colorato piantato nell’asfalto e il nodo poco più in là.
Pioveva tanto. Piovevano pensieri, pioveva la sua vita. Piovevano i ricordi, le amarezze. Pioveva dentro il mare. Già. Pioveva. Ma non può piovere per sempre.

LETTURE E CATTURE

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foto dal web

“C’è in me quello che si trova in molti uomini del mondo, amori, spari, qualche frase piena di spine, nessuna voglia di parlarne. Siamo dozzina noi altri uomini. Speciale è solo vivere, guardarsi di sera il palmo di mano e sapere che domani torna fresco di nuovo, che il sarto della notte cuce pelle, rammenda calli, rabbercia gli strappi e sgonfia la fatica.”

Erri de Luca

EQUINOZIO

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la foto è del Riccardo. Il post … pure 🙂

 

 

Ecco, come è consuetudine, anche oggi la foto dell’equinozio di autunno. E… come si dice nelle presentazioni che si rispettano: lascio la parola a Riccardo.  Che ci scriverà appena avrà tempo/voglia/modo. Per ora godetevi la foto. Cele.

Eccomi!
Beh, trattasi della meridiana del Museo della Scienza di Firenze, altresì noto come “Museo Galileo”. Lo trovate qui: cliccare proprio qui!

A me piace osservare l’alternanza delle stagioni. Boh, mi piace, anche se non fa più parte delle cose di cui si ragiona normalmente. E’ che onestamente non capisco come non si possa porre attenzione a cose come queste: noi siamo legatissimi alla Terra, siamo fatti come siamo fatti perché Lei è fatta come è fatta, ne siamo la conseguenza. Ma ormai non ci pensiamo più, non fa parte del quotidiano. Oramai quasi non facciamo più caso nemmeno all’alternarsi tra giorno e notte, la vita prosegue h24.
Per carità, non sono certo io quello che dice “oh tempora, oh mores!” . Non sono un nostalgico e non necessariamente prima si stava meglio di ora, anzi.
Ma pensate anche ai vari summit per la preservazione dell’ambiente, Kyoto and dancing company: per carità, oramai la società umana è globale, che piaccia o meno, e ci si deve (dovrebbe) mettere d’accordo sulle regole del gioco. Ma fateci caso: si parla dell’ambiente in un modo spersonalizzato, che non si capisce nemmeno bene di cosa stiano parlando. Freddi numeri di tonnellate di CO2 e densità di O3, centesimi di gradi di temperature medie e miliardi di tonnellate di ghiaccio ai poli… Tutte cose addirittura vitali per carità ma… fredde. Distanti.
L’ambiente, quello vero, è l’odore del bosco dopo che è piovuto.
E’ il silenzio di quando c’è la neve.
E’ il buio di notte, e la coperta fine fine delle stelle che appaiono. Che sono infinitamente di più di quelle che vediamo le rare volte che alziamo gli occhi al cielo, in città.
Ed è, inequivocabilmente, l’alternarsi delle stagioni.
Che poi mica serve sapere tutti i dettagli dell’angolazione dell’asse terrestre rispetto all’eclittica e la precessione degli equinozi! Sennò si ritorna al discorso della freddezza del Summit. No.
Deve essere roba che senti sulla pelle, non in testa.
Lo sapete? C’erano tanti “tipi di ore”, nel passato. Tanti modi di misurarle. Quello che però mi ha sempre affascinato era “l’ora Italica”, che ancora si ritrova in qualche antica meridiana, ed era, semplicemente, quante ore mancavano al tramonto. Perché quello ti serviva no? Quando il lavoro era principalmente agricolo e la luce artificiale semplicemente non c’era, quale altra informazione poteva essere più importante? Chiaro che ogni giorno aveva “ora civile” (la nostra di ora) differente rispetto al giorno prima, ma chi se ne importava? Contava il Sole.
Quindi come si vede basta osservare gli effetti del moto del Sole, non serve “sapere niente” se non che facciamo parte integrante di questo sistema … che è stupefacentemente bello.
Poi la smetto, ma oramai chi è che pensa che il nostro scheletro è fatto così perché sulla terra c’è un certo peso? Sarebbe diverso se fossimo nati su Marte! Avremmo occhi diversi se avessimo avuto l’atmosfera di Giove e sentito frequenze diverse se fossimo stati su Venere. E nemmeno avremmo respirato aria se invece del carbonio la nostra biologia si fosse basata sul silicio ad esempio, in qualche sperduto pianeta della galassia.
Siamo legati a filo doppio e triplo alla Terra ed al Sole ma… guardiamo il cellulare e non il cielo, o una piccola, silente, innocua ombra che percorre un piazzale che ne porta la testimonianza.
Ecco.
Per finire: l’ombra di ieri ha percorso una linea diritta su quel piazzale che riportava il quadrante solare, testimoniando che la notte sarebbe durata quanto il giorno. Da oggi il giorno cederà il passo alla notte, e fino al prossimo 21 Dicembre la notte durerà ogni giorno di più del giorno precedente.
E a me questo non piace.
Ma viene la neve, e a me la neve mi piace.
Per cui me ne fo una ragione.
Buongiorno popolo di Controluce
R..

nota di Ori: Eh si, siamo legati a doppio triplo filo alla terra e al cielo.. Qualcuno disse:

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QUANDO LANCI UN SASSO IN UNO STAGNO DISTURBI UNA STELLA

 

LEZIONI

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Le parole fanno un effetto in bocca, e un altro negli orecchi.
(Alessandro Manzoni)

Le parole sanno fare male, bucare il cuore, devastare l’anima. Sanno travolgere, sconvolgere, distruggere. Sanno curare, sanno amare. Sono un po’ come le mani, le parole. Sanno fare tutte queste cose. Sanno fare bene. Sanno fare male. Come le mani sanno ferire. Uccidere. Resuscitare. Ma le mani le vedi, le vedi con gli occhi. E le senti quando si fanno carezza ma anche quando si fanno schiaffo. Le parole hanno un solo approdo: gli orecchi. E gli orecchi non sempre sanno condurle all’anima per strade dirette e pulite. C’è vento spesso tra quelle strade. Ci sono foglie morte, di passate stagioni. Ci sono sassi mai raccolti e dimenticati nei quali le parole inciampano e arrivano all’anima malandate, inquinate. Stravolte. Le mani invece le vedono gli occhi e le sentono la pelle. La strada è breve, diretta. Senza nemmeno scorciatoie. E pelle ed occhi sono ricettori formidabili. Loro sanno “sentire” e l’ascolto avviene così. In modo semplice, immediato. Profondo. Le parole no… non arrivano così. Il peggio ce l’hanno quelle scritte, prive anche del veicolo della voce, non arrivano nemmeno a cavalcioni di corde vocali dove potrebbero tramutarsi in musica, bagnarsi di dolcezza, diventare note o velluto o sussurro. O vestirsi di sedimenti di passati innocui, o di carta di giornale stampata di storia passata, un po’ ingiallita. Le parole scovano le ferite, vi si insinuano dentro, lo fanno senza che alcuna mano occhi sguardi le possa fermare tradurre o rappresentare. Bisogna essere bravi a tradurle nel linguaggio dell’anima, affinché questa le possa giudicare per poi accoglierle o respingerle. 

Per questo imparo, ogni giorno un po di più, il valore del Silenzio. Per questo condivido, oggi, questo:

Il primo livello di sapienza è saper tacere, il secondo è saper esprimere molte idee con poche parole, il terzo è saper parlare senza dire troppo e male. Si deve parlare solo quando si ha qualcosa da dire, che valga veramente la pena, o, perlomeno, che valga più del silenzio“.

Sono, se non alle primissime, forse alle prime lezioni, e nel frattempo imparo. Imparo che: “Le parole sono come il sangue, una volta che sono uscite non c’è modo di ricacciarle dentro. (Luca de Simone – Ieri è un altro giorno)”.

Forse si resta un po’estranei, forse non si condividono la  propria storia, passato, emozioni, ricordi. Ma almeno non si semina dolore e non si inciampa nel fango del dubbio, nelle sabbie mobili della delusione che non offre grazia e tutto inghiotte: dagli Alberi alle piccole Formichine alate che vi si posano sopra, al riflesso sulla superficie di peltro lucida, della Luna e di qualche unica Stella.

 

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SPROLOQUIO

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Il tempo non è una medicina. Non lo è mai. Casomai sa deformare sè stesso, il suo essere passato, con astuzia o perversione: crudeltà, o sapiente edulcorazione. Nei solchi sempre poco profondi tra passato e presente spunta erba, oppure scorrono lacrime. La felicità passata diventa rimpianto e appare amara, come tutte le cose perdute. La speranza sola rende possibile il respiro e può allontanare la rassegnazione che a volte pare l’ultima alleata. Non guarisce, il tempo, Semmai inganna, sfilando come nastro di seta tra immaginazione e sogno, tra indulgenza e condanna. Si ubriaca quando è chiamato a guarire. Si inebria, tra fuochi artificiali ed elisir di illusioni. Cura per finta, usa silicone scadente per le ferite, cicatrizzate solo in superficie. Al primo colpo di piccone puntualmente zampilla sangue vivo, mai rappreso. Nemmeno questo sa fare il tempo, nemmeno sa rapprendere nè cucire, nè rammendare. Sa solo passare. Non sa tornare, il tempo. Se non sottoforma di scherzo.  O di treno. Aspettiamo il treno “giusto” a volte, senza sapere che il treno siamo noi. E i binari ci scorrono sotto mentre noi siamo fermi. Immobili. Il tempo sono binari e ci scorre, sotto la pancia. 

LA LUNA, BELLA LA LUNA

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foto R.

Questa è la Luna di lunedì scorso. Una notte prima che fosse piena. E’ una foto fatta dal Menestrello della Luna. Bella, la luna. E belle le stelle. Quando guardo la luna non mi capita mai ma guardando le stelle, sì.. mi capita ogni volta: provo un senso di … timore. Non so spiegare, ma credo che “timore” sia la parola che maggiormente possa rendere l’idea. Probabilmente è il senso di infinito e di lontanissimo e il senso di mistero. Ci si perde pensando alla immensa distanza tra noi e loro, pur non sapendo misurarla, pur non possedendo l’idea vera di quanta sia quella distanza. La Luna è troppo vicina, troppo raggiungibile, troppo “nostra”. Un sassolino di casa. Famigliare dunque. Ma le stelle !! Le stelle fanno paura. Come tutte le cose lontane misteriose e irraggiungibili fanno paura. E si stempera, sotto il firmamento, la coscienza di sè. Tutto perde importanza: i nostri piccoli perimetri, i contorni, lo spazio infinitamente piccolo che occupiamo sulla Terra.

SEMI-CONFUSI

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fotomia

A volte mi pare quasi di sentirti. Di sentire il tuo fiato nella stanza, i passi, leggeri, sul parquet che risponde. Spesso è un peso leggero, leggerissimo, al bordo del letto. Passa e sfiora l’altezza del materasso, o forse si siede. A volte è un’ombra che pare attraversare lo spazio sopra la mia spalla, un punto troppo estremo per essere esplorato dall’occhio, e troppo concreto per esserlo da cuore. E’ un’ombra che che mi pare di sentire o forse vedere o forse entrambe le cose. A volte mi pare di sentire il mio nome, mi volto, mi è successo tre volte la settimana passata. Non mi chiamava nessuno. Forse. O forse sì. A volte è un tocco. Leggerissimo, sul braccio quasi sempre, solo qualche volta sulla fronte o sui capelli. L’odore. Questo no, forse io non lo ricordo o forse non era univoco. Strano. Ho sempre prestato attenzione agli odori. Ne ho alcuni che abitano le mie narici: molecole intrappolate nei pori, tra l’umidità del mio respiro e il battito della mia esistenza. Oggi ho raccolto un fiore di lupino, ormai secco: volevo liberare  i semi da quella specie di piccolo fagiolo di velluto grigio, ma ce n’erano pochi, pochissimi. Chissà: forse erano già caduti. Conficcati nella terra, promessi lupini per il prossimo anno. Forse. Il vasetto di vetro che ho scelto per contenerli è decisamente troppo grande. C’era la marmellata qualche giorno fa. Limoni di Sicilia. Mi piace quasi quanto quella di arance amare – la marmalade.  Adesso sa di lavastoviglie, il vasetto, e contiene 5 semi. Li guardo, attraverso il vetro e mi chiedo quale lupino sarà lui e poi lui e lui. Boh. E di quale colore sarà: probabilmente rosso e giallo. Ecco. Un leggero spostamento d’aria dentro la cucina. Leggerissimo. Tra il mio sgabello e il frigorifero. Cosa vuoi dirmi? Non so capire il linguaggio delle ombre e allora prova a scrivere, a parlare.  Magari tra questi rintocchi di campana ti confondi al resto del mondo e a me, lasciandomi un sottile dubbio di suggestione. L’altra sera c’erano le campane, c’era anche un po’ di pioggia. Due calici sul tavolo, una cena così così ma nessun rammarico: contava poco il cibo come il vino.  Una sera normale che se avessi voluto immaginare proprio quella,  mi sarei vista a prestare attenzione ai gesti, alle cose, alle parole. Non l’ho fatto perché sapeva di normalità, di sereno quotidiano, e non di straordinario. Le cose che sanno di straordinario sono per lo più improbabili. Le campane, il vino, la pioggia brevissima non lo erano, improbabili. I pensieri si accavallano sempre nella mente e si rincorrono e cascano, l’uno sull’altro, e poi si mescolano come… come il gelato. Da bambina mescolavo il fiordilatte e il cioccolato nella coppetta, girando veloce con il cucchiaino e diventava una crema colore nocciola ma non sapeva mai di nocciola. Sapeva di cioccolato meno cioccolato e di fiordilatte per nulla. Il cioccolato vinceva sempre: sapeva farsi valere, il cioccolato. Chissà se i semini dei lupini manterranno la loro premessa di lupini. Oppure sono come le tante promesse che suol fare la vita.  E chissà se quel fiato, quel passo leggero, quel nulla di peso sul bordo del mio letto, quel tocco ancora più leggero sui capelli, quell’udire il mio nome, tre volte, la scorsa settimana sono cose tue. E se si, cosa vuoi dirmi? Se passeggi nel corridoio che separa la mia esistenza dalla tua, sempre che vi siano un corridoio, la tua esistenza e perfino la mia, e cerchi di dirmi qualcosa… fallo. Mentre suonano le campane, se non vuoi dare nell’occhio. Così potrò pensare che è tutta suggestione. Oppure fallo tra le stelline che saltellano sul mare al crepuscolo. Tu lo sai che mi fermo sempre a guardarle, che mi mettono allegria, che mi piace tanto il fatto che scompaiono subitissimo appena nate e poi si rituffano nell’acqua per giocare a nascondino con le altre e con me. Fallo li, scrivimi quello che vuoi dirmi. Potrei pensare ad un gioco degli occhi. Sono belli i giochi degli occhi. Diversi dai giochi di parole, ma ugualmente belli, divertenti. Giochi frattalici, che diventano altro e poi altro e poi imparano dai più grandi trasmettendo la memoria di sè. Poso il vasetto della marmellata sul mobile di cucina. I semini neri sono lì e non so nemmeno se avranno la loro primavera. Penso che andrò a dormire. Se sarai nel corridoio, quello tra la mia esistenza e la tua, ammesso che esista un corridoio, e ammesso che esistiamo noi, accarezzami i capelli stanotte, come facevi quando ero piccola ma anche quando ero un pochino più grande. Poco poco più grande di piccola. E se ti va prova a dirmi ciò che vuoi dirmi. Ma se non ti va,  o se non puoi, lasciami una carezza.  Non ho mai smesso di aver bisogno di te.

DELUSIONE

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Con il dolore convivi. Non è che passa, un dolore. Si sa. Puoi accettarlo, puoi conviverci. Ti si conficca dentro e si accuccia, trova un posto e resta li, anche a ricordarti chi sei. Si annida si arrotola e palpita. Sempre. Magari in silenzio. Ma non muore. Riposa, dorme, va in letargo. Si risveglia. Lo fa spesso e punge, diventa acuto a volte. Ma ha un posto dentro. Ma la delusione non può trovare un posto dentro. La delusione dapprima è stupore, incredulità, sbigottimento. Dopo è rabbia ma non è dolore. Piano diventa presa d’atto. Poi è amarezza. Ma non è dolore. E finalmente alla fine sai che si chiama “delusione”. E sai che non è dolore. Chi ti delude non ti lascia un dolore. Non può. Semplicemente. Ma strisce di cielo sporco nel tuo cielo. Allora puoi chiamare il vento e il cielo torna pulito. 

 

LE PAROLE MIGLIORI

organzaLe parole migliori sono quelle che non dici. Quelle che escono dal petto e si posano sul petto che respira di chi ti dorme accanto, di chi ti ama accanto. Anch’esse non sono vestite anzi sono vestite di silenzi. Che è un abito leggerissimo, trasparente, organza finissima e preziosa che solo il cuore può trapassare. Le parole come queste devi leggerle col cuore. Si posano sul piede nudo, che si tende e cerca un altro piede, e in silenzio chiedono amore e carezze e tenerezza, nell’alba che già di sta vestendo di arrivederci e di saluti. Di frenesia, di caffelatte e di tuffi nel brulichio del mondo. Le parole migliori sono quelle che ti ritrovi in tasca la sera perchè nessuno le ha dette. Sono lì e scivolano fuori dalla biancheria intima un nanosecondo prima della doccia della sera. Non vogliono essere bagnate, perchè le parole bagnate non sanno volare. Vogliono restare leggere e volare sopra i pensieri sopra altri pensieri che sapranno raccoglierle e cullarle per poi resitutirle. Un’altra volta ancora vestite di silenzi, di sottoveste leggera che lo stesso cuore le spoglierà per leggerle ancora e ancora e ancora.

IL MUTO

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Non parla. Certo… è muto! Un po’ gentiluomo e un po’ invadente. Un po’ insistente, e, solo apparentemente, silente. E’ un omino dai contorni delicati eppure marcati, così come è muto eppure urlante. Passeggia, ai bordi dei miei giorni, si infila, nelle pieghe della mente. Dorme (o fa finta) nei miei momenti calmi e si culla nei miei pochi istanti oziosi. Scalcia se ricamo alcuni pensieri: non vuole: “dice” che non fa bene.  Ha un cappello, tondo e un po’ retro’. Comune, quasi banale, ricorda un disegno di Folon eppure  qualche volta è sorprendente, come uno di Miro’.  Pare si confonda, a volte, tra i fili delle mie contraddizioni: labirinti, in realtà, dentro i quali si diverte. Ci passa in mezzo e ne esce, praticamente indenne. Non cambia il soprabito e non ho mai visto cosa indossa sotto, non ho mai capito se prova caldo, freddo e se gode di una qualche immunità. Perfetto equilibrista passeggia sopra i miei umori mutevoli, non sempre muti. Cade sempre in piedi, da ogni mia giornata nera e parimenti non si invola sopra quella gioiosa. E’ muto, l’ho già detto.  Entra ed esce, sinuosamente e sempre uguale nei frattali della mia memoria: non perde mai nemmeno il suo cappello. L’impermeabile poi … è  sempre quello. Suggeritore nato, talentuoso, ma lo ricordo: è muto! A volte credo di averlo cacciato ma lui niente! Resta al massimo un po’ indietro,  si siede sopra un sasso. Immobile. Indifferente al caldo, al freddo e al vento. Come un sasso, muto come un sasso. Eppure a volte grida tanto… dovreste sentire quanto chiasso! 

COMPLICITA’

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Si può entrare in contatto con le persone anche senza parlare […] c’è un modo di entrare in contatto tra esseri umani più percettivo e affidabile della parola, fatto di sguardi, silenzi, gesti e messaggi ancora più sottili; è il modo in cui un essere umano nel suo intimo risponde al richiamo di un altro, quella silenziosa complicità che nel momento del pericolo dà alla muta domanda una risposta più inequivocabile di qualsiasi confessione o argomentazione, e il cui senso è semplicemente questo: io sono dalla tua parte … (Sándor Márai – Liberazione)

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Estrapolato dal suo contesto (il libro parla di guerra e di prigionia, di orrori, di mostruosità) mi piace il concetto di complicità così come espresso qui in quello stralcio. E’ un grande e rarissimo valore la complicità. La comunione profonda, totale tra persone ma anche tra uomo e animale, tra animale e animale.  Qualcosa di potente e di indistruttibile. Cemento armato di una relazione, impossibile da scalfire quando è vera, profonda, leale. Per questo è rarissima, una relazione come questa. Rara davvero.  E’ una magia. L’altro giorno una persona mi diceva queste parole: io chiedo “passami una mela” e lui mi porge una banana. Perchè lui sa che ho detto mela ma intendevo dire banana. Semplice e chiarissimo. Una magia: uno sguardo che capisce tutto, che sa leggere dentro le pieghe più profonde dell’anima, una meravigliosa energia che si incontra e non contrasta anzi, produce energia nuova. Un rapporto vero, un’intesa completa, che coinvolge corpo e anima. Maturo, consapevole, evoluto. Di scoperta continua, che sa toccare le stelle e la terra. Non esiste una relazione così se non c’è… la magia della complicità.  “Io sono dalla tua parte”. Ecco..

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e adesso te vieni all’asilo con me che ti faccio vedere quelli che mi tirano sempre i capelli!!

CORAGGIO

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dal web

“Il coraggio, uno non se lo può dare!” protestava il don Abbondio dei Promessi Sposi. Francesco Alberoni rovescia questa famosa massima rivendicando l’urgenza di un valore dimenticato e sostenendo che “il coraggio si può imparare”. Audacia e timore sono legati a doppio filo. Chi non ha paura non sarà mai capace di atti di eroismo. Proprio per questo l’ardimento non va confuso con l’inconsapevolezza o l’incoscienza. La riflessione di Alberoni si concentra su una “virtù morale e sociale” che investe tutti gli aspetti dell’esistenza: amore, amicizia, lavoro, famiglia. E quel “coraggio quotidiano” che ci permette di plasmare il nostro destino è forza d’animo, rifiuto delle ipocrisie proprie e altrui, gesto che sovverte un sistema ingiusto, ricerca di ciò che innalza. La mediocrità, l’indifferenza e la vigliaccheria sono facili: basta lasciarsi andare, nascondersi e adagiarsi nella propria nicchia. C’è invece un gran bisogno di opporsi alla cultura della comodità, del disfattismo e della codardia. Partendo dal presupposto che ogni essere umano ha una missione da scoprire e da compiere nell’arco di una vita, il coraggio va esercitato per essere fedeli a se stessi, per non farsi confondere dalla complessità del reale e, a volte, per superare se stessi.

Dal sito IBS – descrizione del libro di Francesco Alberoni

Premetto che l’intenzione non è quella di parlare di Alberoni né del suo libro. Per carità. Volevo solo parlare del coraggio. Coraggio nel senso di virtù umana, mica di eroismo. Il coraggio di essere sé stessi. Sempre.

In questo tempo, soprattutto in questo tempo – sarà l’età, saranno le delusioni – sarà quel poco che ho imparato – mi rendo conto che la cosa più coraggiosa è essere fedeli a sé stessi. Costa molto, essere fedeli a sé stessi. Si paga in vari modi,  soprattutto con una certa solitudine. Che nell’età verde può costituire un dramma, ma nella maturità no. Perché serve altro. Il tempo è un ottimo distillatore. Serve “poco ma buono” in tutto. Dalle cose alle relazioni. Quindi la solitudine, una certa solitudine, fa meno paura anche a chi l’ha temuta in primavera.

Il coraggio … quel coraggio, quello che ti permette di dare una svolta alla tua vita, che magari non è nemmeno tanto male, che magari con qualche compromesso di qua qualche altro di là, il famoso colpo al cerchio e alla botte, ti fa “andare avanti”, è quello che ti dice NO non mi accontento, no sto bene, non mi piace. Ecc.. quello lì. Quello che ti permette di cercare, cercare altro e oltre, e che ti fa assumere le responsabilità e il dolore del cambiamento. Non è quasi mai molto comodo cambiare: meglio restare nel luogo sicuro, magari non tanto felice, ma sicuro. E non si pensa mai abbastanza che il “sicuro” semplicemente … non esiste. E’ presuntuoso pensarlo, perfino quando ci sono buone ragioni di sentirsi “al sicuro”. E’ sempre, ma proprio sempre tutto appeso ad un filo. Prima cosa fra tutte l’esistenza stessa.  A volte mi soffermo a pensare cosa maggiormente auguro a mia nipote. Auguro questo: il Coraggio. Il coraggio di cambiare, di non accontentarsi, il coraggio di pretendere di essere felice. Il coraggio di cercare sé stessa prima di tutto. Di capire cosa vuole e poi di cercarlo, senza smettere di farlo nemmeno quando dopo tutto c’è calduccio, dopo tutto c’è un tetto, dopo tutto c’è un amore, dopo tutto c’è un lavoro. Ecco, ragazzina il mio augurio. Rimorsi ma non rimpianti. La forza, il coraggio di voltare pagina, di lasciarti alle spalle ciò che non vuoi, che non ti somiglia,che non ami, che non ti fa stare bene.  Il coraggio di dire NO soprattutto se significa dire SI a qualcun altro. Il coraggio di riempire valigie e partire, pretendere, spiegare le vele anche se non c’è terra sicura. Non ti sto augurando l’incoscienza, la sfrontatezza, la sconsideratezza. Queste sono cose differenti.. Ti auguro di non adagiarti mai nella tua nicchia anche se comoda ma non è felice. Potrebbe rovesciarsi in un baleno. Costruisci la tua, con le tue mani, e facci entrare solo chi avrà …. coraggio. Chi chiederà di entrare perchè lo sceglierà, perchè sceglierà te. Che non sei un’alternativa ma una scelta. Una scelta coraggiosa, se anche tu sarai coraggiosa… Perchè ci vuole coraggio anche per amare chi ha coraggio.

Pensa con la tua testa. Segui il tuo intuito, il tuo cuore, la tua testa. Non badare alle opinioni degli altri, non essere mai prigioniera di niente e di nessuno. Non permettere mai che quella vocina che ti sussurra e spesso grida dentro sia messa a tacere dal mondo, dalle convenzioni, dalle aspettative degli altri, dalle mode, dal “ciò che è meglio” ma nemmeno da ciò che sembra “sicuro” ma che però non ti piace. Non barattare mai alcuna “certezza” con un paio di ali.  

LE CHIESE CHIUSE

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dal web

L’ennesima contraddizione tra ciò che si predica e ciò che invece si pratica. Le chiese chiuse. Ma la porta della Chiesa non è la porta aperta per definizione? Vedo cartelli: aperto dalle 15 alle 18. Come i negozi. Per non parlare dell’ingresso a pagamento di molti luoghi.  Bisogna dunque rinviare il proprio bisogno negli orari di apertura? Rimandiamo la necessità di un conforto dopo le ore 15 e prima delle 18.  Prima e dopo, le porte della “casa di tutti” sono chiuse.  Assurdo. Ma tant’è. Qui, vicino a me, ci sono luoghi meravigliosi. Santa Maria delle Grazie. La Chiesa di San Maurizio (splendida, una meraviglia … ingresso gratuito e aperta grazie al volontariato del Touring Club, dal martedì alla domenica). La basilica di Sant’Ambrogio. Ieri ho fatto una passeggiata, sono passata davanti. Tutte chiuse. Complimenti.

 

GIANMARIA

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Quando finisci un libro che ti è piaciuto tanto,
Quando finisce la musica che è stata capace di prenderti per mano e portarti via, che ha ripulito per un po’ la mente dai pensieri,
Quando il sole è sceso del tutto, la’, dietro la linea del mare, e si chiude il sipario più scuro sopra lo spettacolo arancione,
Quando cessa il canto degli uccelli del primo mattino
Quanto riparte il treno portandosi via quell’odore.
Quando accade questo e altro ci si sente un po’ più soli. Così come quando finisce un brano di Gianmaria Testa. Una voce che accarezza e calma, e ti prende per mano e ti porta a passeggiare in un posto che sa di lago e di barche ferme e di tramonto. Di seta e velluto. Odora di pane, di langhe, di cose “piccole”. Di barchette di carta, di aquiloni, di stelle di mare. Di umanità. Di vita.
Ecco… Uno come Gianmaria che se ne va è uno che lascia un po’ più soli.  L’ho incontrato diversi anni fa, tramite un amico che mi disse esattamente così: “se non lo conosci fai peccato mortale e per punizione ti faro’ avere tutti i suoi dischi”. Fu un regalo vero. I dischi erano tre, forse quattro. Poi con il tempo conobbi altro, e gli altri dischi li prenotavo appena usciti.

Erri de Luca ha scritto di lui anni fa:

Per Gianmaria

La tua voce s’arrampica a un balcone, soffia all’amato le parole da dire all’affacciata. La tua voce è Cyrano nascosto nel giardino che insegna al maschile smemorato come bussare a un bacio di ragazza. Sono sillabe di pioggia, da levarsi la giacca e appoggiarla sulle spalle scoperte di una donna, una delle poche mosse sacre in dote a un uomo.
Le tue canzoni servono a un ragazzo per improvvisarsi uomo, servono a un uomo per tornare ragazzo. Una donna sospira : fosse vero. Finché canti è vero e poi per altri cinque minuti dura l’effetto di raccolta dei frantumi maschili ; stanno di nuovo insieme l’adulto e il rompicollo. Finché canti ecco di nuova una sagoma d’uomo nella stanza, al bavero ha messo il fiore dell’ortica, in cima alla camicia una farfalla vera. Allaccia il braccio attorno alla ragazza, accenna a un valzer, lo rigira in tango, splende la coppia, numero chiuso sigillato a musica.
Profumo di balli di una volta la tua canzone di oggi. Uomo e donna accostano gli zigomi per fingere di dirsi una parola, si odorano i capelli, accostano il respiro alla curva del collo. I balli di una volta permettevano abbracci con la scusa di una danza in pista.
Niente altro che amori, polpa scoperchiata da un coltello che scortica, sbuccia, e sotto, il frutto è bianco. Solo amori, il loro passo a due disturba, distoglie : due innamorati vanno, dietro a loro si accodano le occhiate di noi altri soldati costretti dentro i ranghi, invece di sbandare, sbottonare il colletto e darsi da correre.
Niente altro che fiori, compratene un mazzetto, portatelo sudati, trafelati, alla creatura preferita, amata.

Noi ne abbiamo parlato qui
e poi qui
e poi qui
e ancora qui

Buon viaggio, buone note, buon vento, che siano vele oppure mongolfiere. Ho imparato dalla tua voce di velluto, portata in giro dal tuo passo leggero e dal volto di gentiluomo, l’aria discreta, e nessun rumore – ingredienti di un fuoriclasse – che “forse il gomitolo non voleva diventare maglione”.  Mi restano tutti i tuoi dischi. Brani, parole e musica, da centellinare, nelle serata a casa, con un buon rosso, fermo e denso tra le mani. E poca ma giusta compagnia. 

Lascio questo per chi non lo conosce e ha voglia di farlo. 

Lo sfondo e le immagini sono dedicate. “Montgolfières” fu l’album che fece innamorare la Francia, con la prestigiosa etichetta “Harmonia Mundi” . Solo più tardi sbarco’ in Italia, quasi senza accorgersene, quasi senza volerlo. In sordina. Come capita solo ai grandi.

 

VALORI E DOMANDE

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Tutto vale

Io credo che una foglia d’erba 
non valga affatto meno della quotidiana fatica delle stelle.
E la formica è ugualmente perfetta, come un granello di sabbia,
come l’uovo di uno scricciolo,
E la piccola rana è un capolavoro pari a quelli più famosi,
E il rovo rampicante potrebbe ornare i balconi del cielo.
E la giuntura più piccola della mia mano qualsiasi meccanismo può deridere.

(Walt Whitman)

La “quotidiana fatica delle stelle”. Bello, no?  Questa mattina mi sono svegliata molto presto, verso le cinque. Riflettevo, dentro al letto, proprio sui valori. Sono partita, non so come mai, dall’aurora boreale, quel meraviglioso evento che ho visto solo in video. Ho letto tempo fa, da qualche parte,  (ma non ho “studiato”) che una barriera  garantisce alla terra di non essere distrutta dalle radiazioni. Insomma c’è uno schermo protettivo che tiene sotto controllo le radiazioni in modo da preservare la vita sulla terra. Eeeeeee  (adesso mi incarto di sicuro ma abbiate pazienza) particelle atomi e quant’altro, bombardando qua’ e là danno origine allo spettacolo, appunto, dell’Aurora Boreale. Il mio pensiero era rivolto alla protezione. A questo sistema di protezione perché su questo pianeta possa continuare la vita. Ecco. Straordinario, no? Ingegnoso. Meraviglioso. Il domandone one one ovviamente è: chi ha pensato tutto questo? Ma noi non ci addentriamo in questo campo per l’amor del cielo.. non ne usciremmo vivi.

Ma il domandone one one numero 2 (la mia riflessione one one di stamattina ore 5) è: esiste uno schermo che protegge la terra dalle radiazioni, quindi la vita sulla terra ecc ecc, allora perché sulla terra un animale sopravvive grazie al sacrificio di un altro animale? Contraddizione, paradosso, perversione.  Crudeltà. Io adoro i documentari, mi piace molto vedere i luoghi meravigliosi di questo pianeta e di altri: cambio canale quando mi impantano in alcuni che sanno di .. dolore. E ogni volta mi pongo questa domanda: PERCHE’?  Questa Legge che boh.. viene definita “perfetta” che “regola” tutto quanto: specie, sopravvivenza, adattamento, evoluzione, distribuzione, selezione.. Numeri, in una parola “numeri” a me tanto perfetta  non mi pare proprio.  Mi viene in mente il  corollario di Murphy – punto 10.

Tornando al domandone one one numero uno e trasgredendo, ma solo per un attimo allamordelcielo-nonneusciamovivi, pensavo, stamattina alle 5 – anche stamattina alle 5 – che a me riesce difficile immaginare un Creatore buono che abbia deciso che migliaia di  animali ogni istante per migliaia di anni si debbano divorare l’un l’altro, che ogni istante chissà quanti animali crepano di crepacuore per sfuggire al predatore, predatori che a loro volta sfuggono a predatori. Quanti cuccioli orfani. Quanti dilaniati agonizzanti. Soli. Perchè l’afflizione di tanta sofferenza? Qual è il fine, se c’è un fine? C’è una Giustizia?  

Un poeta inglese, Alfred Edward Housman scrisse “Perchè la Natura, la Natura senza cuore e senza ragione nulla sente e nulla sa”. Proprio come Murphy, dico io, Corollario, punto 10. 

Quelle meravigliose parole all’inizio del post perdono potenza davanti alla forza della Natura, alla sua.. furia, alle sue Leggi, alla sua indifferenza.  Sono piccolini, impotenti, i fili d’erba e le uova di scricciolo, e quanto vale il capolavoro che è una piccola rana. E le loro fatiche? E la giuntura della mia mano. E perfino le stelle. 

Per farmi perdonare per questo post doloroso, propongo questo filmato. Meraviglioso. La Natura non credo lo sappia. Essa è indifferente a tutto. Domani mattina alle 5 vedrò di dormire. Me lo dico da sola: ma perchè non dormi di mattina alle cinque? Ecco il video. 

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foto NASA: l’aurora boreale vista dallo spazio.

LA FURIA DEL MONDO

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immagine dal web

 

Stamattina, mentre si “scaldava” il server dell’ufficio, inizializzavano gli strumenti di lavoro e quant’altro, ho fatto un giro su un sito “Earth Picture Gallery” che propone, tra le altre cose, delle meravigliose fotografie. Bè… sono incappata in una foto terribile: un piccolo di elefante che con la sua piccola proboscide cerca di curare la ferita lasciata dalla rimozione della zanna della sua mamma, stesa a terra.. morta.  Ho pianto e ancora adesso lo sto facendo scrivendo queste righe. Perchè le scrivo? Non lo so. Forse cerco disperatamente un angolo un luogo una piega un rifugio dove poter rovesciare il dolore della furia del mondo e dove so di essere compresa. So… che queste righe fan male anche a voi, che leggete. Al di la’ dell’immagine che ovviamente vi risparmio e vi prego di non cercare, fanno male anche le parole. E ancora una volta rifletto sulla potenza delle immagini: arrivano dirette al cuore senza chiedere permesso. Abbattono qualsiasi barriera, tranne quelle che costituiscono, naturalmente, il patrimonio degli insensibili che a volte, detto fra noi, invidio. A me immagini come queste mi bruciano dentro. Non le voglio scacciare: so che non potrei. Qualsiasi espediente sarebbe un misero strumento, palliativo di una cura che … non c’è. La terapia del dolore non esiste per cose come queste. C’è solo da prendere atto che la furia del mondo risparmia solo chi nasce con la corazza sul cuore o forse meglio dire senza cuore. Uno dei libri più profondi che io abbia letto in vita mia è appunto “La furia del mondo” di Cesare de Marchi. Un ragazzino non sopravvive alla furia del mondo. Siamo nel diciottesimo secolo: un bambino, estremamente sensibile e intelligente, gracile, delicato, anche nella salute, non sopravvive alla furia del mondo e soccombe. Non ce la fa. Se volete leggerlo, consigliatissimo. Una lettura piena, uno scrittore meraviglioso, una storia intensa..  Io lo regalai anni fa, regalai la mia copia. Non l’ho più ricomprato e non credo di farlo. Perchè? Mah… probabilmente perché la persona cui l’ho regalato non si è, con il tempo, dimostrata la persona che credevo.  In altre parole non credo sia stata veramente raggiunta da questo libro. L’assenza di questo libro nella mia libreria mi ricorda questo: spesso le persone ci ingannano e non sono quelle che sembrano. Ma nella vita si impara. Forse non a difendersi dalla furia del mondo (per questo, per alcuni, non c’è speranza) ma almeno dalle falsità e dalle bugie. E dalle maschere.

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FIORIN FIORELLO

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foto dal web

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margherita

Ogni fiore è un capolavoro, un miracolo della natura. Un mistero.

Il mio fiore preferito è la margherita. Mi piace molto quella bianca, con il suo bel bottone giallo nel mezzo. Quella classica del “m’ama non m’ama” insomma. Chissà se davvero ci fu un tempo in cui lo sfortunato fiore veniva  spetalato da timide manine femminili ansiose di sapere se lui fosse innamorato. A rischio di scrivere una cosa banale e scontata, direi che mi piace la margherita innanzitutto per la sua semplicità.  Si fa per dire .. perché considero un miracolo ogni fiore. Tu tieni in tasca un semino, anche per mesi, anche per anni, lo metti sotto un po’ di terra e poi quando è il suo tempo… sbuca una piantina e poi, quando è il suo tempo, un bocciolo e poi quanto è il suo tempo, sboccia un fiore. Definire tutto questo “semplice” è paradossale.  

Emblemi. Protagonisti di leggende e storie. Miti. Simboli che hanno legato in tutte le civiltà l’anima degli uomini con le forze cosmiche. Ispiratori in letteratura, pittura, poemi e canzoni. Princìpi di ogni preparato di farmacia. I fiori sono da sempre legati all’uomo, alla sua esistenza, sul piano materiale e su quello spirituale.

Il fiore identifica luoghi, scogliere, golfi, riviere. Rappresenta senza bisogno di parole le varie età della vita e anche del mondo: il fiore che germoglia, il fiore appassito, il fiore che cade. Racconta di un luogo, delle sue genti, della loro storia.

E poi il profumo. Quei profumi che diventano casa, proprio come l’odore del ragù della mamma. La lavanda nei cassetti, l’acqua profumata del nonno sul fazzoletto, il mughetto che si associa al ricordo del foulard della nonna. La vaniglia che impregna la pettorina del grembiule di cucina. L’acqua di rose sul batuffolo di cotone. Odori come sapori.

Come accade con gli odori, i fiori rievocano in me ricordi e provocano emozioni in modo incisivo. A volte sono sensazioni delle quali non conosco l’origine. Ad esempio non amo le rose rosse: ne tengano conto eventuali ammiratori. Specie la rosa rosso scuro, dal lungo gambo, la classica Baccarà,  quella che dona l’innamorato all’innamorata. Pur riconoscendole bellissime, mi infondono una profonda tristezza. Le trovo tragiche. Severe. Una specie di simbolo di qualcosa di irraggiungibile, superbo, (forse arrogante). Ma anche di nefasto. Vai a capire da dove arrivano queste sensazioni. Forse le associo a qualche cosa di tragico cui ho assistito quando non ero in grado di capire.. Potrebbe essere un funerale? Chissà. Fatto sta che non mi piacerebbe ricevere un mazzo di rose rosse. Ecco.

Da tempo non acquisto più fiori recisi. Ogni venerdi uno o più mazzi di margherite bianche, o gialle o rosa, trovava posto al centro della mia casa. Mi piaceva guardarli, cambiar loro l’acqua, ma poi le vedevo anche seccare, perdere foglie e turgore. E provavo un po’ di tristezza.  Furono sempre le margherite bianche mescolate a fasci di spighe i fiori delle mie nozze. 

Credo che i fiori siano legati profondamente a noi, alla nostra anima, che siano fatti di qualcosa che somiglia a qualcosa che ci compone. Biologicamente ma anche spiritualmente. Ecco perché non trovo affatto bizzarra nè ciarlatana la filosofia dei fiori di Bach. I fiori sono utili all’uomo per i suoi mali del corpo: per quale ragione non possono essere utili anche per il mali dell’anima?

Un antico proverbio iraniano recita così: 

se possiedi due soldi soltanto: uno risparmialo,  per comperarti il pane, ricorda che devi nutrire il tuo corpo. L’altro spendilo per regalarti un fiore, ricorda che devi nutrire anche il tuo spirito. 

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DISTILLATI

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foto mia

Il tempo è un grande discernitore. Separa. Scarta. Distilla. Anche io mi rendo conto che cerco di usare sempre meglio il mio tempo. E tendo a stare sola piuttosto che stare con qualcuno solo per non stare sola. Non ho paura della solitudine: non la si può riempire con chiunque. Un libro, un film, o semplicemente un divano e i miei cani accanto non sono un’alternativa. Non sono affatto solitaria o misantropa: sto bene con la gente sincera, quella dal sorriso aperto, quella dal “pane al pane”. Con la gente vera. Mi piace passeggiare anche in silenzio con chi sto bene e mi riesce sempre meno dispensare sorrisi che posso produrre con le labbra ma non con il cuore, o con autentica cordialità. Lo faccio, ogni giorno, nell’ambito lavorativo. Devo. Ci sono regole e imposizioni e ciò è più che sufficiente. Mi fa male quando qualcuno chiede “come stai” e nemmeno ascolta la risposta. Per questo motivo spesso, a quasi tutti rispondo “Bene”.  Non mi fa stare bene, mi procura profondo disagio dover mostrare accondiscendenza: le mie corde di dentro avvertono vibrazioni stonate e stridenti e non mi fanno sentire bene con me stessa.

Meryl Streep è una donna che mi è sempre piaciuta come attrice. Ovviamente non la conosco come persona. Posto questa sua considerazione. Ecco. Queste parole potrei averle scritte io.

Non ho più pazienza per alcune cose, non perché sia diventata arrogante, semplicemente perché sono arrivata a un punto della mia vita, in cui non mi piace più perdere tempo con ciò che mi dispiace o ferisce. Non ho pazienza per il cinismo, critiche eccessive e richieste di qualsiasi natura. Ho perso la voglia di compiacere chi non mi aggrada, di amare chi non mi ama e di sorridere a chi non mi sorride. Non dedico più un minuto a chi mente o vuole manipolare. Ho deciso di non con-vivere più con la presunzione, l’ipocrisia, la disonestà e le lodi a buon mercato. Non tollero l’erudizione selettiva e l’arroganza accademica. Non mi adeguo più al provincialismo e ai pettegolezzi. Non sopporto conflitti e confronti. Credo in un mondo di opposti. Per questo evito le persone rigide e inflessibili. Nell’amicizia non mi piace la mancanza di lealtà e il tradimento. Non mi accompagno con chi non sappia incoraggiare o elogiare. I sensazionalismi mi annoiano e ho difficoltà ad accettare coloro a cui non piacciono gli animali. Soprattutto, non ho nessuna pazienza per chi non merita la mia pazienza.   Meryl Streep

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foto dal web

MA CHE BEL CASTELLO….

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foto dal web

Mi ferisce e mi offende e mi delude il raggiro, la bugia gratuita, quella senza alcun fine nè buono nè cattivo. Quella che più di altre è imperdonabile. Il trucco e parrucco che nasconde la realtà, per altro lecita e sacrosanta.   Mi ferisce e mi offende e mi delude chi insulta la mia intelligenza e la mia sensibilità e la mia capacità di giudizio. Mi ferisce e mi offende chi non ha compreso nulla di me e pensa che io condanni o assolva. Mi ferisce e mi offende chi confonde il mio diritto di avere un’opinione con l’arroganza del giudizio morale. Mi offende e mi ferisce e mi delude chi cerca di imbonirmi, di conservare la mia benevolenza o amicizia, e condisce la menzogna con espedienti poveri, miseri. Meschini. Mi offende e mi ferisce e mi delude chi nonostante abbia avuto la mia anima a un millimetro dal cuore, non ha mai percepito il vero odore. Mi offende e mi ferisce e mi delude chi non sa custodire e proteggere la condivisione dei miei pensieri, della mia Storia. Crollano. I castelli di sabbia crollano. Miseramente e sempre. E passano dolore e delusione. Passano,  come tutto passa. Resta la lezione. Oro per il futuro. E resta la realtà, un po’ amara, di un addio che non avresti voluto. Quel tipo di addio che si scrive dentro, quello definitivo. Quel tipo di addio ben rappresentato da queste parole

(di Massimo Bisotti):

I veri addii scattano nella mente, sono silenziosi.
Sono i più veri, i più pericolosi.
Sono quelli che tieni per te.
E puoi anche continuare a sentirla una persona.
Non ti avrà più se l’hai salutata dentro

PAROLA DI BAU

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Raf e Lara

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Un uomo scrisse ad un albergo di campagna in Irlanda per chiedere se avrebbero accettato il suo cane. Dopo qualche giorno ricevette la seguente risposta.

“Caro signore, lavoro negli alberghi da più di trent’anni. Fino ad oggi non ho mai dovuto chiamare la polizia per cacciare un cane ubriaco nel cuore della notte.
Nessun cane ha mai tentato di rifilarmi un assegno a vuoto.
Mai un cane ha bruciato le coperte fumando.
Non ho mai trovato un asciugamano dell’albergo nella valigia di un cane.
Il suo cane è benvenuto. Se lui garantisce, può venire anche lei.”

MODE

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Va di moda la cucina.

Ehh sono mode. Come i cani che però non è una bella cosa la moda dei cani.

Un po’ di anni fa era “cool” portare a spasso il povero husky, cane siberiano da slitta,  costretto a vivere in appartamenti e in città dove, se va bene, in inverno ci son 20 gradi perché poveretto ha dei meravigliosi occhi celesti. In estate si arriva a 30 come niente..

Poi è venuto il tempo del Setter Inglese: elegante e snello con le sue meravigliose frange fa molto british. Vedevo passeggiare per Milano i signori con giacca e scarpe in stile con questi meravigliosi animali, rosso fuoco o bianco neri / bianco arancio e i loro occhi dolcissimi, come il carattere e, conoscendo profondamente questi cani, provavo un po’ di pena, certa che non nessuno li portava in un prato vero, a correre per davvero come loro (e come pochi altri) sanno fare.

E il Labrador? Piuttosto popolare da sempre, ha raggiunto l’apice con la reclam della carta igienica. Poteva essere per un’altra ragione, dirà il nostro labrador… ma questo è stato l’oggetto che gli ha dato la celebrità. A ciascuno il suo…Evvai di Labrador.. 

Ultimamente va per la maggiore il Jack Russel. Non male: forse un po’ di buon senso suggerisce un cane di taglia adeguata alle abitazioni di oggi.. Ma forse anche questa è “moda”.

Dicevo della cucina. E’ IMPOSSIBILE fare zapping con il telecomando senza imbattersi in programmi di cucina. Impossibile!

Tutti cucinano tutto. Tutti esperti. Alcuni provocano anche qualche brividino per via dello stato dei capelli (boccoloni, riccioloni, frange negli occhi) quando non barbe!! Brrr.. Tralascio lo stato delle mani e delle unghie che spesso ti vien da pensare che tutto potrebbero fare tranne maneggiare carpacci impasti branzini e sac a poche.

Lungi da me di fare di tutta l’erba un fascio. Parlando di cucina poi men che meno.. Erbette spinaci puntarelle hanno il loro distinto e unico perché.. 🙂 Alcuni programmi sono interessanti altri banalissimi e scontati, altri ancora assolutamente impraticabili a chi possiede cucine normali, attrezzature normali, figli e mariti normali…

La cosa che più mi “preoccupa” è la cosiddetta cucina molecolare. A vederli non capisci se sono cuochi o gente che gioca al piccolo chimico o all’alchimista. Azoto liquido, lievito istantaneo, cucina senza fuochi, miscele di zucchero per cucinare il pesce. Verbi quali sferificare,gelatinare, stabilizzare, gelificare. Trasformare, modificare. E poi alghe marine e alghe terrestri. Emulsioni, gelatine, “fibre alimentari”, metilcellulose, tabacco. Mah…

Forse sono all’antica quindi originale, dato che le mode, nell’intento di rendere “diversi” rende ovviamente tutti uguali. Fatto sta che domenica prevedo risotto alla parmigiana ovviamente con Parmigiano Reggiano. In compagnia dei miei cagnolini. Un meticcio purosangue 🙂  e un setter inglese che però non vive in appartamento e corre e scava e va in montagna e per le campagne e fa tutto quello che un setter deve fare. Pieffe, per quando la gricia a Trastevere?

Nel frattempo, come scrivevo da Frost/Roberta una preghiera: beato sia il grana, e poi il risotto con l’osso buco, la gricia, l’amatriciana, il pesto, il caciucco, l’olio di oliva extravergine non taroccato (!!!), la schiacciata con l’uva (se no Riccardo mi cazzia), i tortelli di zucca, i tortellini emiliani, il brasato con la polenta, le lasagne, gli gnocchi (e le gnocche senno’ mi cazzia Pieffe).  E poi la carbonara, la pizza …. E molto altro ancora…

Amen.video-ed-eventi-a-piazzetta-emilia-romagna

IL ROVESCIO DEI DIRITTI

Vorrei tornare a essere italiano, in tutto e per tutto, con difetti e pregi, ricco o povero ma ITALIANO

un Italiano, 13/11/2011   – da “Italiani Liberi”
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Con Oriana condivido gran parte delle idee. Oltre a una parte del nome. Non l’ho rispolverata (come tristemente fanno in molti, media in testa). Le credo da sempre.  

Sono stanca dell’ostentazione dei buoni sentimenti che circola da anni e più che mai in questi tempi recenti dove regna una ipocrisia estrema, a partire dai governi che hanno speculato sopra il concetto di “tolleranza” stravolgendolo e rendendolo una miniera d’oro. Migliaia le associazioni di ogni genere per centri di accoglienza, alfabetizzazione, mense, inserimenti ecc che non hanno prodotto risultati concreti ma solo una enorme, gigantesca torta da spartire e una altrettanto gigantesca spesa pubblica.  Tutto questo in nome di un buonismo religioso, ipocrita e parassitario che nasconde nelle sua torri personaggi che esercitano immensi poteri in nome dei diritti dell’uomo. 

Sono stanca di chi grida a bocca larga (ma con la pancia piena) i diritti dei clandestini, degli immigrati, degli islamici e poi di Paperino e di Qui Quo Qua, della Banda Bassotti, dei Puffi, dei gay. Non conosco  NESSUNO che abbia accolto in casa propria un immigrato. O che abbia offerto la propria, seconda o terza casa ad una famiglia arrivata col barcone. Nessuno. Quindi tutti a urlare i diritti di tutti purché lontani dal proprio orto, giardinetto, figlio o figlia, posto di lavoro, posto al sole. Insomma per dirla con parole poco fini: siamo tutti finocchi ma con il culo degli altri. 

La nostra civiltà è in pericolo. E’ in pericolo la nostra Storia, i nostri costumi, il nostro credo. Non debbo togliere il crocifisso dall’aula perché offende (OFFENDE?) qualcuno. Un crocifisso non ha mai ammazzato nessuno. Il kalashnikov invece si. Se scelgo di entrare in una moschea tolgo le scarpe e indosso il velo. Sono obbligata a farlo e lo ritengo giusto. Diversamente non entro. Questo è rispetto, non altro. Ma il mondo in cui viviamo non contempla il rispetto: è da una parte prevaricatore, dall’altra disposto a farsi prevaricare.

Stimo dal più profondo del cuore Tiziano Terzani e il suo Pensiero. In un mondo perfetto sarebbe applicabile.. Ma questo non è un mondo perfetto, ma un mondo corrotto e violento, dove purtroppo un pensiero così alto è pura utopia.  Io vorrei che nelle famiglie e nelle scuole venisse insegnato l’amore per il proprio paese, per la propria storia e cultura e valori. Che non significa affatto insegnare ad odiare gli altri, quelli che hanno altre culture valori e storia  ma Rispetto. E il Rispetto non può  prescindere dal rispetto per sè e per le proprie origini.  

Comunque… tranquilli.. C’è sempre la possibilità di convertisti no? Tra un po’ di anni diventeremo tutti musulmani. Che problema c’è? L’ideologia di questa gente vuole l’ugugaglianza, Vero. Verissimo! Tutti uguali… a loro.

Ma noi non lo abbiamo capito. Siamo qui a guardare l’isola dei famosi, il grande fratello, mentre tra poco non resterà più niente delle nostre Cattedrali, nella nostra Arte, delle nostre tradizioni. E saremo, finalmente tutti uguali.

E lo avremo voluto noi con l’inettitudine e la “tolleranza” .  Tolleranza che significa ben altro… Ma abbiamo stravolto la lingua, il significato delle parole, così come il significato di tutto.

pinocchio

Ancora Oriana. Perché ho il diritto di ribellarmi all’ipocrisia. 

Sono anni che come una Cassandra mi sgolo a gridare «Troia brucia, Troia brucia». Anni che ripeto al vento la verità sul Mostro e sui complici del Mostro cioè sui collaborazionisti che in buona o cattiva fede gli spalancano le porte. Che come nell’Apocalisse dell’evangelista Giovanni si gettano ai suoi piedi e si lasciano imprimere il marchio della vergogna. Incominciai con La Rabbia e l’Orgoglio . Continuai con La Forza della Ragione . Proseguii con Oriana Fallaci intervista sé stessa e con L’Apocalisse . I libri, le idee, per cui in Francia mi processarono nel 2002 con l’accusa di razzismo-religioso e xenofobia. Per cui in Svizzera chiesero al nostro ministro della Giustizia la mia estradizione in manette. Per cui in Italia verrò processata con l’accusa di vilipendio all’Islam cioè reato di opinione. Libri, idee, per cui la Sinistra al Caviale e la Destra al Fois Gras ed anche il Centro al Prosciutto mi hanno denigrata vilipesa messa alla gogna insieme a coloro che la pensano come me. Cioè insieme al popolo savio e indifeso che nei loro salotti viene definito dai radical-chic «plebaglia-di-destra». E sui giornali che nel migliore dei casi mi opponevano farisaicamente la congiura del silenzio ora appaiono titoli composti coi miei concetti e le mie parole. Guerra-all’Occidente, Culto-della-Morte, Suicidio-dell’Europa, Sveglia-Italia-Sveglia.

Il nemico è in casa
Continua la fandonia dell’Islam «moderato», la commedia della tolleranza, la bugia dell’integrazione, la farsa del pluriculturalismo. E con questa, il tentativo di farci credere che il nemico è costituito da un’esigua minoranza e che quella esigua minoranza vive in Paesi lontani. Be’, il nemico non è affatto un’esigua minoranza. E ce l’abbiamo in casa. Ed è un nemico che a colpo d’occhio non sembra un nemico. Senza la barba, vestito all’occidentale, e secondo i suoi complici in buona o in malafede perfettamente-inserito-nel-nostro-sistema-sociale. Cioè col permesso di soggiorno. Con l’automobile. Con la famiglia. E pazienza se la famiglia è spesso composta da due o tre mogli, pazienza se la moglie o le mogli le fracassa di botte, pazienza se non di rado uccide la figlia in blue jeans, pazienza se ogni tanto suo figlio stupra la quindicenne bolognese che col fidanzato passeggia nel parco. È un nemico che trattiamo da amico. Che tuttavia ci odia e ci disprezza con intensità. Un nemico che in nome dell’umanitarismo e dell’asilo politico accogliamo a migliaia per volta anche se i Centri di accoglienza straripano, scoppiano, e non si sa più dove metterlo. Un nemico che in nome della «necessità» (ma quale necessità, la necessità di riempire le strade coi venditori ambulanti e gli spacciatori di droga?) invitiamo anche attraverso l’Olimpo Costituzionale. «Venite, cari, venite. Abbiamo tanto bisogno di voi». Un nemico che le moschee le trasforma in caserme, in campi di addestramento, in centri di reclutamento per i terroristi, e che obbedisce ciecamente all’imam. Un nemico che in virtù della libera circolazione voluta dal trattato di Schengen scorrazza a suo piacimento per l’Eurabia sicché per andare da Londra a Marsiglia, da Colonia a Milano o viceversa, non deve esibire alcun documento. Può essere un terrorista che si sposta per organizzare o materializzare un massacro, può avere addosso tutto l’esplosivo che vuole: nessuno lo ferma, nessuno lo tocca.

Il crocifisso sparirà
Un nemico che appena installato nelle nostre città o nelle nostre campagne si abbandona alle prepotenze ed esige l’alloggio gratuito o semi-gratuito nonché il voto e la cittadinanza. Tutte cose che ottiene senza difficoltà. Un nemico che ci impone le proprie regole e i propri costumi. Che bandisce il maiale dalle mense delle scuole, delle fabbriche, delle prigioni. Che aggredisce la maestra o la preside perché una scolara bene educata ha gentilmente offerto al compagno di classe musulmano la frittella di riso al marsala cioè «col liquore». E-attenta-a-non-ripeter-l’oltraggio. Un nemico che negli asili vuole abolire anzi abolisce il Presepe e Babbo Natale. Che il crocifisso lo toglie dalle aule scolastiche, lo getta giù dalle finestre degli ospedali, lo definisce «un cadaverino ignudo e messo lì per spaventare i bambini musulmani». Un nemico che in Inghilterra s’imbottisce le scarpe di esplosivo onde far saltare in aria il jumbo del volo Parigi-Miami. Un nemico che ad Amsterdam uccide Theo van Gogh colpevole di girare documentari sulla schiavitù delle musulmane e che dopo averlo ucciso gli apre il ventre, ci ficca dentro una lettera con la condanna a morte della sua migliore amica. Il nemico, infine, per il quale trovi sempre un magistrato clemente cioè pronto a scarcerarlo. E che i governi eurobei (ndr: non si tratta d’un errore tipografico, voglio proprio dire eurobei non europei) non espellono neanche se è clandestino.

Dialogo tra civiltà
Apriti cielo se chiedi qual è l’altra civiltà, cosa c’è di civile in una civiltà che non conosce neanche il significato della parola libertà. Che per libertà, hurryya, intende «emancipazione dalla schiavitù». Che la parola hurryya la coniò soltanto alla fine dell’Ottocento per poter firmare un trattato commerciale. Che nella democrazia vede Satana e la combatte con gli esplosivi, le teste tagliate. Che dei Diritti dell’Uomo da noi tanto strombazzati e verso i musulmani scrupolosamente applicati non vuole neanche sentirne parlare. Infatti rifiuta di sottoscrivere la Carta dei Diritti Umani compilata dall’Onu e la sostituisce con la Carta dei Diritti Umani compilata dalla Conferenza Araba. Apriti cielo anche se chiedi che cosa c’è di civile in una civiltà che tratta le donne come le tratta. L’Islam è il Corano, cari miei. Comunque e dovunque. E il Corano è incompatibile con la Libertà, è incompatibile con la Democrazia, è incompatibile con i Diritti Umani. È incompatibile col concetto di civiltà.

Una strage in Italia?
La strage toccherà davvero anche a noi, la prossima volta toccherà davvero a noi? Oh, sì. Non ne ho il minimo dubbio. Non l’ho mai avuto. E aggiungo: non ci hanno ancora attaccato in quanto avevano bisogno della landing-zone, della testa di ponte, del comodo avamposto che si chiama Italia. Comodo geograficamente perché è il più vicino al Medio Oriente e all’Africa cioè ai Paesi che forniscono il grosso della truppa. Comodo strategicamente perché a quella truppa offriamo buonismo e collaborazionismo, coglioneria e viltà. Ma presto si scateneranno. Molti italiani non ci credono ancora. Si comportano come i bambini per cui la parola Morte non ha alcun significato. O come gli scriteriati cui la morte sembra una disgrazia che riguarda gli altri e basta. Nel caso peggiore, una disgrazia che li colpirà per ultimi. Peggio: credono che per scansarla basti fare i furbi cioè leccarle i piedi.

Multiculturalismo, che panzana
L’Eurabia ha costruito la panzana del pacifismo multiculturalista, ha sostituito il termine «migliore» col termine «diverso-differente», s’è messa a blaterare che non esistono civiltà migliori. Non esistono principii e valori migliori, esistono soltanto diversità e differenze di comportamento. Questo ha criminalizzato anzi criminalizza chi esprime giudizi, chi indica meriti e demeriti, chi distingue il Bene dal Male e chiama il Male col proprio nome. Che l’Europa vive nella paura e che il terrorismo islamico ha un obbiettivo molto preciso: distruggere l’Occidente ossia cancellare i nostri principii, i nostri valori, le nostre tradizioni, la nostra civiltà. Ma il mio discorso è caduto nel vuoto. Perché? Perché nessuno o quasi nessuno l’ha raccolto. Perché anche per lui i vassalli della Destra stupida e della Sinistra bugiarda, gli intellettuali e i giornali e le tv insomma i tiranni del politically correct , hanno messo in atto la Congiura del Silenzio. Hanno fatto di quel tema un tabù.

Conquista demografica
Nell’Europa soggiogata il tema della fertilità islamica è un tabù che nessuno osa sfidare. Se ci provi, finisci dritto in tribunale per razzismo-xenofobia-blasfemia. Ma nessun processo liberticida potrà mai negare ciò di cui essi stessi si vantano. Ossia il fatto che nell’ultimo mezzo secolo i musulmani siano cresciuti del 235 per cento (i cristiani solo del 47 per cento). Che nel 1996 fossero un miliardo e 483 milioni. Nel 2001, un miliardo e 624 milioni. Nel 2002, un miliardo e 657 milioni. Nessun giudice liberticida potrà mai ignorare i dati, forniti dall’Onu, che ai musulmani attribuiscono un tasso di crescita oscillante tra il 4,60 e il 6,40 per cento all’anno (i cristiani, solo 1’1 e 40 per cento). Nessuna legge liberticida potrà mai smentire che proprio grazie a quella travolgente fertilità negli anni Settanta e Ottanta gli sciiti abbiano potuto impossessarsi di Beirut, spodestare la maggioranza cristiano-maronita. Tantomeno potrà negare che nell’Unione Europea i neonati musulmani siano ogni anno il dieci per cento, che a Bruxelles raggiungano il trenta per cento, a Marsiglia il sessanta per cento, e che in varie città italiane la percentuale stia salendo drammaticamente sicché nel 2015 gli attuali cinquecentomila nipotini di Allah da noi saranno almeno un milione.

Addio Europa, c’è l’Eurabia
L’Europa non c’è più. C’è l’Eurabia. Che cosa intende per Europa? Una cosiddetta Unione Europea che nella sua ridicola e truffaldina Costituzione accantona quindi nega le nostre radici cristiane, la nostra essenza? L’Unione Europea è solo il club finanziario che dico io. Un club voluto dagli eterni padroni di questo continente cioè dalla Francia e dalla Germania. È una bugia per tenere in piedi il fottutissimo euro e sostenere l’antiamericanismo, l’odio per l’Occidente. È una scusa per pagare stipendi sfacciati ed esenti da tasse agli europarlamentari che come i funzionari della Commissione Europea se la spassano a Bruxelles. È un trucco per ficcare il naso nelle nostre tasche e introdurre cibi geneticamente modificati nel nostro organismo. Sicché oltre a crescere ignorando il sapore della Verità le nuove generazioni crescono senza conoscere il sapore del buon nutrimento. E insieme al cancro dell’anima si beccano il cancro del corpo.

Integrazione impossibile
La storia delle frittelle al marsala offre uno squarcio significativo sulla presunta integrazione con cui si cerca di far credere che esiste un Islam ben distinto dall’Islam del terrorismo. Un Islam mite, progredito, moderato, quindi pronto a capire la nostra cultura e a rispettare la nostra libertà. Virgilio infatti ha una sorellina che va alle elementari e una nonna che fa le frittelle di riso come si usa in Toscana. Cioè con un cucchiaio di marsala dentro l’impasto. Tempo addietro la sorellina se le portò a scuola, le offrì ai compagni di classe, e tra i compagni di classe c’è un bambino musulmano. Al bambino musulmano piacquero in modo particolare, così quel giorno tornò a casa strillando tutto contento: «Mamma, me le fai anche te le frittelle di riso al marsala? Le ho mangiate stamani a scuola e…». Apriti cielo. L’indomani il padre di detto bambino si presentò alla preside col Corano in pugno. Le disse che aver offerto le frittelle col liquore a suo figlio era stato un oltraggio ad Allah, e dopo aver preteso le scuse la diffidò dal lasciar portare quell’immondo cibo a scuola. Cosa per cui Virgilio mi rammenta che negli asili non si erige più il Presepe, che nelle aule si toglie dal muro il crocifisso, che nelle mense studentesche s’è abolito il maiale. Poi si pone il fatale interrogativo: «Ma chi deve integrarsi, noi o loro?».

L’islam moderato non esiste
Il declino dell’intelligenza è il declino della Ragione. E tutto ciò che oggi accade in Europa, in Eurabia, ma soprattutto in Italia è declino della Ragione. Prima d’essere eticamente sbagliato è intellettualmente sbagliato. Contro Ragione. Illudersi che esista un Islam buono e un Islam cattivo ossia non capire che esiste un Islam e basta, che tutto l’Islam è uno stagno e che di questo passo finiamo con l’affogar dentro lo stagno, è contro Ragione. Non difendere il proprio territorio, la propria casa, i propri figli, la propria dignità, la propria essenza, è contro Ragione. Accettare passivamente le sciocche o ciniche menzogne che ci vengono somministrate come l’arsenico nella minestra è contro Ragione. Assuefarsi, rassegnarsi, arrendersi per viltà o per pigrizia è contro Ragione. Morire di sete e di solitudine in un deserto sul quale il Sole di Allah brilla al posto del Sol dell’Avvenir è contro Ragione.

Ecco cos’è il Corano
Perché non si può purgare l’impurgabile, censurare l’incensurabile, correggere l’incorreggibile. Ed anche dopo aver cercato il pelo nell’uovo, paragonato l’edizione della Rizzoli con quella dell’Ucoii, qualsiasi islamista con un po’ di cervello ti dirà che qualsiasi testo tu scelga la sostanza non cambia. Le Sure sulla jihad intesa come Guerra Santa rimangono. E così le punizioni corporali. Così la poligamia, la sottomissione anzi la schiavizzazione della donna. Così l’odio per l’Occidente, le maledizioni ai cristiani e agli ebrei cioè ai cani infedeli.

post collegato 2010

YEMEN e il silenzio dell’occidente

PROFEZIE PER NULLA .. FALLACI

e83219aa5fda3a9eccf4306fb1d69089(liberoquotidiano.it) – “Parigi è persa: qui l’odio per gli infedeli, è sovrano e gli imam vogliono sovvertire le leggi laiche in favore della sharia”. È una delle “profezie” più inquietanti e apocalittiche, di Oriana Fallaci. Subito dopo le nuove stragi a Parigi, su Facebook in molti hanno condiviso i passaggi più duri di alcuni tra i libri e i discorsi della giornalista toscana, fiera oppositrice (controcorrente) dell’Islam e delle sue pulsioni fanatiche e radicali, soprattutto dopo l’11 settembre 2001.

“Islam contro ragione” – “Illudersi che esista un Islam buono e un Islam cattivo ossia non capire che esiste un Islam e basta, che tutto l’Islam è uno stagno e che di questo passo finiamo con l’affogar dentro lo stagno, è contro Ragione. Non difendere il proprio territorio, la propria casa, i propri figli, la propria dignità, la propria essenza, è contro Ragione. Accettare passivamente le sciocche o ciniche menzogne che ci vengono somministrate come l’arsenico nella minestra è contro Ragione. Assuefarsi, rassegnarsi, arrendersi per viltà o per pigrizia è contro Ragione. Morire di sete e di solitudine in un deserto sul quale il Sole di Allah brilla al posto del Sol dell’Avvenir è contro Ragione. E contro Ragione anche sperare che l’incendio si spenga da sé grazie a un temporale o a un miracolo della Madonna”.

Il Corano e i cani infedeli – “Il Corano non mia zia Carolina che ci chiama «cani infedeli» cioè esseri inferiori poi dice che i cani infedeli puzzano come le scimmie e i cammelli e i maiali. È il Corano non mia zia Carolina che umilia le donne e predica la Guerra Santa, la Jihad. Leggetelo bene, quel «Mein Kampf», e qualunque sia la versione ne ricaverete le stesse conclusioni: tutto il male che i figli di Allah compiono contro di noi e contro sé stessi viene da quel libro. È scritto in quel libro”.
La rabbia e l’orgoglio

La Guerra Santa – “Intimiditi come siete dalla paura d’andar contro corrente cioè d’apparire razzisti (parola oltretutto impropria perché il discorso non è su una razza, è su una religione), non capite o non volete capire che qui è in atto una Crociata alla rovescia. Abituati come siete al doppio gioco, accecati come siete dalla miopia, non capite o non volete capire che qui è in atto una guerra di religione. Una guerra che essi chiamano Jihad. Guerra Santa. Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All’annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci. Non capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà. E distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po’ più intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto. E con quello distruggerà la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori, i nostri piaceri”.

NOSTOS

nostalgia

E vabbè. Perdonatemi questo momento nostalgico forse sbuca dalla nebbia di stamane e la buca perché certi pensieri scaldano sono come il fiato caldo in un giorno un po’ freddo.  Era fine 2012 e questi erano i pensieri buttati giù quel giorno. Sarà che ho un po’ di raffreddore oggi, e anche mal di gola: un’aspirina frizza nel bicchiere qui accanto a me sulla scrivania. E anche un po’ di mal di vita. Capita. Sarà che l’arrivo dell’inverno mi trova sempre impreparata: cedo alle calze a metà ottobre, oggi indosso ballerine rigorosamente sopra il piede nudo. Non mi piace guardarmi indietro lo dico sempre, non amo i ricordi preferisco vivere nella consapevolezza che ci portiamo dietro il bagaglio di tutto perché tutto fa di noi ciò che siamo. Tutto ci plasma e ci forma; siamo creta nelle mani del tempo, degli eventi, delle persone che incontriamo che amiamo che ci lasciano, quelle che ci deludono e quelle che lasciamo e quelle che ci hanno dato tantissimo e quelle che ci sono, ogni giorno, ci camminano accanto. Copio incollo dunque questo post che per le ragioni appena elencate non sa di naftalina né potrà mai essere coperto di polvere.  E non lo faccio nemmeno per mancanza di argomenti: non è mai stato un blog “daaggiornareperforza”,non ne ha bisogno. Con piacere e senza mai smettere di sorprendermi questo posto è sfogliato: ogni giorno vengono letti post tra i 450 e oltre pubblicati. Questo per me conta molto di più della ricerca del nuovo. E poi va bene così: l’ansia da prestazione non è roba nostra non ci interessa non ci ha mai colpiti, è un luogo così, questo. A fine dicembre 2012 c’erano queste parole e sono attualissime, nonostante gatte e lucertole girino per altri prati ma anche qui, girano anche qui, trovo croccantini in giro, e sono diversissimi dai cookies internettiani, sono orme indelebili così come anche l’umorismo acuto misto a dolcezza di GilGanesh, che vive lontano da qui fa parte di questo luogo e non c’è nessuna pietra sopra qui non ci sono pietre sopra niente. Non si cancella la cronologia con un click, non si svuota la cache del cuore.

orme-e-impronte

31.12.2012

Grazie a tutti e a tutti un abbraccio affettuoso per un tempo che sia foriero di luce e di tante piccole cose belle. Piccole perché è lì che sta la bellezza, dentro le piccole cose: lo diciamo sempre, qui.  Cerco di nominarvi tutti, questo blog è frequentato da 4 gatti ( ma che gatti! ) e questa è una ragione in più per essere orgogliosa di questi “numeri” che stupiscono me, prima di tutti.  In ordine sparso: 

Marinz, cui devo, tra l’altro, la migrazione del sito e poi tanti motivi di riflessione.
Pieffe, orecchiette, speciali sapienti e acute oltre che straordinariamente intuitive. Devo molto a quell’essere  peloso, non solo per questo sito, ma per ciò che rappresenta nel mio Tempo.
Petula, la gatta filosofa e Lucertola, da preda ad allieva. Devo molto anche alla sua coda e al suo naso.
Pinuccia, donna e nonna intelligente, delicata e sensibile, si commenta da sé, basta leggerla.
Roberta (Frost), che si diverte con noi e tesse le foto come una moderna Penelope.
Sir Biss che porta odori di lago e profumo di salvia e rosmarino e tanta partecipazione. Che sa prendersi in giro come ahimé pochi sanno fare.
Riccardo: quando i “numeri” sono alti, per visite e interventi, dietro c’è spesso lui, a dibattere con orecchiette e gatte. Un altro pilastro di cemento armato qui e non solo qui.
Francesca Pacini (Mulino di Almeto): perché è a lei che devo l’incontro con Pieffe e Petula.  E anche l’onore di avere scritto su Silmarillon. Non scriverò mai come lei ma proprio per questo è un piacere vero leggerla. Imparo.
Carola, dal cuore dolce e romantico: la sua sensibilità e il suo calore dentro casa hanno fatto spesso il lavoro di un plaid. Amica di una vita, non ci si vede quasi mai, ma noi ci siamo.
Simona dagli occhi blu, che si firma Lotus, per qualche verso così simile a me da sembrare quasi…. mia parente  😉
GilGanesh che ci manca molto, così come il Gollum: hanno creato tante divertenti sceneggiature:  ci hanno dato tanto cuore e tanti sorrisi. E fiato per questo posto.
Simonetta (Calembour), che delle parole ne ha fatto e ne fa un mestiere.
E poi a tutti quelli “qui non nominati”,  e anche a quelli che leggono regolarmente senza apparire e mi scrivono  le e-mail.  Celeste anno a tutti, dal cuore. 

AMBRA E TOPAZIO

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Eccoci.
Finiscono le vacanze, la pelle è ancora abbronzata, i sandali ancora a portata di zampe,  le camicette leggere ancora in lavatrice, o fresche di stiro. Il temporalone, l’acquazzone.
Come stamattina. Ho appena finito di asciugare il jeans con il phon. E ho solo percorso la strada dalla stazione all’ufficio (7 minuti).

Tempo di castagne, di funghi, di cibi caldi. Il tempo che piace a Sir Biss.
Chissà se questo autunno ci regalerà ambra e topazio e rubino, e rossi infuocati.  La vite rossa accesa delle estati indiane.
E chissà se ci sarà la dolcezza e la morbidezza dell’aria, l’odore di muschio e di funghi e di terra umida.
E la luce.. quella luce che d’autunno accarezza come sa fare al crepuscolo nei luoghi di mare. Quel sole tiepido e gentile, quasi sciolto sugli alberi che lascia il posto alla sera ornata di stelle bianche e blu.
Serve dolcezza e poi passi calmi, carezze delicate ma profonde. E vino buono, nel bicchiere giusto, cristallo sottile, che vibra, che suona.
Sarà buono il vino di questo anno: estate calda senza pioggia. Lo avremo più avanti.
Si abbassano. I pensieri. Verso la terra, il suo odore: cercano rifugio tra le foglie e il tepore del suolo. Cercano un buco, una tana, un posto dove arrotolarsi. Come si arrotola la volpe che attende di sentire i passi conosciuti. 
Attendiamo un autunno così. Non ci piacciono i passaggi violenti: dal caldo al freddo, dalla luce al buio. Vogliamo essere accompagnati con dolcezza. Con gentilezza. Essere presi per mano ed entrare piano, dentro il cambiamento.
Non vogliamo che gli alberi si denudino in un giorno: vogliamo invece che si spoglino lentamente: c’è bellezza in questo. Sensualità. Dolcezza. Vogliamo avere il tempo giusto per godere con gli occhi, con l’olfatto, con i sensi tutti. 

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MIOPIE ISTITUZIONALI

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Una riflessione sulla mancanza di attenzione e di cura da parte delle Istituzioni. Avevo annunciato qualcosa settimane fa ma poi sono accadute molte cose. Ecco la storia. Arriva da Carola.

Suo figlio Luca, a metà percorso delle scuole superiori decide di mollare. Non ce la fa, non ne ha più voglia, non gli interessa più. Dopo la normale insistenza della mamma (il padre non c’è) e dopo estenuanti inviti a riflettere, Carola si rassegna. Luca si trova un lavoro: un lavoro fisso presso un ristorante, all’interno di uno di questi mega centri commerciali che spuntano come i funghi un po’ ovunque. Lavora sodo senza limiti di orari e di giorni. Lavora anche di sabato e di domenica. Con i soldi che guadagna si mantiene e si compera le sue cose tra cui la patente e un’automobile senza pretese, come senza pretese di cose materiali è l’esistenza di Luca. Un ragazzo sensibile, piedi per terra e testa sulle spalle. Solido, nessun piercing, tatoo, orecchini, catene nè tagli di capelli improbabili, un po’ retro’ direbbero molti ragazzi di oggi. Alcuni forse lo consideravano un po’ “sfigato” perchè … un tipo normale (:-)  

Dopo un anno e mezzo Luca annuncia alla mamma: torno a scuola ma non mollo il lavoro. E tre mesi fa consegue il diploma di maturità, con 85/100, lavorando sempre e spesso anche nei fine settimana, come stabiliscono i turni del ristorante. Carola ne è ovviamente fiera. Il suo ragazzo non solo si diploma lavorando ma si iscrive all’università.

Capita tra le mani di Carola un periodico del Comune, quei notiziari mensili o trimestrali mediante il quale il Comune comunica con i Cittadini. Ometteremo per ovvie ragioni di dire il nome del Comune che tra l’altro non è nemmeno utile al post. Appare, sul giornalino, come ogni anno, l’articolo con gli encomi, premiazioni, foto ecc dei ragazzi della scuola inferiore che hanno superato gli esami con il massimo del punteggio e poi di quei ragazzi che hanno conseguito il diploma di maturità con un punteggio tra 90 e 100. Borsettina di studio, premio in soldini più che altro simbolico ma comunque un premio. Incentivo a continuare gli studi. Ottima cosa per carità.

Ma la Carola si incazza. E ha ragione. Scrive una lettera assolutamente “giusta” all’assessore e al sindaco per quale ragione MAI una parola per quei ragazzi che raggiungono gli stessi risultati ma che hanno lavorato tutto l’anno, studiato di notte e rinunciato enne volte ad uscire con gli amici. Che non hanno avuto la fortuna di poter “solo studiare” e non hanno avuto la mamma o la nonna o la zia a preparare la merenda. E nemmeno genitori che hanno potuto seguirli nel percorso della scuola superiore perchè impegnati a lavorare o per altre ragioni. Grande Luca, in bocca al lupo. E grande Carola.

Ora vediamo il prossimo anno se il Comune avrà un po’ di cura anche per questi ragazzi ammirevoli e che più di altri meritano una foto sul giornalino e una stretta di mano “pubblica” da parte di chi è tenuto a dimostrare capacità di valutazione e maggiore attenzione ai principi di uguaglianza. 

ps: proprio ora mi arriva sms: Luca ha passato il test di accesso all’università. Ottimo.

PREZZI

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Ogni gioia smisurata (exultatio, insolens laetitia) nasce sempre da un’illusione che ci fa credere di aver trovato nella vita qualcosa che non è possibile trovarci: la soddisfazione duratura dei desideri che ci tormentano e che rinascono sempre di nuovo, insomma, il rimedio ad ogni affanno. Ora, ogni illusione di questo genere dovrà prima o poi infallibilmente svanire; e questo ci sarà fonte di dolore amarissimo, e molto più intenso che non la nostra primitiva gioia. Sotto un tale aspetto, la gioia è simile a una vetta scoscesa da cui non si può discendere che a precipizio.

Arthur Schopenhauer

PAUSE

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In questi giorni il tema sul treno, in ufficio, nei negozi, è sempre lo stesso: vacanze.

Dove vai
ma che bello
ci sono stato anche io
ti consiglio di cenare in quel posticino
quando torni
se potessi farei le vacanze in luglio

E le raccomandazioni? Divertiti!!! Riposati!!! Rilassati!!! Mi raccomando!!!
Ecco.. menomale che ce lo dicono altrimenti da soli mica ci pensiamo! Ti vien da rispondere: sì, mamma!
Menomale che le riceviamo le altrui benedizioni altrimenti come faremmo?  

Scusate per questo sfogo di insofferenza. Personale idiosincrasia storica in aumento costante verso i luoghi comuni, le frasi fatte, le raccomandazioni (inutili come tutte) che arrivano solo da chi in realtà non gli frega assolutamente nulla se ci riposeremo rilasseremo divertiremo. Gli altri non ne fanno. Come sempre è questione di intelligenza e di sensibilità. O di comune allergia per i soliti stramaledetti luoghi comuni usanze cicalecci vari frasi fatte. 

Ho in serbo una condivisione, quella con e di Carola. La faremo presto. Perchè è un discorso interessante: riguarda i ragazzi in gamba, quelli responsabili, quelli che vanno avanti nonostante le difficoltà e lo fanno da soli.   

Lascio qui un saluto ai miei controlucini, per ora. Ora è tempo di pausa.
Vi auguro un tempo buono, di sereno, di pace, e di riflessione. Una tregua vera che possa interrompere per un po’ la violenza dei giorni, l’incombenza dei doveri, che ci sovrastano e schiacciano. Qualche tramonto dentro il quale perdersi con l’anima ed uscire un po’ migliori. O  qualche bagno che faccia fare un po’ pace con il mondo e con sè. Qualche prato di stelle sopra la testa capace di commuovere e stupire. O l’imponenza delle montagne: che ci faccia sentire piccini qui sotto quando rivolgiamo il nostro pensiero alle vette laddove è potente il silenzio e immobile il tempo. Qualche passeggiata meditativa capace di farci ritrovare il senso delle cose perdute, offese, uccise, tradite.
E leggerezza. Sere dolci e delicate. Morbidezza e passo leggero. Sere gentili.
Tutto questo è lontano dai gelati, dagli ombrelloni, dal chiasso, dalla musica, dai tormentoni, dall’olio di cocco, dal pareo all’ultimo grido, dai selfie che intaseranno la rete; non che abbia qualcosa contro: ognuno vive come gli pare. Solo perchè  niente di questo appartiene al popolo di Controluce.

Vi abbraccio tutti, intreccio di code stretto. Perchè qui trovo quella animalità che manca a molti umani, trovo code e pelo e occhi e cuore di cani di gatti e il respiro della sincerità e il dono della condivisione vera, leale. Che non trovo quasi più. In nessun luogo…

 

SEGNI

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foto mia

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Ogni persona che passa nella nostra vita è unica.
Sempre lascia un pò di sè e si porta un pò di noi.
Ci sarà chi si è portavo via molto, ma non ci sarà mai chi non avrà lasciato nulla.
Questa è la più grande responsabilità della nostra vita e la prova evidente che due anime non si incontrano per caso.

J.L. Borges

MESSAGGI IN BOTTIGLIA

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Parco Sempione, Milano

Domenica mattina presto – Milano la domenica mattina è godibilissima – sono stata a vedere la Nuova Darsena. Non l’avevo ancora vista nonostante da dove lavoro ci posso arrivare in 10 minuti. Ho letto e sentito le solite polemiche: queste non sia mai che manchino!

Piacevole. Piazza 24 maggio è adesso un piazzale grandissimo, pedonale, con le sue aree di sosta, camminamento per tutti, anziani, bambini, carrozzine e carrozzelle. Tutti.

Nell’acqua circolano coppie di germani con i piccolini al seguito. Ogni tanto qualche piccolo sbaglia famiglia e viene richiamato prontamente dai propri genitori e allora lo si vede nuotare in fretta con le zampotte rispondendo al rimprovero. Belle scene da ammirare nel cuore di Milano. E non c’erano! Al posto della darsena c’era solo un luogo maleodorante e in stato di abbandono. Possibile che l’opinione pubblica è pronta ad insorgere sempre e comunque? Possibile che non si riesca mai ad essere obiettivi e esprimere un giudizio OLTRE la polemica?

Assolutamente privi di impatto i mercati, che hanno accolto le attività del vecchio mercato. Lo trovo un progetto giusto, ben inserito nel cuore pulsante della Milano dei Navigli.  Definita Ecomostro e molto altro ancora.. Bah. A me non sembra proprio. Cosa dovremmo fare? del finto gotico? Anche no..

La nota triste c’è, eccome. E non sta nell’architettura, nelle facili polemiche, bensì nelle bottiglie di birra, nei sacchetti, nei rifiuti in generale,  sulla passeggiata e nell’acqua. Questo è il vero triste e doloroso aspetto. Una schiera di addetti del comune puliva (erano le otto del mattino e ho contato almeno sei sacchi di spazzatura da un solo lato del Naviglio). Che fare?

Chi mi accompagnava suggeriva una soluzione anzi due.

La prima: multe salatissime, sorveglianza costante e manganello. 

La seconda: obbligo di vendere birra solo in bottiglie di vetro (niente lattine niente spina) dietro cauzione di 5 euro/bottiglia.  Geniale, niente da dire. Ma mi vedo già una schiera di abusivi vendere bottiglie di birra…  Appoggio dunque la prima.

Mi sembra adeguata e l’unica efficace anche se, ovviamente, corrisponde ad una utopia. Ma l’unica, in una civiltà dove civiltà non c’è. E dove le regole si trasgredisco  prima di tutto in famiglia.  In nome della libertà i figli fanno tutto ciò che pare loro. Sopra i divani con le scarpe, porte chiuse a calci, mani nei piatti di chiunque. Noncuranza in generale nei confronti di persone e cose, invasione di spazi, mancanza di delicatezza e di cura. E poi si riflette tutto fuori. Ovvio no? C’è da stupirsi? Se i ragazzi in casa si comportano come selvaggi, come può essere diverso, fuori? 

Consiglio a tutti, scuole, genitori ed insegnanti per loro stessi innanzitutto e poi per i figli, un libro di Gherardo Colombo e Marina Morpurgo: le regole raccontate ai bambini” (http://zebuk.it/2013/04/le-regole-raccontate-ai-bambini-gherardo-colombo-marina-morpurgo/)

Perché “Libertà” NON significa assenza di regole. Anzi, è il rispetto delle regole a garantire la Libertà. Libertà di camminare in spazi non degradati. Per esempio. Libertà di respirare, di vivere, di stare bene. Libertà di essere Liberi.

Ricordo le polemiche, fortissime, di quando il Comune decise di recintare e mettere i cancelli al Parco Sempione. Un casino bestiale!  “E’ un verde pubblico, è contro il principio di libertà” ecc ecc ecc. Bene fece il Comune di Milano! Dopo la darsena infatti, ieri mattina, sono andata al Parco Sempione. Bellissimo, curato e pulito. 380 mila metri quadrati di bellezza. Rinato dopo la recinzione, nel 2003, ha ripreso lo splendore e la bellezza che merita. A mali estremi …. Speriamo solo che l’attuale Sindaco non decida di togliere le recinzioni. Dopo aver cercato di vietare la consumazione del gelato sui marciapiedi mi aspetto di tutto…  Magari in nome della “città più verde e più condivisa”. Intanto vediamo di vivere meglio e condividere meno ma meglio…

Invece chi volesse curiosare in Darsena:

https://it-it.facebook.com/comunemilano/videos/260803007377019/

https://www.youtube.com/watch?v=oxeYjjX1kMs

https://www.youtube.com/watch?v=IP26RpVAWiY

Parco Sempione, Park Sempione
Parco Sempione e Castello Sforzesco, Milano

 

COME TI INFORCO IL LAGO ….

Prometto che Controluce avrà la luce di prima anche contro e di fianco e dietro… Ora che Pieffe e Ricc sembrano tornati dal lungo viaggio intergalattico (che non li ha cambiati affatto.. anzi…) torneremo a scrivere. Prometto. Devo solo trovare il tempo. 
Ma … in una breve pausa ho trovato questo e non posso non postarlo. Certissima che il vostro gusto raffinato per l’arte e la vostra capacità critica sarà beata da questa visione e il vostro intelletto affascinato da questa geniale trovata.

Guardate la foto.  E poi dicono che le pale eoliche “deturpano”!!

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Lago Lemano a Vevey, in Svizzera.

fonte:”FOCUS” al link
http://www.focus.it/natura-e-ambiente/natura/si-fa-presto-a-dire-lago?gimg=891&gpath=#img891

…. NEWS DAL VERBANO

Dal nostro reporter SirBIss, e da un ottimo fotografo,  vi aggiorno con immenso piacere.

Ecco a voi gli sviluppi. Ma guardate il piccolo…. lasciato di guardia alle uova!

Forse i genitori sanno che non si schiuderano, ormai? Alla prossima, godetevi la foto.

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TENEREZZA LACUSTRE

Ricevo da SirBiss due foto bellissime. Una coppia di cigni vive da tempo sul Lago Maggiore, proprio accanto all’imbarcadero. E, sempre li’, mette al mondo i suoi piccoli. Ho avuto modo di vederli dal vivo in tempi precedenti.

Questa volta no, nessun incontro “live” ma queste foto meritano di essere pubblicate. SirBiss tra i commenti potrà raccontarvi la storia di questa coppia di animali. SirBiss ha quotidianamente assistito alla vita dei genitori e alla covata e … stamane ha visto il miracolo della schiusa.

Che appunto viene pubblicata qui attraverso questi scatti “rubati” i quali replicano la scena vista da SirBiss alla stessa ora. Ecco le foto, scattate oggi alle 10 da Valerio Franchi. Grazie SirBiss e grazie a Valerio che non conosco ma che ci perdonerà per aver rubato questo momento.

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cigni 1

cigni 2.

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DIS-ARMONIE

Pace-si-armonie

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La sera, prima di dormire, ho qualche tempo per rifugiarmi nel mio mondo. Quello solo mio, che comprende solo i miei odori, il mio profilo, la mia pelle, il mio respiro. E’ un momento che mi piace, perché è tutto e soltanto mio. Ascolto il mio respiro e cerco di vedere i miei pensieri come se fossero fuori e non dentro di me.  Faccio il bozzolo, con il piumino, mi creo un posto per i piedi, li metto “a cuccia” e cerco di non pensare al domani, alle cose che mi aspettano, all’ufficio. Seguo solo il respiro e ascolto il silenzio della mia casa. Di solito c’è pace, in questo momento. Una pace leggera, respirabile, dove, almeno per un po’, si riallineano le cose, regalandomi un’idea di armonia. Si assottiglia il contrasto tra la mia anima e il mondo e le cose del mondo, le incombenze, le bruttezze, e non stride nulla. Niente unghie sulla lavagna, nessuna prova di eroica resistenza alle piccole e ripetute violenze quotidiane. Si allontanano le ipocrisie, le storie ripetute, i falsi sorrisi, le miserie tutte. E finalmente sento la mia pancia. E riesco a sentirla tranquilla, calda e sento di volermi bene. In questo stato riesco a vedere quasi tutto chiaro. Forse si vede bene solo al buio.  Appare tutto così chiaro… E i contorni sono così nitidi e precisi!

Poi arriva il giorno.. e trovi tutto sotto la luce artificiale sotto la quale, ormai, si vive. Un po’ perché ci siamo costruiti questo mondo. Di banche attorno a noi … e di  mode: quella del perdono, quella del mondo pulito, quella del tacco dodici, quella della tolleranza, dell’accoglienza, della accettazione, dell’indulgenza. La moda del volemossebbene, che semina il virus “iotisalverò” Pericolosissimo, a volte mortale. 

E un po’ perché ci arrivano le solite puntuali delusioni, le bugie, piccole e grandi e poi quelle davvero gratuite e le piccolezza tutte. I segreti di pulcinella. Le scatole di cartone che si aprono ed esce il pagliaccetto gonfiato che ti fa la pernacchia.

Ma non importa: la sera c’è l’appuntamento con la pancia. Calda… E il respiro. E i pensieri che a guardarli da fuori si vede che sono solo pensieri. E qualche persona davvero speciale nel cuore. Si spegne la luce e si immaginano i contorni.  L’essenziale è invisibile agli occhi.

 

 

L’UOMO DELLA PIOGGIA

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Commovente. Uno tra noi, che raccoglie frasi, litigate, parole d’amore, banalità, cattiverie. Sopporta le fotografie, terribili a volte, di chi si vuol portare a casa una immagine banale, con lui accanto. Tollera lo scherno, i calci dei bambini, i sorrisi idioti di chi non va nemmeno a cercare la sua storia.

Le raccoglie, le cose ma non le offre a nessuno. Si tiene tutto dentro. Nessuno sa che da qualche parte è nascosto un sentire. Perché nessuno riflette il proprio sentire dentro una statua. Lo si fa.. magari con la luna. Protagonista di romantici pensieri, regina di una certa letteratura, e di pensieri scartati coi baci perugina. È popolare, la luna. Gli amanti, le passeggiate lungo il fiume cittadino.
I riflessi sull’acqua. Le millemila canzoni dedicate. Per lo più insulse. Usata, la luna. Senza nemmeno i diritti d autore.

L’uomo della pioggia. Per alcuni una statua. Per altri un’opera d’arte. Per qualcuno un omaggio. Per qualcuno …. un “uomo sotto la pioggia”. Qualcuno ha scritto che ritenere le “cose” animate sia tipico dell infanzia. Che poi deve passare.. Ma chissà se qualcuno si chiede mai se ciò è altro…

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L’altro giorno ho letto che è stato vittima di un incidente stradale “La Pioggia” di Folon. Per gli amici “L’uomo della Pioggia”. E’ nata questa riflessione. Ecco. La condivido qui (tanto la reputazione me la sono giocata anni fa…) 🙂 

 

CHIARIMENTI….

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Sto ancora ridendo.
Si è reso necessario, qui, in ufficio, approfondire un punto in materia di IVA ovvero se fosse applicabile la disposizione secondo la quale un’auto acquistata con Iva agevolata (da disabile) fosse poi vendibile dall’erede entro i due anni senza dover corrispondere la differenza di IVA. Leggete un po’ la circolare della Agenzia delle Entrate che “chiarisce”   🙂   🙂   🙂   la questione.

Ora: leggete dalla undicesima alla quattordicesima riga.

E SINALLAGMATICO ditelo a vostra sorella!!  CAPITO?

Ecco!! Un po’ di rispetto !!

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www.unlock-pdf.com_ris.+n.+136E+del+28+maggio+2009

CARO ISCRITTO TI SCRIVO

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Gentile “Iscritto che segue Controluce”

ricevo spesso, nella mia casella di posta,  le notifiche da WordPress che “Ora pinco pallo segue Controluce”. Segue l’invito, precotto di Word Press che dice: vai a vedere cosa scrive pinco pallo! Magari ti piace! E ti spiattella il link. 

Diffido molto di chi dice che “segue” un sito senza leggere alcun post nè lasciare alcun messaggio.
Ma capisco anche che la rete, in generale, e anche attraverso i cosiddetti Social Network, blog ecc, rappresenta una “opportunità di visibilità”. E Controluce, nel suo “piccolo”, vanta rispettabili statistiche di lettura (pubblicate da siti di statistica vari, mio malgrado).  

Tuttavia trovo irrispettoso nei confronti di chi scrive, cura, e pubblica un sito, affermare di seguirlo quando invece lo scopo è chiaramente quello di “farsi seguire”. Il che è ben differente! 

Forse lei, signor “iscritto che segue Controluce” non ci crederà, ma c’è chi, come me, pubblica articoli con amore e dedizione e senza alcuna pretesa. Senza girare tra altri blog a caccia di lettori o a seminar biscottini, e che considera il proprio “blog” un po’ come una casa, aperta a tutti, senza alcun filtro, o moderazione nei commenti, nè altro. Però … esige un po’ di buon gusto. Quando ciò viene a mancare, come adesso, cerco di farlo notare, serenamente e tranquillamente.

Dal momento che lei, gentile “iscritto che segue Controluce”, ehmmm “segue” Controluce, mi permetto di darle un piccolissimo consiglio: abbia un filo di professionalità in più, anche nel cercare di rendere i suoi lavori, i suoi scritti, la sua professione, più visibili: alcuni “espedienti”, generalmente, possono addirittura risultare controproducenti.

Non me ne voglia dunque, caro “iscritto che segue Controluce” se non passerò a “vedere cosa scrive lei”, così come incita – giustamente – wordpress – che è una piattaforma e fa il mestiere di piattaforma. Io preferisco una forma piatta. Nel dire le cose che penso. Ad esempio.    

Cordiali saluti e molti auguri per i suoi lavori.

Celeste
CONTROLUCE

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CARO AMICO TI SCRIVO

STILO

cosi mi distraggo un po’,  e siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò.

Così cantava Lucio Dalla un po’ di tempo fa (1979, ebbene sì.. 1979) quando ancora si scriveva con la penna. L’altro giorno passeggiavo in Corso Magenta, a Milano, e mi sono fermata ad ammirare le penne esposte nella vetrina di un famoso e storico negozio: Ercolessi. E mi dicevo che la penna è proprio un bellissimo oggetto. Specie la penna stilografica. Ora scriviamo con la tastiera, scriviamo e mail, twitter, chat, sms e mms.. Ma il piacere di scrivere a mano, ovvero semplicemente il “piacere di scrivere”? Un’altra emozione la provai qualche anno fa, a Roma, vicino al Pantheon. C’è una cartoleria, anche questa storica. Spaziale. C’è di tutto. Oltre alle penne, anche gli articoli di scrittura antica, le cannucce con i pennini, le penne. Alcune cannucce porta pennino sono fatte in vetro, altre, più preziose, in radica ed altri materiali bellissimi anche da toccare. E poi la ceralacca per sigillare, e i biglietti, tagliati a mano, e poi i sigilli. E le boccette con l’inchiostro. Sono uscita facendomi forza e dopo aver acquistato sigillo e ceralacca. Non c’è niente da fare. Il fascino della scrittura con la penna stilografica è unico. Unico è il fruscio, il tratto, e l’odore della carta. 

Riporto qui un ricordo di Simona (ciao Simona). Simona era con me, a Roma in quel negozio e ci siamo trascinate fuori dal negozio a vicenda!

… Da piccola, quando feci la Cresima, me ne regalarono due una color oro e una rosa. Quella rosa era la mia preferita. Ero tutta fiera di averla ricevuta ma nessuno mi aveva insegnato ad usarla.  La tenevo dentro la sua custodia la quale era conservata sopra al comò della camera da letto, dentro in una scatola in legno a casa dei miei nonni.  Ogni tanto andavo ad ammirarla . La prendevo in mano e facevo finta di usarla e mi sentivo grande. 

Proprio poco tempo fa decisi di comprarmene una. C’ho messo del tempo a sceglierla. Una stretta, una grossa, una troppo pesante, l’altra troppo corta. Alla fine la trovai, bianca e rotondetta. Mentre la impugno mi sento di nuovo grande e sono contenta perché la MIA penna stilografica mi insegna a dare il giusto tempo alle cose anche scrivendo un semplice “ ciao “ .

 

Natale?

Ieri era Natale.

Il pranzo, i regali. Per quelli che ci credono, la sera prima la messa. O anche solo per la tradizione. Mah, ora ditemi come si può andare a messa per tradizione.

E la capannuccia, l’albero con le lucine. Che chissà che cosa c’entra l’albero con le lucine: me lo chiedo da quando sono bambino. E pure Babbo Natale… ganzo eh, ti porta le cose belline. Ma chi gli ha detto nulla a lui? O un s’era rimasti in Palestina, una ragazza e un attempato signore dentro a una grotta, al freddo, con bue ed asinello, e dell’altra gente che arriva sui cammelli che siccome si sono sparati tutti i regali gli portano l’oro e l’argento, che non ci si copre mica con l’oro e l’argento. Per poi tacere di sta mirra che gli hanno detto “Eh? Ma che sei di fori a dare la birra a un bambino!”.

Insomma, mi pare che  al proposito del Natale come minimo ci sia un po’ di confusione. Per quello che poi se magna e beve, così ci si rintrona bene bene e non ci si fa caso a tutto quello che non torna. E di roba che non torna ce n’è da dare e da serbare.

Natale, Natale… la festa più importante… la rinascita, la speranza. No quella era la Pasqua. O no? Vabè.

Beh. A me, da quando sono grande (e non è da tanto… l’età anagrafica non c’entra granchè con quello che sto dicendo) piace tanto il sole. Piace la Terra, piace la Luna. Piace vedere come noi siamo legati a questa realtà evidente e visibile. Semplicemente simbiotica, con noi. E che però è come se… ce ne vergognassimo, in una qualche maniera. Attribuendo a “qualcosa di più elevato” gli onori della cultura, del sapere. Della bellezza, anche. Della sapienza.

Mah.

Io sto amando sempre di più questa accogliente culla che è la Terra, e questo raffinatissimo modo perfettamente bilanciato che c’è, e che nonostante tutti i nostri intenti perturbativi ci prende come un soffio di vento che porta i capelli sugli occhi: un minimo, trascurabile, inavvertibile fastidio.

Beh, io il Natale lo festeggio un’altro giorno, e precisamente il 21.

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Il 21 dicembre è il solstizio d’inverno, e sono andato a vedere la meridiana, quella in Piazza dei Giudici a Firenze: davanti al Museo Galileo e non più di ventun passi dagli Uffizi. Volevo essere lì durante il solstizio d’inverno, simbolicamente allo scoccare del mezzogliorno, quando il sole per l’ultima volta scende, e l’indomani comincerà a risalire e l’ombra lunghissima dello gnomone sarà impercettibilmente ma inequivocabilmente più corta. Il buio, da quel momento, comincerà a ritirarsi lasciando sempre più spazio alla luce del sole. Trovo questo momento di una intensità immensa, e mi sento di esserne felice, e festeggiare.

Trovo importante trovare armonia con quello che ci circonda, quello di cui indissolubilmente facciamo parte, e conoscerlo almeno un po’, e riconoscerlo, per poterne fare parte, prima di cercare di andare oltre. Altrimenti rischiamo di diventare dei “gabbiani ipotetici”, per dirla alla Gaber, e non riuscire nemmeno più di pensare di volare, perchè mettiamo obiettivi forse troppo distanti per i passi che non abbiamo avuto l’umiltà, o forse solo l’intelligenza, di riconoscere di dover fare.

Spero di non avere steso nessuno con queste chiacchiere intrecciate… beh, almeno non più di un pandoro.

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Riccardo.

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Buon Natale

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Auguri a tutti gli Amici e Mici di Controluce. Ai Cani e ai Topolini. E alle Lucertole che girano per questa casa, più o meno silenziosamente. Trovo le zampette ovunque, e peli di Gatte rosse e grigie. Ne trovo il respiro, ritrovo il sorriso ogni volta che sfoglio qui ma anche quando sono qui, come adesso, sopra una pagina bianca come la neve che non c’è. Saluto perfino miagolando la luna piena da qualche solstizio d’estate in qua…   Io, nata e cresciuta con l’odore di cane addosso perfin miagolo! 

Un abbraccio caldissimo e un saluto. Vi ho pensato tantissimo quando lo gnomone ha celebrato (anche) il mio di Natale, essendo nata il 23.12 e ho pensato a quel fascio di luce che rende speciale il Controluce finché c’è l’amore per le piccole cose… come c’è qui, da sempre.

Buon Natale a tutti da me e anche da Pinuccia che ha il computer rotto ha scritto con il cellulare gli auguri per me e per tutti i controlucini.

ARCHI CHI?

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Cosa pensate che sia? Una costruzione antica? Una bizzarra decorazione sul fondo di una piscina? Macchè!!!

Mi piacciono i documentari sulla natura. L’altro giorno ne ho visto uno che mi ha particolarmente colpita: il nido d’amore del pesce palla.

E’ qualcosa di straordinariamente bello, una geometria perfetta. Il pesce palla costruisce, negli abissi, qualcosa di perfetto, meravigliosamente perfetto. A me è venuto in mente un mandala.

Dentro questo nido d’amore il maschio attira la femmina, lei rilascia le uova, lui le feconda. Poi una cosa altrettanto bella: lui si strofina su di lei, pare che le dia un bacetto sulla schiena poi i due si separano. Forse gli scavi dell’opera servano anche a proteggere le uova appena fecondate ma io mi sono soffermata sulla bellezza, al di là dell’utilità.

Insomma una delle tante cose straordinarie di questa Terra.  Un pescetto. Capito,  Renzo Piano? Un pescetto.

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ps mentre scrivo questo post, ho trovato questo video. eccovi il link.

https://www.youtube.com/watch?v=kj-K_pFoaDo

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TI ASPETTO QUI

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Ti aspetto qui dove il sole non fa più male non brucia non offende non inaridisce accarezza e calma ti aspetto qui dove il mare riposa sotto la sera gentile dove gli alberi si stagliano contro la luce crepuscolare dove i pensieri sono anche preghiera Ti aspetto qui dove tutto è calma adulta matura come l’odore di resina che solo la sera dispensa nell’aria Ti aspetto qui dove non c’è rumore dove l’amore è canto silenzioso capace di risvegliare semi addormentati dei grandi alberi protesi verso il mare Ti aspetto qui dove il Tempo salda le ossa rotte lenisce le ferite lava via la polvere dove la morsa del mondo si allenta dove si libera il respiro e diventa alimento per l’anima  Ti aspetto qui in un’ora liquida e densa quando la voce del mare è come musica da un grammofono Ti aspetto qui per aspettare insieme il miracolo dell’alba

DIETRO LE QUINTE

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Dietro le quinte di Controluce vi è una statistica visibile all’amministratore del sito, cioè a me. In questo “retrobottega” è possibile vedere quali sono i post che sono stati letti ogni giorno. A volte, per curiosità, mi capita di farci un giro ed è un piacere vedere Controluce “sfogliata”: vengono letti anche i vecchi articoli e questo mi fa piacere, molto più dei numeri. Il numero delle visite non mi importa se chi passa lo fa solo per “vedere” se ci sono novità. Mi piace che chi passa.. cerca, e sfoglia, e mette il nasino dentro gli scaffali di Controluce. E così, sopra qualche articolo che vedo riletto ci torno anche io, rileggo il post ma soprattutto ritrovo il piacere grande degli interventi. Tranquilli! Vi risparmio un post nostalgico ci mancherebbe! Abbiamo già nostalgia di così tante cose, e persone, e luoghi, e sorrisi e soprattutto di speranza per cui, almeno qui… niente nostalgia. Anche se.. ehhh..  come si fa? Io non lo so.  

Comunque, a parte questo, ho voluto rendervi partecipi di questa cosa. Naturalmente non so chi legge cosa (nemmeno ci terrei a saperlo) ma vedo solo cosa viene letto. Ed è questo piacere, insieme ad altri, che mi fa tenere queste porte aperte, spolverare ogni giorno o quasi (“Si mamma, prometto che la prossima volta solleverò gli oggetti ma non sempre ho tempo, qualche volta giro attorno e fammela passare, no?”).  Qualche sera mi diverte anche scegliere le fotografie per postarle su Flickr, quindi non ho molto tempo per la polvere, però per aprire le porte e le finestre sì, quello lo trovo. Ed è evidente che funziona dal momento che non c’è odore di stantio ma un buon odore. 

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BOH

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Amarezza. Sconforto. Vuotitudine.  Ecco. Non riesco nemmeno più a provare rabbia.
Gli italiani sono praticamente affamati. Le mense dei poveri sono pieni dei nostri anziani. Nostri anziani. Persone che vivevano magari faticosamente, magari con piccole pensioni, ma con dignità,  ora non ce la fanno. Molti di loro hanno figli  senza più un lavoro, che non sanno come fare per tenere in piedi la propria famiglia, a tirare su i figli.

Siamo un popolo in ginocchio. La criminalità aumenta, anche per fame. Un giorno ho sentito un padre che diceva: quando non hai da sfamare ii tuoi figli diventi un ladro anche te.
Un quadro.

Altro quadro.
P
artita di calcio, “errori arbitrali”. Juventus-Roma Copio e incollo dalle notizie di oggi.

 “Due interrogazioni parlamentari al ministro dell’Economia sugli errori arbitrali di Juventus-Roma e un esposto alla Consob per capire “se ci possono essere stati atti che ledono le normative vigenti, svantaggiando e penalizzando gli incolpevoli azionisti” delle due società calcistiche. Più, fuori dalla politica, le risposte del mondo juventino alle accuse di capitan Totti e della Roma, la contro-risposta di Rudi Garcia, la presa di posizione del sistema calcio e le ripercussioni in Borsa. Nel giorno successivo al big match di Torino, le polemiche non si spengono. Anzi: arrivano persino all’interno del Parlamento”.
 
Capito? Stiamo affondando nelle sabbie mobili (ho usato un’espressione raffinata):  non c’è famiglia che non sia colpita nel lavoro, nell’orgoglio, nella dignità, nella salute. Già, perché quando non si può sostenere con dignità la propria famiglia si sta male e parecchio, ci si rimette anche la salute. E in parlamento? Ci finiscono gli errori degli arbitri di Juventus Roma.  Ecco.
Mi fa male. Mi offende. Perché il parlamento lo pago anche io. Perché voglio che quelli che pago lavorino per gli anziani, quelli che vanno a mangiare alla mensa dei poveri, a quelli che vedo la mattina a Cadorna con il bicchiere in mano e il cartello con su scritto HO FAME. E li vedi, perché li vedi che stanno provando un dolore enorme, perché erano persone normali, magari con la sola minestra tutte le sere sulla tavola, ma con una dignità. Li vedi. Sono puliti, in ordine e gli occhi tristi. Stupiti più che rassegnati. Li vedi che sono li’ perché … non possono fare altro. Perché hanno fame, o sono malati e spesso entrambe le cose. Voglio che si occupino dei nostri figli, dei nostri ospedali. Voglio che si occupino di quella donna che è rimasta vedova a 44 con due bambini,  vent’anni di mutuo, uno stipendio solo, il suo, e deve pagare ici tasi tari imu e mini imu e il libri di scuola. Tutti, senza uno sconto. Voglio che si occupino della gente come lei, dei ragazzi come i suoi. Sostegno, niente altro che sostegno, sicurezza, protezione. Ci si riempie la bocca con parole come garanzia, protezione, rispetto. Letteratura. Niente altro. Offese perfino le parole, non reagiscono più nemmeno loro. Le abbiamo svuotate, ridotte a orpelli per abbellire mostruosità e bugie. 

Io sto male. Veramente. Non ce la faccio più nemmeno ad indignarmi, ad arrabbiarmi. E quando non ci si arrabbia più è perché è finita anche la speranza. E se finisce la speranza non c’è più niente. Sabato guardavo mia nipote, 11 anni, correre felice con il cane, e poi in bicicletta. E poi la guardavo giocare a palla in giardino. Rideva, Gli occhi chiari, trasparenti, luminosi. Ho provato una fitta di amarezza. Ho sentito male, ho provato pena, dolore, un senso infinito di … boh..  Boh. Cosa c’è zia perché mi guardi così? Niente tesoro, ti voglio bene, tutto qua. 

Nel mondo del lavoro (chi il lavoro ce l’ha), si soffoca  ogni giorno dentro gli ingranaggi micidiali della burocrazia. Altro che semplificazione! Nessuna burocrazia è mai stata come in quest’ultimo decennio. Una creatura enorme e spaventosa  e affamata, che divora tempo, energie, risorse. Vita. Una cliente del mio studio, ottima persona, ex chirurgo ora in pensione, mi ha confessato di aver vissuto con sfinimento gli ultimi anni: alcuni interventi chirurgici le richiedevano meno tempo rispetto ai moduli che doveva compilare prima e dopo ogni intervento. Doveva certificare perfino chi aveva fatto le pulizie in camera operatoria, prima e dopo. Chi era di turno al guardaroba ecc ecc. Una roba da pazzi.  Oggi stesso io ho lavorato 5 ore su 8 per compilare un questionario ISTAT di un’azienda che altro non era che una specie di doppione del bilancio (regolarmente pubblicato al Registro delle Imprese e consultabile da chiunque). Un’altra ora per aiutare il medesimo cliente a districarsi in una pratica comunale ai fini della tassa rifiuti per via di una trasformazione di una società e quella che mi è rimasta ho cercato di fare … quello dovrebbe essere il mio lavoro principale. Manteniamo ed alimentiamo macchine enormi, prima era carta, ora sono server immensi mangia dati, mastica dati, archivia dati.  Paghiamo stipendi inutili per alimentare questi mostri che NON SERVONO A NULLA. A NULLA. E questo è un altro quadro ancora. Queste mie ore saranno addebitate dallo studio al cliente. Con quale risultato?  Indovina indovinello….

E mi chiedo:
ma i ragazzi, quelli che adesso sono ragazzi, che hanno in mano le redini di questo paese, cosa fanno?
Io mi domando cosa fanno. Dove sono.
Tutti su FB, wathsapp, twitter, armati fino ai denti di smartphone e tablet? Amebe fluttuanti nel mare della rete adesso? Pesci in carpione tra qualche anno? Non si sente mai la loro voce. PERCHE’?

Boh.mafaldaDelusa

 

FIORI GIALLI PER TE

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… non ho raccolto stasera…

Ecco, mi è stato donato questo fiore. Non raccolto, non comprato, non messo cadaverino nell’acqua come una flebo ad un essere morente. La fotografia per dire che era per me. Un pensiero sopra questo fiore. Che vivrà il tempo che avrà.

Grazie.

 

 

 

SGUARDI

20140807_135858A differenza di molte persone, loro ti guardano sempre dritto negli occhi. Sguardi che ti frugano nel cuore e che sanno farti sentire piccolo. Lui è Pepe. Come lui, tanti. Sguardi speciali, potenti, penetranti, adulti, saggi, maturi, leali, dignitosi. Sanno spogliarti e a volte farti …. sentire piccolo, perché senti che loro hanno un cuore così grande e pulito e puro e bellissimo. E te invece no, mica ce lo hai così..

Namasté Pepe.

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SOTTO LA LUNA UNA STORIA

La nostra luna

LA STRADA CHE NON ANDAVA IN NESSUN POSTO (Favole al telefono di Gianni Rodari- 1962)

All’uscita del paese si dividevano tre strade:una andava verso il mare,la seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto. Martino lo sapeva perchè l’aveva chiesto un po’ a tutti e da tutti aveva avuto la stessa risposta: -Quella strada li? Non va in nessun posto! È inutile camminarci. -E fin dove arriva? -Non arriva da nessuna parte -Ma allora perchè l’hanno fatta? -Manon l’ha fatta nessuno, è sempre stata li! -Ma nessuno è mai andato a vedere? -oh sei una bella testa dura! Se ti diciamo che non c’è niente da vedere… -Non potete saperlo se non ci siete stati mai. Era così ostinato che cominciarono a chiamarlo “Martino Testadura” ma lui non se la prendeva e continuava a pensare alla strada che non andava in nessun posto. Quando fu abbastanza grande da attraversare la strada senza dare la mano al nonno, una mattina si alzò per tempo, uscì dal paese e senza esitare imboccò la strada misteriosa e andò sempre avanti. Il fondo era pieno di buche e di erbacce ma per fortuna non pioveva da un pezzo così non c’erano pozzanghere; a destra e a sinistra si allungava una siepe ma ben presto cominciarono i boschi. I rami degli alberi si intrecciavano al di sopra della strada e formavano una galleria oscura e fresca nella quale penetrava solo quà e là qualche raggio di sole a far da fanale. Cammina e cammina…la galleria non finiva mai,la strada non finiva mai. A Martino dolevano i piedi e già cominciava a pensare che avrebbe fatto bene a tornarsene indietro quando vide un cane. -Dove c’è un cane c’è una casa- riflettè Martino- o perlomeno un uomo! Il cane gli corse incontro scodinzolando e gli leccò le mani,poi si avviò lungo la strada e ad ogni passo si voltava per controllare se Martino lo seguiva ancora. -Vengo!Vengo!-diceva Martino incuriosito. Finalmente il bosco cominciò a diradarsi, in alto riapparve il cielo e la strada terminò sulla soglia di un grande cancello di ferro. Attraverso le sbarre Martino vide un castello con tutte le porte e le finestre spalancate e il fumo usciva da tutti i comignoli e da un balcone una bellissima signora salutava con la mano e gridava allegramente: -Avanti!Avanti,Martino Testadura! -Toh!- si rallegrò Martino- io non sapevo che sarei arrivato..ma lei si! Spinse il cancello, attraversò il parco ed entrò nel salone del castello in tempo per fare l’inchino alla bella signora che scendeva dallo scalone. Era bella!E vestita anche meglio delle fate, delle principesse e in più era proprio allegra e rideva. -Allora non ci hai creduto! -A che cosa? -Alla storia della strada che non andava in nessun posto -Era troppo stupida e seconso me ci sono anche più posti che strade! -certo!Basta aver voglia di muoversi!Ora vieni ti farò visitare il castello. C’erano più di cento saloni zeppi di tesori d’ogni genere, come quei castelli delle favole dove dormono le belle addormentate o dove gli orchi ammassano le loro ricchezze. C’erano diamanti pietre preziose,oro,argento e ogni momento la bella signora diceva: -Prendi! Prendi quello che vuoi! Ti presterò un carretto per portare il peso. Figuratevi se Martino si fece pregare! Il carretto era ben pieno quando egli ripartì.A cassetta sedeva il cane che era un cane ammaestrato e sapeva reggere le briglie e abbaiare ai cavalli quando sonnecchiavano e uscivano di strada. In paese, dove l’avevan già dato per morto, Martino Testadura fu accolto con grande sorpresa. Il cane scaricò in piazza tutti i suoi tesori, dimenò due volte la coda in segno di saluto, rimontò a cassetta e via, in una nuvola di polvere! Martino fece grandi regali a tutti, amici e nemici e dovette raccontare cento volte la sua avventura e ogni volta che finiva, qualcuno correva a casa a prendere carretto e cavallo e si precipitava giù per la strada che non andava in nessun posto. Ma quella sera stessa tornarono uno dopo l’altro con la faccia lunga così per il dispetto: la strada per loro finiva in mezzo al bosco, contro un fitto muro d’alberi, in un mare di spine. Non c’era più nè cancello, nè castello, nè bella signora perchè certi tesori esistono soltanto per chi batte per primo una strada nuova e il primo era stato Martino Testadura.

TRENTALUGLIO

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Oggi, se ci fosse, la mia mamma compirebbe 80 anni, ma non c’è più da quasi 30.  Starete pensando che è un pensiero insolitamente personale, ed è vero, è molto personale, è vero. Però non è vero che è una cosa insolita: è solo diretta.  In diversi post ho parlato di lei, senza nominarla.  “Pensieri sul ponteper esempio,  e poi uno in particolare, che è  uno dei miei più intimi. Scritto il giorno del mio compleanno, che non amo festeggiare come tutte le ricorrenze in genere, ma è una data che inevitabilmente mi fa sentire ancora più vicina a Lei.

E’ questo ed è uno dei miei preferiti.

Ha raccolto interventi delicati e profondi, in linea con Controluce e con il cuore di chi la frequenta: persone, gatti e qualche cuore di cane.
 

Lascio anche questo pensiero, trovato in web. Non posso citare la fonte perché l’ho perduta e non sono più riuscita a ritrovarla.

 

animali

IMPERMANENZE

FOLON

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Molte volte mi trovo a riflettere sulla “impermanenza”.
In questo tempo dove tutto è digitale il concetto di impermanenza risulta calzante. Abbiamo tutto in files, dentro cartelle che vivono dentro cartelle: un esercito sterminato di matrioska, che portiamo a spasso o sulla nuvola sopra di noi che può seguirci ovunque. Così come può perdersi nell’infinito spazio, tra le numerose galassie attorno alle quali gravitano server con i loro satelliti orbitanti, altri server, e gigantesche piattaforme di … nulla.

Ho pochissime fotografie di quando ero bambina, forse una ventina in tutto. E poi ho le fotografie dei miei genitori, quelle del loro matrimonio, raccolte dentro un album di pelle verde, e le fotografie del loro primo e unico viaggio, il viaggio di nozze. Costa azzurra. Non ho bisogno di alcun software se le voglio guardare: se avessi bisogno di un computer è possibile che i files sarebbero in un formato ora non leggibile.
Mi basta aprire un album, e una scatola di latta dei biscotti Lazzaroni per vedermi seduta con le scarpine bianche, quelle con le piccole bolle sotto per non scivolare, o per vedere il sorriso felice di mia madre che, in costume da bagno, sullo sfondo il mare di Montecarlo, Sanremo, Monaco, sorride a mio padre. E non ho bisogno di nuvole, pericolosamente vaganti in quel che chiamiamo cyberspazio per portarle con me, se lo voglio. Mi basta una piccola borsa.

Il materiale stesso era l’essenza, e anche per questo, assai prezioso. Non si fotografava lo stesso fiore trenta volte. La pellicola costava, sviluppo e stampa pure. Si pensava a ciò che era maggiormente rappresentativo, e non c’era alcuna noia né alcunché di compulsivo nello scatto: esso era il preciso gesto che doveva bastare.

Ho un viaggio a New York interamente documentato, da me, con una videocamera. Eh.. non digitale. Quindi ho delle cassette WHS che posso vedere ovviamente solo con un lettore di cassette WHS che forse, già ora, se si dovesse rompere il mio, ne troverò un altro solo al Museo della Scienza e della Tecnica. E sto parlando del 1999 mica di 50 anni fa. Vero, potrei farlo digitalizzare, trasferire su DVD.   Domandone: per quanto tempo leggeremo DVD? E ascolteremo CD?

Ho perso fotografie, recentemente, e anche documenti, tutti digitali: alcuni non li troverò mai altri devo solo rovistare in decine di pennine usb e in un paio di hd esterni per sapere dove sono (e se ci sono ancora…) e poi dovrei raggrupparli in un solo luogo. Sicuro. Sicuro? Cosa è sicuro? E poi quanto è privato?

L’altro giorno ho litigato ferocemente con “gugol” che da mesi mi ricatta. Riduce i servizi, perché …. non faccio parte di Google+.

Esegui l’upgrade cosi potrai condividere le tue foto con i tuoi amici! Fatti trovare! Renditi visibile! Sembrano inviti invece il tono alla fine è perentorio. E ricattatorio.

Fino a un mese fa inviavo fotografie a quei tre contatti che ho in Hangouts, il software chat di Gmail. Ora mi è stato “vietato”.Vuoi inviare foto ai tuoi contatti?  mi dice,  subdolo. Entra in Google+! Bè, sai che ti dico? Io in Gugolpiù non entro, manco morta. Ecco. Tiè.

L’altro giorno l’ho fatto. Ho eseguito l’upgrade, per provare a capire se potevo renderlo assolutamente privato. Cosa ho trovato? Le mie fotografie in Pikasa! Pikasa! Ma chi le vuole le fotografie in Pikasa? E poi: in quanti le hanno viste!! E con grande sorpresa, ho trovato, su uno dei “miei” album in Pikasa, una dozzina di fotografie che erano sparite dal mio tablet!! Sincronizzazione o semplice trasferimento? A me è parso un furto. Ho visto anche “amici che potresti avere” Ma non solo, c’erano anche gli amici dei miei amici! Io non voglio sapere chi sono gli amici dei miei amici!! Ascolterò le loro storie se loro, i miei amici, vorranno raccontarmele! Non le voglio sapere solo perché mi faccio gli affari loro spiandoli in rete!

Comoda eh.. la sincronizzazione. Per carità. A capirci qualcosa, puoi evitare di aggiornare dati, rubriche e documenti in tutti i dispositivi che possiedi. E’ come avere un server a portata di zampe e tutti i tuoi aggeggi diventano client. Ehh ok..

Ma… che succede veramente? Un giorno un amico mi mostra una fotografia. Un oggetto dedicato a me, ne ero gelosa. La apro e leggo: “questa foto la stanno visionando n. 4 utenti” Fantastico! Morale: credo l’avesse “upgradata” su gugol. E lui nemmeno lo sapeva, che eravamo in 4 a guardarla!

Ci saranno filtri, non lo metto in dubbio, come credo accada su Facebook. Probabilmente è possibile decidere con chi e cosa “condividere”. Ma sta diventando un lavoro! E poi: se non voglio condividere, perché devo “lavorare” per evitarlo? Perché agire sul “negativo”?
Come le varie compagnie telefoniche: se non vuoi un servizio (che pagherai) lo devi disattivare.

Una settimana fa: le mie amiche mi “costringono” a scaricare whatsapp. Ok, va bene, mi arrendo Ho resistito un anno ora scarico la app. Premetto che non mi interessa cosa succede, ma lo riporto per pura condivisione. Di ognuna di loro io posso “sapere” l’ora e il giorno in cui hanno fatto l’accesso alla chat. Per la serie: ahhh ma guarda un po’!! Pincopalla ha fatto l’accesso alle ore 14.15 e non mi ha nemmeno salutata. E non ha risposto alla mia chat! Ovviamente non è il mio caso. Ma capisco perfettamente quanti casini possono generare queste cose. Mi dicono che ora si può disattivare, l’info attraverso la quale si vede quando e chi accede … Migliorata eh!!!  Urca!
Cosa cambia, se è possibile vedere, dalla doppia spuntina quando la persona ha letto il mio messaggio? Facilissimo individuare il suo orario di ingresso, no? Se alle 10 non c’era la doppia spuntina e alle 10.20 c’è, anche un idiota saprebbe trarre la conclusione ovvia ovvero che l’accesso è avvenuto tra le 10 e le 10.20.

Non è ovviamente tutto qui: chi ha il tuo numero di telefono scritto in un telefonino, tablet, o pc che sia, sa se tu hai scaricato o meno Whatsapp. Non puoi nemmeno dire: non ce l’ho!! Ho trovato mia zia, nella mia rubrica, con il simbolino di Whatsapp! Grandissima la zia!

E, se leggo la mia posta hotmail sul sito anziché attraverso l’apposito software scaricato, vedo quali dei miei contatti hanno un profilo Facebook, quali  hanno skype ecc. qualora ovviamente registrati con la propria e mail. Assurdo. Semplicemente assurdo.

Ripeto: personalmente non mi interessa, non è un problema. Ho 4 contatti, con persone intelligenti e assolutamente immuni (io e loro) da questo tipo di rischi, equivoci e banalità varie. Ma è solo per dire cosa succede in questo genere di cose.

Siamo tutti quanti schedatissimi. Ogni volta che acconsentiamo di “fare una tessera” in un negozio, finiamo in un file, che sta dentro un altro file, che sta dentro una cartella, che sta dentro un’altra cartella, che sta dentro un server, che sta dentro ad un serverone e lì dentro c’è scritto se usiamo whatsapp e con chi, e poi ci sono le nostre foto di google, la lista di ciò che mangiamo, la spesa che facciamo alla esselunga, quante scarpe comperiamo in un anno, a quali riviste siamo abbonati e di certo i nostri dati sulla navigazione, grazie ai nostri “biscottini”. Oltre ai nostri movimenti bancari, of course.

Ci spiano. E nemmeno troppo dal buco della serratura: siamo noi ad offrirci, quasi volontari. In parte costretti e questo è quello che più fa rabbia.

La legge sulla privacy è pura formalità, una grandissima bufala. Quando arriva un nuovo cliente, insieme al mandato professionale deve firmare il documenti informativo sulla privacy. Qualcuno chiede: e se non acconsento? Bé … non possiamo seguire la sua azienda.  Semplice.

Ho un blog, vero. Metto in rete alcune cose mie. Per “proteggermi” un po’ non frequento altri blog se non quei 4 gatti collegati a Controluce. Non mi frega nulla dell’audience, ma solo dei miei lettori e amici, e di chi Controluce la sfoglia, la cerca, la porta con sé. Medio, ogni volta, tra ciò che vorrei dire e ciò che posso dire. A volte integro via e mail qualcosa che non posso pubblicare sopra una pagina web ma che voglio che i miei amici sappiano. Ho sempre ben presente una e mail, di anni fa (primi tempi di Controluce) un Pieffe, in tono più amico e protettivo che cattedratico, mi scrisse via e mail: potevi tenerti addosso almeno le mutande.

Da allora la mediazione è diventata anche più difficile. Un blog resta un blog e non ho mai avuto alcun dubbio sul mettere o meno le moderazioni oppure se renderlo visibile solo a chi ha la chiave. Che senso avrebbe? Allora manderei articoli via e mail a chi voglio io e poi le loro risposte a tutti.. E come si fa? La condivisione, se si usa la rete costa. Ma sta costando troppo perché pare che ormai “condividere” sia obbligatorio.

E, in quanto al concetto di “impermanenza” mi pare che sia un fenomeno crescente, anche al di qua del virtuale. Speriamo che qualche sentimento si salvi da questo mordi e fuggi, da questo fruire, carpire, rubare, catturare e  cancellare. 

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SOFF

OMAGGIO IN LUGLIO

Qualche giorno fa Pinuccia ha voluto condividere con me una cosa bella cui aveva avuto modo di assistere. Mi è piaciuto molto, l’argomento, ma anche come Pinuccia me ne ha parlato. Le ho dunque chiesto se avesse voglia di scrivere per Controluce. Lo ha fatto, e io, molto contenta, pubblico. Grazie Pinuccia, e buona lettura a tutti.

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uccelli

09.07.2014

Nel mio girovagare per assistere a qualche manifestazione mi è capitato di incontrare qualche persona interessante. Poi si sa, da cosa nasce cosa… e con qualcuna si instaurato un buon rapporto, non dico di amicizia, ma di stima e rispetto reciproci.

Una di queste persone ha messo su uno spettacolino domenica scorsa con dei ragazzi delle scuole usando il testo di un libro di un poeta sufi Farid Ud Din Attar, uscito pochi anni fa con le illustrazioni di Peter Sis:  “La conferenza degli uccelli” .

La lettura avrebbe dovuto avere luogo in un bosco, di sera, con i suoni della natura a fare da cornice, e mi immagino che altri spettatori, i padroni di casa, mi piace definirli così, sarebbero intervenuti numerosi.

Ma il tempo meteorologico, un po’ pazzerello non lo ha permesso. Così, così ci siamo trovati in una Chiesa, un po’ stipati, ad ascoltare. Bella Chiesa, non c’è che dire. E i suoni della natura, il canto degli uccelli? Bèh, è stato proiettato un documentario dove i protagonisti erano gli uccelli, il loro canto, il loro volo, i loro giochi.

La scena finale del documentario: alcuni uccelli che giocavano nell’ansa di un fiume, si facevano il bagno, si spruzzavano, si alzavano in volo, e cinguettavano felici. Quello che si dice: passerotti!!!

La storia racconta del poeta, che dopo una notte agitata, svegliandosi, si accorge di essere diventato un’upupa. Allora chiama a raccolta tutti gli uccelli del mondo proponendo loro un viaggio avventuroso per andare dal mitico re Sirmug, colui che ha tutte le risposte e che si trova sul monte Kaf. Per invogliarli a partire, qualche resistenza al cambiamento c’è sempre, e poi….. un altro re!!! Che chissà poi magari non esiste! L’upupa dice loro: Ho la prova della sua esistenza.

“Guardate! Ho il disegno di una sua penna. E’ caduta in Cina, nel cuore della notte”.

La piuma del re Sirmug indovinate come era: ovviamente bianca! ( che abbia a che fare con Celeste?)

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Quasi tutti partono, qualcuno fa qualche obiezione. Ma l’upupa con fermezza li convince ad intraprendere il viaggio che sarà lungo e faticoso. Gli uccelli attraverseranno sette valli: la valle della Ricerca, la valle dell’Amore, la valle della Comprensione, la valle del Distacco, la valle dell’Unità, la valle dello Stupore, la valle della Morte.

Quando arriveranno stremati, solo in trenta,  perché :

“Alcuni, scoraggiati e impauriti se la sono svignata. Altri hanno continuato, ma sono stati sopraffatti. Non sapevano più dove andare, né perché sono morti per la sete, la fame, sono stati vinti dalla calura e dalla vastità dei mari”

al  monte Kaf ,  chiedono del mitico re Sirmug e :

vedono il Simurg

e il re Simurg sono loro

“Così trenta uccelli uniti dalla stessa ricerca hanno finalmente trovato il loro re. E capiscono che sono loro Simurg il re e che Simurg il re è ciascuno di loro e tutti loro”.

Molte sono le considerazioni che si possono fare: dal testo del racconto, alla natura con le sue insidie, ma poi sono davvero insidie?, alle infinite prove che la vita ci riserva, e poi… poi magari qualcuno ci viene a dire dopo molto penare che:

“Valli? Erano solo un’illusione, uccelli, un sogno. Non abbiamo attraversato proprio niente. Il nostro viaggio ha inizio solo ora”. 

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Ho detto prima: il testo è stato letto da ragazzini delle scuole. Elementari e Medie. Certo la loro dizione non era impeccabile, era però spontanea, intimidita dalla presenza di tante persone. Ma era perfetta così. Con le loro stonature era più genuina, più reale.

La persona che ha dato vita a questo spettacolo raccontava che per invogliare i ragazzi a leggere li invitava a casa sua e preparava loro la pizza, le frittelle, i biscotti.

E raccontava di quanto era stato difficile insegnare le pause, perché il testo è breve breve, e i ragazzi tendevano a distrarsi, a scappare. Raccontava anche di come poco a poco i ragazzi si sono appassionati a questa avventura ed erano disposti a provare anche senza la pizza. Che lei preparava lo stesso.

Tanto che alla fine della lettura, il ragazzino più piccolo è andato da lei, che era seduta in uno dei banchi, le si è inchinato davanti e ha chiesto un applauso solo per Anna. Che, come da copione, si è commossa.   Non solo lei.

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MILLE BOLLE BLU

 

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Zio Piero non amava le ortensie: gli ricordavano i cortili della sua infanzia, ai tempi della guerra, e quel tempo gli ricordava la povertà.  Io invece le amo molto e non ho di quei ricordi perché non ero nata.

Mi sono sempre piaciute, le ortensie. Nella casa di mio padre sbocciavano ad ovest, dove c’era il sole gentile e la giusta ombra. Queste  fotografate sono le ortensie di casa mia,  rivolte a nord, piantate da piccole talee, adesso sono cresciute. Sono una parte:  altre piante, più piccole, hanno fiori di colore blu intenso, fucsia  e bianco.  Mi piacciono, ogni fiore è un pallone, formato da innumerevoli singoli fiorellini semplicissimi e allegri, di 4 petali ognuno, cuoriforme.  Ogni fiore è un gruppo di fiori, e tutti insieme, formano questi enormi cespugli. Quando c’è molto caldo i fiori diventano mollicci: non amano il sole forte, ma poi l’acqua compie il miracolo e ridiventano turgide. Bellissime, le mie mille bolle blu.

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