L’ARNO D’INVERNO

Io entrai a Firenze. Era di notte. Tremai sentendo quasi addormentato ciò che il dolce fiume mi raccontava. Io non so ciò che dicono i quadri e i libri (non tutti i quadri né tutti i libri solo alcuni),  ma so ciò che dicono tutti i fiumi.
Hanno la stessa lingua che io ho. (…) Nella voce dell’Arno riconobbi allora vecchie parole che cercavano la mia bocca, come chi ha mai conosciuto il miele e poi ne riconosce la delizia. Così ascoltai le voci del fiume di Firenze come se prima d’essere m’avesser detto ciò che adesso ascoltavo: sogni e passi che mi univano alla voce del fiume, esseri in movimento, colpi di luce nella storia, terzine appese come lampade. Il pane e il sangue cantavano con la voce notturna dell’acqua. (Pablo Neruda).

Pubblico una carrellata di fotografie, scattate da Riccardo il 22 dicembre, solstizio di questo inverno duemilaventitrè. Il cielo, nuvoloso, non ha consentito di immortalare la tradizionale firma del sole, a Piazza Giudici. Pubblico queste fotografie, meravigliose, testimoni di un pensiero, che va ben oltre uno scatto fotografico: il pensiero a Controluce, ai suoi abitanti, al suo cuore pulsante anche se silenzioso.  Amo, da sempre, la luce che offrono i celi come questo cielo: mi sembrano luci rispettose, che non edulcorano nè sbiadiscono ciò che sovrastano. Luci che consentono, ad ogni tetto,  specchio d’acqua, prato,  di essere sinceri, mostrarsi come sono. Sotto le foto, uno scritto di Pablo Neruda: durante uno dei suoi viaggi d’esilio, approdò a Firenze, nel 1951. Un poeta che ho amato tantissimo e che ogni volta che lo leggo, mi restituisce qualcosa di me, riesce a toccarmi la pelle. Chiudiamo questo anno con Firenze, una città molte volte protagonista in Controluce, nonchè cornice di alcuni capitoli della mia vita, capitoli mai chiusi, e che hanno fatto e fanno di me quella che sono. E con Neruda, che imparai ad amare con “Canto General ” molti e molti anni fa e che mi ha sedotta, dolcemente e sottilmente.  Neruda sa sedurre così, con grazia, eleganza e profondità. Penetra dentro, come sa fare una voce calda e setosa. Deposito qui un augurio a tutti coloro che passano e lasciano il segno dei passi, visibile ma anche dietro le quinte di questo cortile che non riesco a chiamare sito, o portale, o, peggio, piattaforma. Un altro augurio lo poso dentro una piccola barchetta di carta e lo affido a quel fiume che ha accolto parecchi miei sguardi, e, molto tempo fa, anche le mie lacrime.  Lascio un augurio di serenità scivolare sull’acqua, libero di raccogliere la luce della luna, e magari quella delle stelle. E di arrivare lontano, fino al mare e poi negli oceani. Le barchette di carta possono essere più forti, molto più forti di una nave di ferro.  Temono poco il vento e non hanno nemici, le barchette di carta. Nessuno bada ad una piccola barchetta di carta: è questa la forza dei piccoli: passare inosservati e sfidare ogni cosa. 

S. Miniato, Foto Ricc

7 pensieri riguardo “L’ARNO D’INVERNO

  1. si chiude un altro anno… un anno pesante sia come lavoro che come famiglia, due teppisti assorbono tanta energia, ma è il bello di vederli crescere. Il 2024 riserverà già novità e speriamo di riuscire a vivere serenamente tutti quanti, mondo compreso.

    Un sorriso e un abbraccio,
    Marinz

  2. Ciao Marinz, grazie dell’intervento, graditissimo.
    Immagino l’energia impiegata nella crescita dei pargoli ai quali faccio moltissimi auguri, oltre naturalmente a te e consorte.
    Il mondo non è messo bene, proprio per niente, lo vediamo ogni giorno.
    Ma non voglio scrivere il mio primo commento del 2024 intriso di tristezze pertanto AUGURI a tutti. Questo posto fa di tutto per essere celeste.. quasi blu,
    Canticchio mentalmente la bellissima canzone di Rino Gaetano “Il cielo è sempre più blu” come un augurio per tutti quanti: un cielo celeste, azzurro, fino al blu!!
    Cinquanta sfumature di azzurro a tutti!
    Vi abbraccio con affetto.

  3. Che bello e che pace ispira l’Arno che scorre a Firenze.
    C?è chi ha un bel fiume e lo mostra con orgoglio facendolo conoscere a chi il fiume non lo ha. Da me c’è sono un piccolo ruscelletto: l’arian D’ Bicogn.
    Certo la sua acqua nel suo peregrinare di fiume in fiume, finisce nell’Adriatico, I pochi ponticelli che lo oltrepassano sono modesti. Infatti si dice a chi non ha più risorse: ma vai dormi sotto i ponti dell’Arian d’ Bicogn.
    Quando ero piccina si andava vicino alle sue sponde in primavera a raccogliere violette e primule, ed era un festa portare a casa mazzolini di fiori.
    Scusate la vecchia nonna e i suoi ricordi di oltre mezzo secolo fa!
    Abbracci a tutti
    Pinuccia

  4. Sono bellissimi i ruscelletti, mi sono sempre piaciuti.
    Nei pressi della mia casa di un tempo, c’era una roggetta, in mezzo alle robinie, che poi ho scoperto essere acacie.
    C’era anche un minuscolo ponticello in cemento e a volte andavo a scrivere il mio piccolo diario: avevo circa 7/8/9 anni.
    Adesso ovviamente non c’è nulla di tutto ciò. Solo strada e niente di più.
    Però, alla mia famiglia, hanno dedicato un “sasso”.
    Spiego: questa nostra casa era praticamente la sola in mezzo a campi coltivati (era il 1967-1968) e non c’era una via, ma un sentiero.
    La via era presa in prestito dalla strada principale, Via San Francesco. E c’era, prima del sentiero che portava a casa mia (un sentierino di 150 metri), ovvero sulla Via San Francesco, un grosso sasso il quale fu una specie di “riferimento”, per indicare quel luogo o per dare indicazioni. Non voglio dire il mio cognome qui, pertanto userò Bianchi. Ecco, la gente diceva: il sass del Bianchi, in quanto solo noi abitavamo in quella zona. Sempre dritto, poi al sass del Bianchi, girate a sinistra. Oppure: ci vediamo alle sette al sass del Bianchi.. e via dicendo. E la roggetta passava proprio lì, accanto a quel “sasso”.
    A volte mi ci sedevo sopra aspettando mio padre di ritorno dal lavoro, o la mamma, di ritorno dalla spesa, oppure le compagnette di scuola, o la nonna.
    Poi ovviamente cambiò tutto, i campi coltivati sparirono e sorsero altre villette attorno alla nostra.
    Il nostro sentiero divenne una vera e propria strada, asfaltata, e si guadagno’ un nome (Via Vincenzo Monti).
    Sparirono la roggetta, il ponticello e anche il sasso.
    Il tempo passò, morirono i miei genitori, mio fratello ed io vendemmo la casa.
    Non vi posso dire l’emozione e lo stupore, alcun anni dopo (quindi piuttosto recentemente) quando passando di la’ vidi che il sasso (in dialetto “sass”) diventò una specie di monumento: il Comune volle porre un “sasso” con scritto sopra, “sass del Bianchi”.
    Ecco. Della mia roggetta, del mio sentierino, delle mie robinie, del mio ponticello e del mio vecchio sasso… non resta nulla. Però c’è questa pietra, con una bella scritta incisa con il nome della mia famiglia. Quel sass, una pietra miliare della mia infanzia, è diventato un monumento vero… con il nostro nome sopra.
    Ma vedi tu cosa ci porta l’Arno…

    Ma Controluce è così, da cosa nasce cosa, da racconto nasce racconto.
    Prometto di fotografare il SASS DEL BIANCHI, cercherò di offuscarne il nome.
    un bacio a tutti da CELE

  5. Carissimi tutti, Siamo attivati all’equinozio di primavera.

    Buon tutto a tutti, ovvviamente a chi abita dalle parti di Firenze che si fa carico di angare per tutti noi a piazza Giudici

    Abbracci

    Pinuccia

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